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Blog di Giovanni Chifelio
Domenica 6 aprile 2014
Perché ci si ammala?
Torniamo alla mia esperienza personale in fatto di salute e malattia. Come tutti sono
nato in un ambiente in cui vigeva il luogo comune "quando non si sta bene si va dal medico", ma,
forse diversamente da molti, mi interrogavo dubbioso sulla validità del luogo comune.
Ricordo febbri tremende nella mia infanzia, subito soffocate, dopo l'arrivo del medico
da pillole, supposte e iniezioni. Erano sopratutto queste ultime, in epoche di aghi ribolliti e riusati, di
penicillina ad ogni piè sospinto, a terrorizzarmi. Ma subito la febbre scendeva un po', stavo meglio,
ero esonerato dalla scuola e potevo starmene tutto il giorno a leggere...
Ma mi ammalavo spesso. Poi vennero le allergie, per le quali la medicina non aveva che dei farmaci sintomatici,
ma l'origine, la causa della loro insorgenza, non veniva mai affrontata. Se me lo domandavo io che ero un ignorante,
perché non lo facevano i professionisti, i medici? Erano costoro dei professionisti della salute oppure
della malattia?
I miei sintomi furono inizialmente di natura topica, con piaghe soprattutto
nelle mani, fra le dita, Le piaghe originavano dal prurito continuo che
avevo e mi spingeva a trovare sollievo ad esso, grattandomi in continuazione.
Fui visto da eminenti medici dell'Ospedale Dermatologico San Lazzaro
e trattato sempre per via topica con creme cortisoniche che alleviavano
temporaneamente il prurito, ma che andavano sempre più assottigliando la pelle
trattata. Si dava la colpa alle sostanze che maneggiavo più spesso.
Mi dicevano che per i muratori avrebbe potuto essere la calce, il cemento.
Per i panificatori e pasticceri, la farina e così via.
Qualcuno mi chiese se soffrissi anche di asma, rinite e sintomi respiratori,
per cui passai sotto le grinfie degli allergologi. Per questi ultimi la colpa era
degli acari specifici che potevano vivere in determinate sostanze.
Gli studi di psicologia enfatizzarono i dubbi: a volte potrebbe essere la mente, il disagio psichico a
farci ammalare, al di là del terreno fisiologico. E quella domanda che si pone l'autore dell'articolo
riportato: se l'agente patogeno è il solo responsabile della malattia, per quale ragione non tutti
si ammalano, me la ponevo spesso anche io. Per quale ragione i professionisti non si concentrano sulle cause della
salute, invece di focalizzarsi sulle cause della malattia?
La risposta ovviamente mi portava alla questione degli interessi economici e, quindi, come sempre, alla cultura,
che dagli interessi economici viene plasmata. A maggior ragione, la "scienza" medica, come parte della cultura,
viene maggiormente sospinta da questi interessi.
Cominciai a notare, dopo anni di vane, costose "terapie desensibilizzanti", che i sintomi dell'allergia seguivano
ad abusi e sregolatezze alimentari, e che erano accompagnati da altri disturbi dell'apparato digerente.
Una volta che si ha il coraggio di mettere in dubbio qualche luogo comune della cultura, come quello che ci incita ad andar
dal medico quando non si sta bene, si finisce per mettere tutto in discussione.
Ma ci vuole coraggio per poterlo fare.
Allora cominci a domandarti perché mai ci si debba alimentare di latte da adulti o mangiare dei prodotti lievitati, eccetera.
Se osserviamo la natura che dovrebbe esserci maestra, come non notare che non esiste in natura un solo mammifero che si nutra di latte dopo lo
svezzamento, ma, ancora, sopratutto, non esiste mammifero che si nutra del latte di un altro mammifero!
Il latte dei mammiferi è specie-specifico. Ogni specie di mammiferi, se si vuol credere alla teoria evoluzionistica (personalmente
ho qualche dubbio anche là!), si è "evoluta" producendo un latte materno appositamente adatto alle esigenze
della specie. Anche se non si "crede" all'evoluzione, il latte prodotto dai
vari mammiferi è sostanzialmente diverso da tutti gli altri,
per soddisfare le
esigenze specifiche. Il principale latte di cui si nutre l'uomo, quello vaccino, ha potenzialità energetiche e organolettiche tali da permettere
al neonato erbivoro di reggersi sulle proprie zampe e fuggire con la mandria in caso di arrivo di predatori, già poche
ore dopo la nascita. La nostra specie evidentemente non ha questa capacità, anche se magari ne avrebbe avuta in passato
l'esigenza, ma le caratteristiche del latte materno umano sono diverse, per altri fini. Anche quel luogo comune del calcio
che dovremmo assorbire dal latte vaccino, potrebbe essere una bufala di cui dobbiamo rendere grazie agli interessi dell'economia.
Probabilmente è vero che c'è molto calcio nel latte, ma qualcuno dice che quel calcio dà origine a calcificazioni
anomale nei tessuti ed esistono studi che provano che le popolazioni che non si nutrono di latte si fratturano le ossa molto meno
di quelle che invece ne fanno regolare consumo. Il calcio assimilabile si trova in quantità in alimenti di origine vegetale.
Mi rendo però conto di avere anticipato le conclusioni sul
latte, alle quali giunsi solo molto più tardi e dopo aver frequentato bravi medici
omeopati, i quali, grazie alla kinesiologia, mi resero edotto del fatto che avrei dovuto
astenermi dall'alimentazione a base di latticini. Anticipo ancora che è stata dura
anche per me, che mi considero una persona di mentalità aperta: il condizionamento
culturale è duro da vincere! Passai attraverso latte di capra, soia e altri, prima
di pormi la domanda cruciale "ma perché devo ostinarmi a fare colazione con il latte?".
Mi rendo conto che qualche eventuale lettore potrebbe a questo punto
pensare che tutta la questione della salute si giochi sul consumo o meno di latte. Sarebbe un po' troppo semplice.
In realtá il mio percorso -chiamiamolo "alla scoperta della
salute"- di autoformazione alla ricerca di uno stile di vita che mi garantisse una salute migliore
senza ingerire prodotti chimici allopatici, passó casualmente attraverso i digiuni.
Digiuni seguiti da diete con astensione di alimenti che mi sembravano "non buoni", non
consoni allo stare bene.
L'idea dei digiuni mi venne parallelamente alla constatazione
puntuale che il mio problema di salute piú grave, le crisi di rinite allergica[1] e le crisi asmatiche sempre piú prostranti, erano susseguenti a sregolatezze alimentari e
accompagante da disturbi piú o meno gravi dell'apparato digerente.
All'inizio e per molto tempo, si trattò di digiuni "fai da te"
di sole 24 o 48 ore, seguite da riprese di alimentazione "sbagliata" sempre sotto l'influenza della cultura alimentare di tutta una vita. Viene a dire che nei giorni seguenti al digiuno mangiavo del gran riso integrale bollito o polenta, conditi, ahimé, con
ricotta. Per poi riprendere gradualmente l'alimentazione "sbagliata" di prima. Devo dire
a riconoscimento del fatto che un tempo la medicina era più scientifica di oggi, che
la mia ripresa di alimentazione seguiva le raccomandazioni dei bravi medici della mia
infanzia, i quali, accompagnavano i farmaci con la raccomandazione "ca mangia 'n bianc"[2].
In ogni caso, anche in questo modo, ottenevo dei benefici, non duraturi, ma la crisi grave di rinite o asma si assopiva per un po'.
Per farla breve, cercai poi in libreria un testo[3] sui digiuni terapeutici, che, scoprii, stavano diventando di moda e esistevano luoghi dove li si poteva
praticare sotto controllo medico. Su quel testo mi basai scoprendo che per una buona
"disintossicazione" dell'organismo, occorrevano digiuni lunghi (5/10 giorni). Avevo già scoperto da me che durante i digiuni (ma anche durante l'alimentazione normale),
occorreva bere molta acqua, per favorire l'eliminazione delle tossine. Il libro consigliava
l'assunzione di purganti (sale inglese) a giorni alterni. È sorprendente scoprire
quanta roba ci sia ancora nell'intestino, dopo 10 giorni di digiuno!
Dieci giorni fu il massimo a cui arrivai, lavorando ogni giorno. A
questo punto devo dare l'opinione personale di come ci si sente. All'inizio del digiuno
malissimo. La lingua si copre di una patina biancastra, si ha in bocca un gusto cattivo, probabilmente si ha un alito fetido, ma questo lo sente solo chi vi viene vicino. Sono i segnali
che l'organismo si sta liberando delle tossine, il fegato si disintossica, l'intestino
si ripulisce gradualmente di tutte quelle sostanze che lo irritano e fanno sì che l'organismo produca istamina.
Verso la fine del digiuno, soprattutto se prolungato, ci si sente
bene. Deboli, forse -la pressione arteriosa si abbassa- ma non si ha desiderio di cibo.
Ci si sente lucidi, coscienti, i sensi sono amplificati. Resta impresso, almeno per me
è stato così, di come si percepiscano minime variazioni di odori.
Col passare del tempo e dei digiuni, i miei problemi allergici
si diluirono in pochi episodi sporadici tollerabili, mentre prima erano un ostacolo non soltanto al lavoro, ma alla normale vita quotidiana. Una cosa importanteche devo dire a
questo punto, è che questo mio atteggiamento, chiamiamolo "alternativo", comprendeva
e comprende tutt'oggi la totale astensione dal consumo di farmaci allopatici. Al momento in cui scrivo questo articolo posso affermare che sono 18 anni -sì, avete capito bene, dal 1996 non prendo nemmeno una aspirina!- che non assumo farmaci, con una sola
somministrazione coatta, da parte del mio contesto sociale, di un antifebbrile nel
corso di un episodio grave di malattia di cui parlerò estesamente più avanti.
Nel libro sul digiuno di cui alla nota [3], apprendevo anche l'importanza dell'attività fisica, da praticare sempre, sia nel periodo del digiuno, che nella vita quotidiana normale. Siamo la civiltà del benessere e ci alimentiamo oltre le necessità di energia, per il lavoro che il nostro organismo biologico deve svolgere.
L'attività fisica è necessaria sia per "bruciare" il
"carburante" fornito dal cibo in eccesso, evitando in questo modo malattie tipiche del
metabolismo come il diabete o l'obesità, sia perché la "macchina" che è
il nostro corpo è fatta per "funzionare" e non per oziare!
Un ultimo aneddoto sull'allergia e sull'atteggiamento della medicina "ufficiale "
verso questa patologia. Qualche anno fa, in occasione di una visita per il rinnovo del "libretto sanitario",
il medico mi domandò se per caso soffrissi di allergie e se volessi compilare un questionario a questo
proposito, visto che le allergie sembravano essere una malattia professionale della mia categoria di lavoratori. Ingenuamente risposi che sì, in passato avevo avuto problemi di quel tipo, ma che con attenzione alla dieta, qualche digiuno (GUAI parlare di digiuni ai medici!), astinenza da farmaci allopatici, con l'aiuto dell'omeopatia (a questa parola i medici in genere hanno un sorrisetto beffardo del tipo "tze! Figuriamoci, guarire con acqua fresca!") sono riuscito a superare il problema.
Sentenziò: "Di allergia non si guarisce mai! Quindi lei non era evidentemente allergico!".
Capito come è l'atteggiamento dello scienziato, proprio dei medici che si formano oggi? Mentalità aperta, di larghe vedute...Hanno davanti a se l'esempio vivente di qualcuno che asserisce di aver sofferto di qualche cosa e ne è venuto fuori, ed invece di "studiarlo", interrogandolo per saperne di più, loro giudicano di una vita che non conoscono negando "a priori"
la possibilità che le cose di cui non sono stati testimoni siano andate proprio nel modo descritto da chi le ha vissute in prima persona!
Non insistetti oltre, conscio dell'inutilità di tentare di
sfondare i muri di gomma, e ovviamente non compilai un questionario che si rivelava fin dall'inizio viziato nella forma, ossia non aperto alla possibilità di smentire la tesi con l'antitesi.
Proprio mentre stavo compilando questo articolo, leggevo una tesi di laurea di un medico, G.Calligaris, laureatosi a Bologna nel 1901 (non è un caso che sia lo stesso anno di pubblicazione dell'Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, pietra miliare della psicoanalisi: le idee nuove sembrano essere ispirate all'umanità da molte fonti) il quale parlava di un pensiero che guarisce, non solo le malattie prettamente "psichiche", ma anche quelle biologiche e funzionali. Consiglio vivamente a chi fosse interessato a questo discorso, di leggere la tesi di laurea di Calligaris che potete trovare qui.
Mi rimane soltanto più da parlare dell'ultima malattia grave in cui occorsi circa un anno e mezzo fà. Era la vigilia della domenica delle Palme del 2013 e mi sentii febbricitante, senza nessuno degli altri sintomi influenzali e/o infiammatori locali che
sogliono solitamente accompagnare gli stati febbrili. Come mia abitudine ormai quasi ventennale,
non feci nulla per contrastare la febbre. Ridussi l'alimentazione e aumentai il riposo, per quanto possibile, compatibilmente con il lavoro. Lavorai la prima settimana, anche se ricordo pochissimo di quello che feci. Il ricordo reale si sovrappone al ricordo dei deliri febbrili in un mix folle ed irreale. Il tempo era sospeso, fuori gioco. Cercavo di fare colazione appena sveglio, come al solito, prima di affrontare la mia giornata lavorativa, ma la nausea mi impediva di mangiare.
Al sabato di Pasqua mi misi a letto e vi rimasi per molti giorni, sospendendo a quel punto anche l'attività lavorativa per la seconda settimana di febbre. Ho dei flash back di un carosello di visi di parenti che si avvicendavano al mio capezzale, tentando di convincermi
a ricorrere a qualche medico. Qualcuno, credo, lo trattai anche male, vedendo nel loro intervento una minaccia al mio libero arbitrio. Ricordo minacce di ricorso al 118, al ricovero coatto, che turbarono il mio già non sereno stato d'animo: dopo tanti anni di astensione dalla medicina allopatica, la minaccia di un ricovero coatto, con tutto quello che poteva conseguirne, vale a dire un tubicino infilato in ogni orfizio e la creazione di orfizi nuovi mi terrorizzava ed aggravava i miei deliri. Ma più di ogni altra cosa mi terrorizzava la perdita della mia autodeterminazione, lasciare la mia vita in mano ad altri, degli estranei, in un momento di
debolezza estrema.
È curioso che in qualche momento di lucidità concessomi dalla febbre, leggessi La presa di Macallé di Andrea Camilleri, e ne conservo un vivo ricordo, contrariamente ai fatti reali.
Alla fine cedetti alla pressione sociale e assunsi una compressa, una sola, di antifebbrile portatami da uno dei figli, dopo circa 11 giorni di febbre. È anche curioso che la malattia non possa essere come dovrebbe, un fatto "privato", e fa riflettere che la medicina "ufficiale" conti e giochi molto su questo fatto, facendolo diventare anche legalmente una coercizione di fatto, operata a detrimento delle libertà individuali.
Alla fine dei 15 giorni avevo perso circa 12 kg. di peso. Avevo un volto di colore grigio giallastro -qualcuno mi ha detto: "il colore che hanno le persone morenti". Più per i parenti di cui sopra che per me, subito dopo andai da un medico omeopata il quale, la prima cosa che mi disse fu: "ha fatto molto bene a lasciare che la febbre facesse il suo naturale decorso. A volte l'organismo si libera in questo modo di un tumore." e mi mostrò dei grafici tratti da testi di medicina. Mi diede un farmaco ajurverdhico per curarmi il fegato. Sicuramente il problema che avevo era al fegato. Prima della febbre avevo delle piaghe alle mani che si aprivano e chiudevano ciclicamente. Dopo la febbre erano scomparse. Lessi poi su internet che le piaghe alle mani sono un sintomo di cirrosi epatica o, comunque di una sofferenza del fegato. Se fossi andato dal medico -e qui torniamo all'inizio dei miei episodi di allergia, quindi lo dico per esperienza- sicuramente sarei stato curato per via topica come se il problema riguarsdasse soltanto la pelle.
Nel mio caso, la natura, l'organismo aveva operato da solo la guarigione, come quasi sempre accade, se lo si lascia fare.
Ancora un aneddoto, prima di dedurre, dalla mia esperienza, alcune regole per stare in salute.
Per un intervento chirurgico dentale (estrazione e impianto) lo studio dentistico mi consiglia l'assunzione preventiva di un antibiotico. Non mi piace e so già che non lo assumerò, ma telefono le mie perplessità al medico, che è anche omeopata:
"Noi siamo obbligati, come protocollo legale, a consigliarne l'assunzione. Il paziente poi, assumendosene il rischio e pericolo può anche decidere di non assumerlo."
E aggiunge:
"Io, se fosse per me, non lo assumerei."
Capito?
Conclusione.
Solo un breve riepilogo, di quanto detto sopra, nelle righe e fra le righe, per coltivare la
salute, più che correre ai ripari quando ci si ammala:
--stile di vita sano: alimentazione sana, attività fisica;
--bere molta acqua (acqua "viva"=) corrente, potabile, in movimento, non imbottigliata;
l'acqua potabile imbottigliata non si conserva a lungo, a meno di "sterilizzarla", come fanno le aziende
che producono acque "minerali" imbottigliate; quindi...
--verificate le vostre intolleranze alimentari. Il nemico della vostra salute potrebbe
essere proprio uno degli alimenti preferiti. Molti omeopati oggi sono in grado di
testare quali sono gli alimenti che non vi fanno bene.
--digiuni: ho già detto che i medici inorridiscono a questa parola, tuttavia
la pratica dei digiuni periodici, stagionali o settimanali, o in situazioni particolari, era presente in tutte
le culture, nessuna esclusa. Una tale diffusione dovrà pur significare qualcosa! Digiunare non significa
non bere, anzi, esattamente il contrario, bere molta acqua. Aiuta l'organismo a depurarsi per tutte le vie: urinaria,
intestinale, sudorifera. Non si dimentichi che anche durante il digiuno si deve fare attività fisica.
Non è necessario fare lunghi digiuni. Potrebbe bastare la pratica di un giorno a settimana; oppure ogni tanto, quando se ne sente il
bisogno, col cambio di stagione, quando non si sta bene: ci hanno convinti che quando ci si ammala si
deve prendere qualche farmaco. E se invece bastasse astenersi dall'assumere qualcosa? --astenersi da prodotti chimici di cui non conosciamo l'effetto (quasi tutti i farmaci allopatici); lasciare che la natura, l'organismo attui le misure necessarie, compresa la febbre. Quasi tutti i farmaci sono soltanto dei "sintomatici", bloccano i sintomi, come la febbre, ma non fanno nulla per eliminare le cause della malattia.
--Cercare di essere felici e sereni. Questo potrebbe essere il compito più difficile che ci aspetta, ma
essere felici e sereni induce l'organismo a produrre endorfine, che ci fanno stare bene. Due sono principalmente i modi per produrre endorfine: fare bene l'amore e fare attività fisica. Decidete voi, ma meglio entrambe.
Sembra una ricetta semplicistica, ma se si riesce a metterla davvero in pratica darà i suoi effetti benefici, ma, come il dentista...
Se siete ammalati andate da un medico di cui vi fidate...
Giovanni C.
Note: [1]Per la branca della "medicina ufficiale" che si chiama allergologia, da me consultata senza nessun risultato negli anni dal 1978 al 1982 circa, le crisi di cui sopra sono da imputarsi unicamente agli allergeni ambientali. Nel mio caso pollini e sostanze volatili che manipolavo con il mio lavoro. Nessun accenno al cibo, alle sostanze che avrebbero potuto "fare danno" per contatto, vale a dire, dare reazione allergica nell'intestino.
Anche un bambino si domanderebbe "se gli allergeni fanno danno sulla pelle, nel naso, nei polmoni, figuriamoci nell'intestino", ma gli allergologi non se lo domandano, evidentemente. La reazione allergica induce l'organismo alla produzione di
istamina, la quale produce i sintomi dell'allergia. La soluzione proposta dalla medicina ufficiale è quella di assumere farmaci anti-istaminici
(a base di cortisone) e fare iniezioni sottocutanee dei pollini e sostanze
allergeniche nella speranza che l'organismo, essendo ancora più a contatto di
prima con queste sostanze allergeniche,
miracolosamente si "desensibilizzi". Ma se non si era mai "desensibilizzato" prima con
i contatti casuali con l'allergene, perché dovrebbe farlo poi? Tutto questo, con il
senno di poi, mi fa pensare che la scienza medica ricorra a spiegazioni "magiche" per
tenere in piedi un edificio "scientifico" traballante, che praticamente serve ormai soltanto a vendere prodotti
farmaceutici. Va detto, per dovere di cronaca, che i primi miei sintomi furono piaghe alle mani, anche lì causate secondo i dermatologi, da contatto con
allergeni ambientali e "curate" allo stesso modo degli allergologi. Dopo una crisi
più recente di cui riferirò in seguito, ho trovato che le piaghe alle mani
e tra le dita, accompagna quasi sempre la sofferenza del fegato.
[2]"Mangi in bianco". La malattia era considerata una
conseguenza di alimentazione sbagliata.
[3]Il digiuno terapeutico di Gerhard Leibold 1996, Tecniche Nuove. Milano. ISBN 88 481 0212 3.
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Pensare un mondo migliore è un atto d'amore verso gli altri.
Pensare in tanti un mondo migliore è già un 50% della sua realizzazione.
Giovanni
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