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"Il Negozietto"...ovvero:
le mie origini, tanto tempo fa.

   Giovedì, 4 aprile 2019.
    Mi è stata girata la fotografia di un articolo...

   ...sull'Eco del Chisone del 27 febbraio 2019

"Dovremmo barattare la nostra accetta con uno scalpello di piume d'angelo" (J. Druel)

Oggi è sabato. Sono andato da "Il Negozietto" a comprare qualcosa per pranzo. Sono arrivato in orario di chiusura. Prendo l'insalata, le uova, il caffè e chiedo del pane. È finito! Ripiego sui grissini, ma la signora mi porge del pane. Dice: "È quello che avevo messo da parte per il nostro pranzo, tenga!". Resto senza parole ed insisto sui grissini. Ma lei è risoluta. Ed accetto con piacere. Ora, in casa, mi torna alla mente questo gesto sorprendente. Poteva benissimo vendermi i grissini, ma ha rinunciato al pane per farmi un piacere.
Ecco la bellezza dei piccoli negozi! Oltre al commercio si possono creare relazioni. Anzi, dentro il commercio si creano legami. Nei supermercati è diventato impossibile. Giri anonimo in un locale enorme. Tra mille scaffali. Ed esci anonimo, dopo aver pagato ad una commessa sconosciuta. Funzionano benissimo, ma nel completo anonimato. Luoghi funzionali, senza relazioni. Ricordano la nostra società, sempre più efficiente, sempre più frenetica, sempre più anonima. Il piccolo negozio, invece, crea famigliarità. Non sei un numero, sei una persona. Così, tra persone, può addirittura succedere un gesto come quello del pane.
Piccolo gesto, ma carico di significato. Dice: "Non basta funzionare per vivere!". Bellissimo messaggio. Ci invita a costruire una società più umana. Spesso riduciamo la società ad una macchina. La guardiamo funzionare, ne lodiamo gli ingranaggi, ci esaltiamo per la crescita dell'efficienza. Ed alla fine abbiamo occhi incapaci di cercare l'umanità nella scuola, nell'ospedale, nei negozi, nelle chiese. Così cresce il vuoto in noi e attorno a noi. Trattiamo la società come tronco da segare per produrre legna da ardere e non come un tronco da cui ricavare una meravigliosa scultura. "Dovremmo barattare la nostra accetta con uno scalpello di piume d'angelo". Abbiamo bisogno di tirar fuori, con uno "scalpello di piume", la bellezza dell'umano: la relazione, la gentilezza, il rispetto delle diversità, le emozioni, la creatività, la comprensione, la gratuità, il servizio, la ricerca di un mondo più giusto, un senso al nostro vivere, una speranza.

Ora sto cuocendo le uova. In genere le faccio al tegamino. Oggi le ho messe a bollire. Di colpo mi ricordo mia mamma che diceva: "Per una giusta cottura recita dieci Ave Maria da quando l'acqua inizia a bollire". Effettivamente sono cotte al punto giusto. Ed in più ho riempito il tempo morto dell'attesa con un momento di preghiera. Un modo simpatico di "cesellare" il tempo non con l'accetta ma con uno "scalpello di piume d'angelo". Sarebbe bello esser capaci di tirar fuori da ogni istante qualcosa di bello, di umano. Lo scalpello di piume d'angelo è stato regalato a tutti.
Ricordiamoci di usarlo!

   Per quale motivo ho riportato questo articolo sul mio sito?
   La risposta è molto semplice e deriva dall'incontro fortuito di due fatti: il toccante articolo di Monsignor Derio che loda il piccolo commercio nella persona della titolare del Negozietto e la constatazione che la mia "carriera" ormai quarantennale, di panificatore, è iniziata lì, proprio nei locali in cui oggi si trova "il Negozietto".

   Era il 1975, quando, ottenuto il congedo militare, iniziavo la mia carriera di apprendista panificatore, presso il mio zio Giovanni, in attesa di trovare un lavoro "compatibile" con gli studi all'ITIS "G.B. Pininfarina" di perito meccanico.
   Vi chiederete che cosa possa spingere un giovane a scegliere un lavoro come quello del "fornaio", che implica una vita al "contrario", vale a dire lavorare di notte e dormire di giorno, con tutti i sacrifici, sopratutto per un giovane, che questa scelta comporta e molti tenderanno a rispondersi che lo fa per un calcolo economico.
   Ebbene, sono spiacente di deludere i più, ma questo è stato proprio l'ultimo dei miei pensieri. Esiste tutta una serie di piccole sensazioni, vorrei dire di ricompense per le levatacce ad orari impossibili, che non è facile spiegare a chi non le abbia mai sperimentate da se'.
   Ma è proprio quello che vorrei tentare di fare oggi che sono in prossimità della conclusione di questa mia carriera, che lascerò a malincuore, quando verrà il momento, non certo per mia volontà, ma per una serie di circostanze sfavorevoli, come la grave crisi economica, che rende questa attività non più redditizia, trasformandola in una "passione costosa", nel senso che continuandola comunque, sarebbe la rovina economica dei risparmi di una vita. Non ultimo ostacolo alla continuazione del lavoro, gli acciacchi senili, che rendono difficoltoso lo spostamento di pesi e oggetti, parte integrante e ineludibile di questa attività

   C'è nel levarsi dal letto in piena notte, la sensazione di essere in qualche modo padroni della notte, difficile da spiegare a quelli che tirano tardi la sera e vorrebbero dormire fi-na quande 'l sol a i batt ës la pansa: occorre comunque un poco di predisposizione a questo. Personalmente mi riportava alle levatacce per andare a pesca o a funghi con il mio papà tanti anni fa, quindi era già, di per se' stessa una sensazione legata a momenti piacevoli.
   Ricordo ancora oggi, dopo quarant'anni, il sapore dolce fino all'inverosimile, del caffè che la zia ci preparava, prima che partissimo, quasi che, riempiendolo di zucchero, volesse dimostrarci il suo affetto! Avrebbe potuto rimanere a dormire, preparando la caffettiera la sera prima, ma si alzava e ci serviva, senza una parola, altro segno d'amore disinteressato, come per non rinfacciare d'essersi alzata con noi, mio zio ed io, quando avrebbe potuto invece restarsene nel letto caldo, ignorando una "levataccia" che non la riguardava. Compresi poi che il suo silenzio ammiccante verso di me -posso tranquillamente affermare, senza voler togliere nulla alla mia vera mamma, che la zia che non ha avuto la fortuna di avere dei figli suoi viventi, mi ha fatto un poco anche lei da mamma- era anche rispetto per mio zio che, per me che lo avevo conosciuto solo in famiglia, sembrava ed era, una persona simpatica e divertente, come lo sono gli zii materni, ma sul lavoro si rivelava, con mio grande disappunto, una persona austera: fino a che non era cotto tutto il pane non diceva una sola parola, per tutta la notte, senza eccezioni, fino al momento di fare i grissini. Compresi poi, quando ebbi la responsabilità di un mio forno, che una distrazione nel complesso ciclo lavorativo, poteva costare cara economicamente: dimenticare qualcosa in forno, tralasciare di fare una operazione propedeutica ad altre e così via. Come insegna il Pirsig, quei meccanici che si lasciano distrarre dalla radio accesa a tutto volume e dalla fine dell'orario di lavoro, non sono dei bravi riparatori di motociclette.
   E, sopratutto se si lavora con il lievito naturale, non esiste per il fornaio una fine dell'orario di lavoro: occorre essere sempre vigili, come quei servitori della parabola del Vangelo.

   Il lavoro di panificazione, nel silenzio notturno, ha qualche cosa di magico e mistico insieme: sembra di assistere, anzi di poter fare, una volta appreso il mestiere un miracolo autentico. Non si "fabbrica" il pane ma lo si crea: si ha quasi la blasfema sensazione di essere come Gesù, quando moltiplicava i pani, come recita il Vangelo. So bene che non è così, ma questa è la sensazione che voglio trasmettervi qui. Se mai dovesse leggermi Monsignor Derio, spero non voglia farmi scomunicare per questo peccato confessato pubblicamente. Vorrei spiegarlo meglio dicendo, a mia scusante, che è un poco come avere per ideale a cui tendere proprio Gesù, un "Super Eroe" mille volte migliore di quelli proposti dal cinema e dalla TV oggigiorno.
   Inoltre, con questo lavoro notturno, si ha la sensazione di fare qualcosa per gli altri, quelli che ancora stanno dormendo. Quando si sveglieranno, potranno trovare il croissant per la loro colazione, il pane per il loro pranzo, proprio perché noi ci siamo svegliati presto.

   C'è, infine, l'appagamento degli odori buoni!
   I locali della produzione del pane e dei dolci, così come il forno, conservano un "alito" persistente della produzione del giorno precedente.
   Fin da appena arrivati, senza che ancora si sia incominciato nulla, i locali ti restituiscono l'odore buono della farina; il forno, quando lo apri la prima volta, ti ricorda che il giorno prima hai cotto degli amaretti, dei "baci di dama", dei "savoiardi" il cui profumo è lì ad attenderti quasi a volerti allietare nell'inizio della nuova giornata.

   Come vedete, se mi credete, non è stato per denaro! Se fosse così, probabilmente avrei smesso più di un decennio fa, quando questa crisi economica ha messo in ginocchio tutto l'universo dei piccoli lavoratori autonomi.

   Concludo ricordando quella stanzetta all'ultimo piano nello stesso immobile, che oggi vediamo ristrutturato, ma che allora era in uno stato di degrado ed abbandono come tutta la "vecchia" Pinerolo.
    Era una polverosa stanza con assito di legno per pavimento, non lucidato, come faremmo oggi. Anche se mangiavo sempre con gli zii nella cucina sul retro del negozio, dopo un primo periodo di pernottamento a casa loro, mi sistemai lì, in quella povera stanzetta, senza acqua corrente ne' bagno. Queste cose le trovavo sul ballatoio. Era per sentirmi maggiormente libero senza pesare troppo sull'intimità degli zii. E, diciamolo, a venti anni si avverte questo desiderio di autonomia.

   Dopo quarant'anni di questa mia "passione", che pur con tutte le tribolazioni che comporta, non riesco a chiamare "lavoro", nel senso del francese "boulot", qualcosa di grave e pesante anche se necessario, ma piuttosto soddisfazione di vedere nascere dal nulla i miei prodotti, un pensiero doveroso va a quei due miei zii che ora non sono più con noi, ma ci hanno preceduti nel Regno d'Amore del nostro Creatore, che, speriamo, raggiungeremo anche noi.

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