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Considerazioni generali sulla qualità.
2004-05-02

      Prima di descrivere le principali metodologie di impasto dei prodotti lievitati, vorrei premettere alcune considerazioni di ordine generale sulla qualità, suggerite sopratutto, ma non solo, dalla lettura dei due libri di Robert Mainard Pirsig, citati nelle note di questo che fu uno dei primi articoli sull'argomento, che scrissi sul mio sito web.

La Qualità

"La difficoltà più insormontabile era che Fedro stesso, nell'altro libro [1], Robert M.Pirsig Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta Adelphi Edizioni S.p.A. Milano 1981
      
aveva detto e ridetto che la Qualità non può essere definita. E invece eccolo sull'orlo di una definizione." [2], Robert M.Pirsig Lila Adelphi Edizioni S.p.A. Milano 1992
      

       È possible tentare di definire la qualità del pane? Una prima difficoltà che incontreremo è che la Qualità del pane è formata da diversi tratti: sapore, friabilità, cottura, conservazione, odore, aspetto visivo, digeribilità, eccetera. Non solo, ma gli stessi tratti non sono continuativi nel corso delle stagioni, per gli stessi pani prodotti dallo stesso fornaio, ma variano col capriccio dell'effetto delle cose vive, seguendo -lo so che sembra impossibile- il ciclo biologico dei cereali con il quali il pane viene prodotto. Se chiedessimo a cento persone diverse scelte a caso fra gli utenti, probrabilmente otterremmo cento risposte diverse, variamente distribuite sulla variabilità dei vari tratti che si possono individuare. Allora saremmo tentati di arrenderci e definire questo compito "mission impossible". Oppure, prima di abbandonare definitivamente questa impresa, possiamo tentare di cercare nella letteratura esistente, il parere di qualche esperto in materia, che possa dare una risposta, non dico esente da soggettività, il che sarebbe ancora una volta paradossalmente impossibile, ma, almeno un po' meno soggettivo del parere del consumatore generico, che spesso è un "non addetto ai lavori", che il più delle volte non va al di là della dicotomia morbido/ben cotto, con tutto il rispetto per i pareri dei nostri clienti, che ci farebbe piacere conoscere. Scrivimi

       "Entrare nell'affascinante mondo dell'arte bianca -così è denominato il duro lavoro del panificatore- consente inoltre di percorrere l'interessante strada del frumento, di camminare lungo l'antico sentiero del sapere molitorio, di decifrare i segreti dell'enigmatico mondo dei lieviti, di abituarsi a riconoscere l'arte: perché di forni è piena l'Italia, ma i fornai sono davvero pochi. Per capire quanto ci siamo allontanati dalle fragranti pagnotte di un tempo, basta assaggiare con un po' di attenzione in più ciò che, quotidianamente, ci viene proposto in molti dei negozi, graziosi quanto asettici, oggi chiamati panifici; cominciare a far caso a quel fastidioso gonfiore, magari seguito da un certo bruciore di stomaco; cogliere e fissare nella memoria la desolante assenza di qualità organolettiche positive.
      Arte, dicevamo, perché a fronte di ingredienti -farina, acqua, sale e lievito- semplici (ma da scegliere con attenzione), la variabile umana riveste un ruolo di primaria importanza. L'uomo, prima di tutto, deve essere mosso dalla passione, perché non è facile imparare un mestiere che si assimila in anni di levatacce, il cui frutto deriva dal saper creare il giusto impasto, dal percepire l'ideale durata della lievitazione, dal catturare il momento buono del forno [...] Manualità e saperi che si leggevano abbastanza diffusamente, fino a qualche decennio fa, nei sapori di forme che vivevano, migliorando, anche quindici giorni, grazie ad una sapienza che in molti casi è andata perduta e alla quale l'industria non può supplire.[...] I sapori del pane odierno sono, il più delle volte, frutto di una minor cura per il prodotto, nonché, in molti casi, dell'utilizzo dei cosiddetti 'miglioratori', utili per consentire una lavorazione meno rigida, buoni nell'abbreviare e facilitare -attraverso uno sviluppo anomalo di anidride carbonica (ecco il gonfiore addominale)- il magico evento lievitativo (anche se non troverete nessun fornaio disposto a dichiararne l'uso!)



Ecco, la guida che avete fra le mani, oltre che essere d'ausilio al consumatore, desidera amplificare il grido di sopravvivenza dei bravi artigiani, dando voce alla loro inimitabile 'arte bianca'." [3], Prefazione a L'Italia del pane Slow Food Editore 2002 Bra (CN)
      

       Così, Valter Bordo, con parole che personalmente sottoscrivo appieno, individua la Qualità del pane, primariamente in una caratteristica che non pertiene al prodotto pane, ma a chi lo produce, la sua abilità, e, conseguentemente, nei tratti della digeribilità, nei sapori, conservabilità (fino a quindici giorni, precisa l'autore, migliorando i sapori delle forme "vive"), assenza di prodotti chimici, nel pane stesso. In questo modo il Bordo ci riporta alla citazione iniziale che rimanda al libro di Pirsig [4] dove l'autore, interrogandosi sul perché alcune persone non facciano essi stessi la ordinaria manutenzione della loro motocicletta, riporta aneddoticamente un episodio in cui aveva portato a riparare la propria mocicicletta in una officina.
       Il disastro conseguente alla moto per quell'intervento lo spinge a riflettere sulle cause della disastrosa riparazione.

       "Perché l'hanno martoriato in quel modo? E sì che non erano di quelli che scappano dalla tecnologia, come John e Sylvia. Erano loro i tecnologi. Avevano imparato un mestiere e lo eseguivano come degli scimpanzé. Chissà perché si erano comportati in quel modo? Cercai di ricordare le ore passate con loro in quell'officina, quel posto da incubo, per vedere se riuscivo a trovare una spiegazione plausibile. La radio era un indizio. Non ci si può concentrare veramente su quello che si sta facendo, con la radio a tutto volume. Forse quei ragazzi non concepivano il loro lavoro come qualcosa che potesse implicare una certa concentrazione [...] Ma l'indizio più significativo era la loro espressione. È difficile da spiegare. Un'aria bonacciona, amichevole, accomodante -e non coinvolta. Sembravano degli spettatori. [...] Non si identificavano per niente col loro mestiere. Si capiva subito che alle cinque del pomeriggio avrebbero tagliato la corda, senza neanche più un pensiero per il loro lavoro."[5]

       Anche qui, come ne L'Italia del pane, è la passione per un mestiere o la sua mancanza ad indicare la capacità del lavoratore, del tecnico, dell'artista -visto che Valter Bordo ci parla di arte- di produrre la Qualità. Non è un caso la citazione dei due libri del Pirsig, in questa scheda sulla qualità del pane, come punti di riferimento per affrontare l'argomento.
      

-continua più sotto-

      Note:
       [1]Robert M.Pirsig Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta Adelphi Edizioni S.p.A. Milano 1981
       [2]Robert M.Pirsig Lila Adelphi Edizioni S.p.A. Milano 1992
       [3]Prefazione a L'Italia del pane Slow Food Editore 2002 Bra (CN)
       [4]Vedi nota 1.
       [5]Vedi nota 1.

Freselle


La Qualità [parte 2°].
(Torna alla I°parte)

      In ogni caso Valter Bordo ha stabilito alcuni punti fermi nel nostro tentativo di definire la qualità del pane: sapore, digeribilità, lunga conservazione, assenza di prodotti chimici. A fronte di questo elenco di qualità intrinseche, un panificatore artigiano che conosce la propria arte e la mette in pratica con passione. Come panificatore sento di poter sottoscrivere appieno questi punti fermi, anche se, a volte, prende lo sconforto nel constatare come per alcuni clienti tutto questo non conti assolutamente nulla, di fronte, ad esempio, al fatto di poter acquistare del pane caldo all'ora dei pasti o dello spuntino. Non importa se quel pane caldo a tutte le ore, proposto spesso dalla grande distribuzione, altro non sia che pane industriale precotto, congelato e rimesso in forno al momento opportuno. O, peggio ancora, che la qualità venga ad un compromesso con il prezzo basso, come, ancora una volta, accade nella grande distribuzione, dove il pane viene venduto sottocosto per attirare nel centro commerciale la clientela sensibile all'impatto emotivo del costo del pane. La parola "emotivo" è, in questo contesto, contrapposta a "razionale", in quanto, chiunque faccia una disanima serena, constaterà quanto poco la spesa per il pane incida sui bilanci familiari, con un consumo mai così basso come in questo periodo storico, probabilmente molto al di sotto della soglia dei 100 grammi pro capite giornaliero!

Definizioni estrinseche della qualità.

      Chiamerò definizione estrinseche della qualità, quei criteri che non appartengono ne' al prodotto di cui ricerchiamo la qualità, ne' al produttore, artigiano o meno, ma ad oggetti, persone e riferimenti esterni. In sostanza, in questa sezione parlerò di certificazioni di qualità.

1) Certificato adesivo da vetrina.

      Mi viene un sorriso amaro se penso che, per le associazioni della nostra categoria, che avrebbero dovuto difendere gli interessi della corporazione dei panificatori artigiani -come fanno quelle dei medici, dei farmacisti eccetera- da interferenze di concorrenza spietata combattute sul fronte dei prezzi [6] È ancora più amaro constatare che dietro a questa guerra dei prezzi c'è sempre un collega che svende il proprio lavoro, sminuendo con questo tutta la categoria. N.dell'A.
      
e -non ultimo baluardo caduto, la possibilità negata dall'art.26 della vecchia Legge n°580 4 luglio 1967, di vendere i nostri prodotti sui mercati delle nostre piazze- che per queste associazioni dicevo, la garanzia di qualità dei nostri prodotti sia assimilabile ad una etichetta, con la dicitura "Qui si vende pane artigianale di Qualità", da appiccicare sulle vetrine dei nostri negozi; etichetta che chiunque avrebbe potuto "comprarsi", a condizione di essere in regola con i pagamenti delle quote associative. Etichetta che, provocatoriamente, avrei voluto modificare, per esporla sulla mia vetrina, in "Qui si vende pane scadente"!

       2) Certificazione H.A.C.C.P.

       Questa definizione della qualità è piovuta dall'alto sulle teste di tutti gli operatori che, in qualche modo hanno a che fare con prodotti alimentari. Letteralmente "Hazard analisys and critical control point" (Analisi dei rischi e controllo dei punti critici) viene introdotta dai decreti legislativi n°155 - 156 del 1997, a tutela del consumatore dei prodotti alimentari. Sembrerebbe un provvedimento ottimale e dovuto; ma è davvero una garanzia di qualità del prodotto finale, del prodotto che stiamo trattando qui, cioè il pane -e, aggiungerei, tutti i prodotti da forno? Si tratta, ancora una volta, di interpellare degli "esperti" in materia di HACCP, i quali rilasciano uno schema di procedure di controllo quotidiano -da aggiungere alla già gravosa mole dei nostri impegni quotidiani-, e la relativa certificazione (UNI, GIG, ISO) relativa al nostro processo produttivo. Si tratta, ancora una volta di qualche cosa che tutti possono "comprare", un pezzo di carta, che non è la qualità, ma che la certifica, la dovrebbe garantire. Ma chi ci assicura che chi l'ha comprato agisca secondo gli schemi e che questo si rifletta, come per miracolo, sulle qualità intrinseche del nostro prodotto?
       Ma, sinceramente, quali rischi corrono i consumatori di un prodotto cotto a 200°C oggi come 10 secoli fa? E quali le contromisure adottate per combattere questi rischi? Certo, nei cereali ci possono essere insetti, escrementi degli stessi e dei roditori , batteri e muffe infestanti, ci sono sempre stati. Allora per gli insetti e loro escrementi, c'è da sperare che i molini provvedano ad eliminarli; per i batteri provvede adeguatamente la cottura; per le muffe non c'è quasi nulla da fare, se non provvedere ad una adeguata acidità degli impasti, che soltanto il lievito naturale Lievito naturale o madre [1]
       Si intende per lievito naturale una coltura di lieviti "selvaggi" impiantata su impasti di farina di cereali e acqua, che viene rinnovata a cadenze continuative. I lieviti sono ovunque in natura e, in particolar modo sono presenti nei cereali, visto che lì c'è cibo e lavoro per loro. Se questo fatto sembra un dono del cielo, un contributo alla nascita del pane, come impasto fermentato, non si deve dimenticare che negli stessi cereali so
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può garantire. Le contromisure adottate, spesso consistono nel farci misurare più volte al giorno la temperatura dei nostri frigoriferi -compito al quale dovrebbe già provvedere di suo, il termostato del frigorifero stesso, altrimenti mi sa che il frigorifero non funziona!-, oppure nel fare degli "strisci" per controllare la carica batterica delle nostre superfici di lavoro. Ma, un momento: noi i microorganismi li coltiviamo, ci servono all'interno dei nostri impasti, dovremmo forse eliminarli dai nostri locali?
       Pur non potendo sottrarci dall'obbligo di impiantare un manuale di autocontrollo del processo produttivo - questo richiede la legge 155/1997, cioè una burocratizzazione di pratiche igieniche alle quali già ci attenevamo prima (almeno spero che lo facessero tutti), a garanzia della salubrità dei nostri prodotti, in pratica si tratta di mettere per iscritto, su apposite schede, che abbiamo fatto determinate cose come pulire attrezzature e locali, tenere lontani i roditori ed insetti, usare materie prime non scadute, conservare le stesse alle temperature consigliate, eccetera-, personalmente non ritengo che questo garantisca la Qualità di cui si discute qui. Riflettendo su tutto il caos generato da questa legge, a carico dei piccoli operatori del settore come me, in termini di mole di lavoro burocratico di cui parlavo più sopra, che si viene ad aggiungere ad un carico di lavoro, che solo chi lavora in proprio può conoscere, mi viene da chiedermi: ma come mai, proprio nel momento storico in cui dovremmo fare attenzione a che cosa mangiamo, l'attenzione venga spostata su come viene prodotto l'alimento?
      Mi spiego meglio. Oggi con molta probabilità mangiamo molti cereali OGM (organismi geneticamente modificati), cereali avvelenati da prodotti chimici [7], Oltre ai pesticidi con i quali il contadino irrora le colture con le sue attrezzature, oggi occorre domandarsi che cosa spargono nei nostri cieli quegli aerei bianchi che, in certe giornate, si incrociano numerosi nei nostri cieli, lasciando dei reticolati permanenti, che pian piano si trasformano in ciò che i meteorologi chiamano ipocritamente 'innoque velature'. Di qualsiasi prodotto chimico si tratti, alla lunga discende verso di noi, si deposita sui terreni e viene in molti modi assorbito dai vegetali e da noi che qui in basso abbiamo la casa. Questo fenomeno viene oggi chiamato 'scie chimiche' per distinguerlo dal 'normale' fenomeno delle scie di condensa dei motori, che, per quanto ricordo dai tempi della mia infanzia, non erano durature e svanivano in pochi secondi, trattandosi per lo più di vapor acqueo.
      
cereali contaminati da radiazioni ionizzanti. Credete forse che i cereali contaminati dai vari incidenti di proporzioni cosmiche (Three Miles Island, Cernobyl, Bophal, per nominare solo i più noti, siano stati distrutti? Sicuramente ce li siamo mangiati tutti! Credete forse che gli OGM servano davvero a risolvere il problema della fame nel mondo come vanno cianciando giornalisti e scienziati corrotti da chi ha interessi in questo settore?

3) Certificazione "biologica".

       Quest'ultima certificazione può anche fare parte di quella precedente, in quanto la legge ed i successivi regolamenti di attuazione prevedono, fra le varie definizioni nascoste in formule quali ISO, UNI, GIG con una serie di numeri -un mio amico recentemente mi ha fatto la battuta sulla certificazione ASU [8] "ASU" (gioco di parole: si scrive però "aso", pronunciandolo con "u" finale), che in piemontese, significa "asino", per chi non conoscesse.
      
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che, secondo lui è quella che va per la maggiore, e chiunque conosca il dialetto piemontese non necessita di ulteriori spiegazioni-, anche la certificazione di prodotto "biologico". Qualche tempo fa, un fornitore mi propose in vendita una farina cerificata "biologica". Mi raccontò tutta la storia che un americano (ma pensa un po'!) aveva coltivato e brevettato del grano trovato in alcune anfore nella tomba di Tutankhamon o chissà quale altro faraone, ed aveva così iniziato la produzione di questo tipo di grano. La mia risposta a caldo, senza rifletterci molto, è stata una sola domanda, ingenua, ma non poi tanto, se ci si riflette un tantino: «Su quale pianeta sono queste coltivazioni?» (Tutta la faccenda del kamut, di questo si tratta, ` risultata essere poi una bufala colossale. )
       Chiunque possegga qualche nozione di biologia sa che la Natura ha predisposto il sistema sessuale per la riproduzione, anche dei vegetali, che provvede ad accrescere e variegare il patrimonio genetico, anche se, in questo caso, l'atto sessuale come lo intendiamo noi umani, non centra nulla, in quanto tutto il lavoro pesante è svolto dagli insetti, sopratutto le api. Qualsiasi coltivazione su questo pianeta terra, dove esiste la Monsanto e altre industrie dello stesso calibro, non può essere esente dal fenomeno dell'ibridazione, in quanto le api e gli altri insetti, non ne vogliono sapere di confini di stato e di proprietà, ma non è escluso, che in futuro prossimo, tramite la modificazione del pool genetico delle api stesse, glielo si possa insegnare. Per il momento però, nulla di "biologico" può restare tale, e le cronache sono piene di vergognose storie di ibridazione Monsanto. Bisogna fare attenzione alle api presenti sui propri terreni, perché si rischia di dover pagare royalty alla Monsanto!
Oggi cercando su internet, scopriamo come quella del kamut sia stata soltanto una leggenda metropolitana nata da un un progetto commerciale, solo bussiness.

Conclusione

       Personalmente, non volendo prendermi gioco dell'intelligenza dei consumatori, dei miei clienti, in attesa che mi giungano suggerimenti, altre definizioni di qualità, preferisco, nella mia strategia artigianale, puntare tutto sulla definizione intrinseca della qualità del pane, cioè quella presentata all'inizio di questa scheda, quella di Valter Bordo, che era già mia ancor prima di leggerla lì. Credo fermamente che l'umanità debba, in qualche modo, tornare alle origini, alle saggezze tradizionali, in linea con la politica portata avanti da Slow Food (il termine è una provocatoria contrapposizione ai fast food americani). Nel caso dell'arte mia, si tratta di tornare al lievito naturale ([9] A proposito di lievito naturale, biologico, occorre sfatare un mito, una sorta di leggenda metropolitana che lo vorrebbe prodotto con sterco di vitello da latte. Il mio lievito naturale è stato prodotto partendo dai lieviti naturalmente presenti nei cereali, come fa notare Valter Bordo nel libro citato [14]. Può essere prodotto altresì dalla fermentazione della frutta. Una coltura dello sterco sicuramente produrrebbe coli-batteri del tipo di Escherichia Coli, che nessuno che abbia un poco di buon senso e qualche nozione di biologia utilizzerebbe per la produzione di un alimento, sia pure cotto, come il pane.
      
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), senza somministrarVi, a Vostra insaputa prodotti chimici che non desiderate introdurre nel Vostro organismo, soprattutto mediante il pane, uno degli alimenti più genuini ed a buon mercato che ci sia. Mi piacerebbe moltissimo produrre per Voi il pane biologico (oggi l'aggettivo è doverosamente di moda), ma per far questo dovrei avere il controllo diretto della "biologicità" delle materie prime, non potendo ne' volendo accontentarmi di certificazioni cartacee. Tutto questo per dire che tutto quello che è in mio potere di controllo è accertarmi di avere un lievito biologico, e questo lo posso fare e lo faccio. Non mi sento di poter mettere, novello Muzio Scevola, la mano sul fuoco per il contadino, il commerciante di granaglie, il mugnaio, al fine di poter esporre in vetrina un cartello con la dicitura "pane biologico".
       Alla fine le certificazioni cartacee HACCP sui prodotti biologici, valgono per quello che sono: cartacce, appunto!
       Chi controlla quanti e quali pesticidi il contadino sparge sui cereali in prossimità del raccolto?
       Chi controlla che non vi siano cereali transgenici assieme a quelli che dovrebbero essere naturali?
       La Qualità è chiarezza sugli ingredienti, informazione sugli alimenti, che questo sito e le etichette all'interno del negozio Vi danno; basso [10] La legge 580/67 prevedeva un contenuto minimo in grassi aggiunti pari al 4,5% del peso della farina. Il D.P.R.502/1998 ha abbassato questa percentuale minima al 3%, permettendo, fra l'altro, l'uso di olio vegetale. Personalmente mi sono sempre attenuto a questi quantitativi minimi, considerando che oggi vi è maggiormente la necessità di evitare di introdurre troppe calorie, anzichè troppo poche, come in passato, quando la memoria degli stenti e della fame, legati al periodo bellico, era ancora troppo fresca.
       Oggi le esigenze dei consumatori sono totalmente opposte a quella considerate dalla Legge 4 luglio 1967 n.580, la quale difendeva appunto il consumatore dalle carenze alimentari, mentre oggi si deve difendere da un eccesso di calorie, che hanno prodotto le cosiddette malattie del benessere, un tempo appannaggio soltanto delle persone "benestanti", quali gotta, diabete, obesità, colesterolemia, etc.
      
oppure assente [11] La maggior parte di nostri tipi di pane è senza grassi aggiunti, in linea con quanto specificato alla nota 10.
      
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contenuto di grassi nel pane, olio vegetale al posto di strutto di maiale, vuoi per il più basso, o forse nullo impatto sul colesterolo nel sangue, vuoi per il rispetto di chi, in una società multietnica, per una ragione o per l'altra rifugge gli alimenti a base di maiale (dovrebbero essere tutti quelli che fanno riferimento all'antico testamento, vale a dire ebrei, mussulmani e cristiani -praticamente quasi tutti se sono osservanti al cento per cento). Certamente mi rendo conto che questa potrebbe essere e di fatto lo è, una scelta perdente, in quanto il pane ad alto contenuto di grassi -animali o vegetali che siano- può risultare, ad un palato sprovveduto, molto appetibile, al contrario di un pane con assenza di grassi aggiunti, che può risultare più secco. Ci sono in giro pani, cracker e grissini con contenuti in grassi aggiunti che arrivano o superano il 10% sul peso della farina! Nessuna legge tutela i consumatori da un eccesso in questo senso, occupandosi soltanto dei quantitativi minimi, come se, la cosiddetta "frode in commercio" fosse vera soltanto per un difetto e non già in un eccesso [12] Vedi nota 10.
      
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Molto spesso una elevata percentuale di grassi nei prodotti da forno è accompagnata da agenti emulsionanti, che devono essere dichiarati. I più comuni sono l'E472 (esteri mono-di-gliceridi degli acidi grassi. Da me non troverete niente di tutto questo), oppure lecitina di soia. Io non uso miglioratori del pane, in quanto, come ho già detto uso il lievito naturale( [13] Vedi nota 9.
      
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che fa lentamente tutte le cose che dovrebbero fare, in fretta, i miglioratori, esclusa l'emulsione dei grassi, che a me non serve per il basso quantitativo usato e la tecnica dell'impasto intensivo, la quale da sola dà una buona emulsione ed omogeneità all'impasto stesso. Questa, in pratica, l'applicazione della mia idea della Qualità del pane.
       Ringrazio sentitamente chi ha avuto la pazienza di seguire queste mie lunghe elucubrazioni fino a questo punto, riservandomi di aggiungere una pagina con i Vostri suggerimenti e le Vostre idee su questo argomento.


      Note:
       [6] È ancora più amaro constatare che dietro a questa guerra dei prezzi c'è sempre un collega che svende il proprio lavoro, sminuendo con questo tutta la categoria. N.dell'A.
       [7]Oltre ai pesticidi con i quali il contadino irrora le colture con le sue attrezzature, oggi occorre domandarsi che cosa spargono nei nostri cieli quegli aerei bianchi che, in certe giornate, si incrociano numerosi nei nostri cieli, lasciando dei reticolati permanenti, che pian piano si trasformano in ciò che i meteorologi chiamano ipocritamente 'innoque velature'. Di qualsiasi prodotto chimico si tratti, alla lunga discende verso di noi, si deposita sui terreni e viene in molti modi assorbito dai vegetali e da noi che qui in basso abbiamo la casa. Questo fenomeno viene oggi chiamato 'scie chimiche' per distinguerlo dal 'normale' fenomeno delle scie di condensa dei motori, che, per quanto ricordo dai tempi della mia infanzia, non erano durature e svanivano in pochi secondi, trattandosi per lo più di vapor acqueo.
       [8] "ASU" (gioco di parole: si scrive però "aso", pronunciandolo con "u" finale), che in piemontese, significa "asino", per chi non conoscesse.
       [9] A proposito di lievito naturale, biologico, occorre sfatare un mito, una sorta di leggenda metropolitana che lo vorrebbe prodotto con sterco di vitello da latte. Il mio lievito naturale è stato prodotto partendo dai lieviti naturalmente presenti nei cereali, come fa notare Valter Bordo nel libro citato [14]. Può essere prodotto altresì dalla fermentazione della frutta. Una coltura dello sterco sicuramente produrrebbe coli-batteri del tipo di Escherichia Coli, che nessuno che abbia un poco di buon senso e qualche nozione di biologia utilizzerebbe per la produzione di un alimento, sia pure cotto, come il pane.
       [10] La legge 580/67 prevedeva un contenuto minimo in grassi aggiunti pari al 4,5% del peso della farina. Il D.P.R.502/1998 ha abbassato questa percentuale minima al 3%, permettendo, fra l'altro, l'uso di olio vegetale. Personalmente mi sono sempre attenuto a questi quantitativi minimi, considerando che oggi vi è maggiormente la necessità di evitare di introdurre troppe calorie, anzichè troppo poche, come in passato, quando la memoria degli stenti e della fame, legati al periodo bellico, era ancora troppo fresca.
       Oggi le esigenze dei consumatori sono totalmente opposte a quella considerate dalla Legge 4 luglio 1967 n.580, la quale difendeva appunto il consumatore dalle carenze alimentari, mentre oggi si deve difendere da un eccesso di calorie, che hanno prodotto le cosiddette malattie del benessere, un tempo appannaggio soltanto delle persone "benestanti", quali gotta, diabete, obesità, colesterolemia, etc.
       [11] La maggior parte di nostri tipi di pane è senza grassi aggiunti, in linea con quanto specificato alla nota 10.
       [12] Vedi nota 10.
       [13] Vedi nota 9.
       [14] L'Italia del pane Slow Food Editore 2002 Bra (CN)
      

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