Blog di Giovanni Chifelio





"Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda."
Horacio Verbitzky

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Giovanni Chifelio Il Ritorno –Capitolo 4 –Una casa editrice alternativa.

Data creazione pagina: 19/07/2013 3:35

Capitolo 5 – La resa dei conti.

    Andrea Novelli chiuse il libro del Pirsig. Era arrivato alla fine. Restava da leggere la postfazione, che però non gli piaceva. Non gli piaceva rileggere il racconto di quello che accadeva a Chris.
     Era seduto su una panchina in Avenue Paul Riquet, Les Halles di Bèziers, famose quanto le ramblas di Barcellona o quasi. Il traffico delle auto correva caotico alle sue spalle. Al centro, all'ombra degli immensi platani, gente oziosa come lui, turisti, bambini, sembravano immersi in un altro mondo, che non comprendeva le automobili ed il caos.
     La conclusione del Pirsig rispondeva alle domande che si era fatto Andrea sulla cultura e sul motivo per cui, alcune scienze sembravano non funzionare correttamente, rispetto ad altre che invece funzionavano, eccome.
     Fedro era andato alle radici del pensiero greco ed aveva scoperto che l'eroe greco eccelleva in tutto. Coltivava l'aretè, la Virtù, ma non in senso morale, come divenne dopo, la Virtù proprio nel senso di eccellenza, di Qualità.
     Era la Qualità che creava l'eroe greco antico, che sapeva combattere, cacciare, aveva l'eloquenza, era astuto, sapeva costruire le sue cose, dall'arco al letto, sapeva curare le ferite, navigare su mari imperiosi.
     La Qualità di Fedro, veniva prima della innaturale dicotomia soggetto oggetto. Era lei a creare soggetti ed oggetti.
     Poi vennero Platone ed Aristotele, e cambiarono tutto. Nacquero le specializzazioni e la Qualità dovette cedere le armi. Era stata sconfitta. E ne paghiamo ancora oggi le conseguenze. La nostra cultura moderna poggia sul pensiero di Aristotele. Dopo non è più cambiato nulla di sostanziale.
     Il nostro guaio, il problema della nostra cultura era che siamo diventati tutti degli specialisti. Nessuno ha più una visione globale delle cose, del mondo, dell'uomo, del Tutto.
     Nella medicina si riscontra questo atteggiamento in massimo grado. C'è il cardiologo, il reumatologo, l'oculista, l'odontoiatra, l'urologo, il ginecologo, l'oncologo, lo pneumologo, il neurologo, l'ortopedico, l'otorinolaringoiatra, uno specialista per ogni zona del corpo umano, per tipo di tessuti, per malattie specifiche. Ancora, il pediatra e il geriatra, per le diverse età dell'uomo.
     Ma tutti quanti hanno perso di vista il fatto essenziale e cruciale che il loro oggetto di studio è l'uomo nella sua interezza e nella sua totalità, con il suo corpo, la sua mente, le sue relazioni sociali, il suo posto nella società. Forse con un'anima. Gli antichi greci non avrebbero anteposto quel "forse" dubitativo.
     Andrea, a causa del suo lavoro di progettista, aveva sviluppato una deformazione professionale, che lo poneva più dalla parte dell'eroe greco, che non dell'uomo moderno, il quale, appena può, delega qualche mansione ad uno specialista adeguato.
     La maggior parte delle persone nel mondo di oggi, fa esclusivamente il proprio specifico lavoro. Per tutto il resto, manutenzione della casa, dell'auto, della motocicletta, del computer, si rivolge ad uno specialista.
     Andrea invece, che dal suo lavoro aveva ricavato l'ossessione di avere tutto sotto controllo, imbiancava la sua casa da se', cambiava l'olio all'auto e alla motocicletta. Se serviva una presa elettrica in un certo punto della casa, prendeva gli attrezzi, faceva la traccia nel muro fino al punto voluto, dal più vicino punto di luce, stendeva i tubi flessibili, metteva i fili e la presa, ricopriva la traccia di cemento e infine imbiancava.
     Non era perché facesse meglio il lavoro degli specialisti. Al contrario, magari, guardando da vicino, si notava dalla rugosità differente nel muro, dove era stata fatta la traccia. Esteticamente il risultato poteva essere anche peggiore. Ma funzionava come aveva desiderato, come l'aveva progettato.
     Ricordava, per esempio, una volta che era stato molto occupato dal suo lavoro, e aveva lasciato ai muratori l'onere di disporre i tubi flessibili per l'impianto elettrico in un bagno rifatto.
     Alla fine, quando il bagno fu piastrellato e mancavano soltanto i fili elettrici dentro ai tubi e le prese, Andrea si accorse che non era stato previsto l'arrivo dei fili elettrici alla lampadina, al punto luce: così tutto era inutile.
     Un altro avrebbe chiamato gli operai ed avrebbe chiesto loro di por rimedio. Dato che il bagno era ormai piastrellato, Andrea ruppe i muri dall'esterno del bagno, per aggiungere il tratto mancante e anche per rimediare al fatto che, in certi tratti, i tubi flessibili erano troppo piccoli per il numero di fili che doveva far passare all'interno.
     Aveva pensato spesso di non essere "normale", per questa sua incapacità a delegare il lavoro agli altri. Ma alla fine, e dopo la lettura del libro di Pirsig, aveva capito cosa faceva la differenza. Lui aveva in mente fin dall'inizio una idea globale di qualità, che era diversa da quella dei muratori. La loro era una idea di qualità estetica, più che altro, e veniva loro perfettamente.
     Andrea invece, anteponeva la funzionalità all'estetica. Inoltre ci teneva.
     Ma si era spinto anche più lontano.
     Da giovane era allergico ad un mucchio di allergeni. Ciò gli causava una serie di disturbi che in certi periodi dell'anno potevano diventare molto gravi. Dalla semplice rinite, agli starnuti continui, fino ad episodi gravi di asma e difficoltà respiratorie.
     Come tutti quanti, Andrea "sapeva" che, in questi casi, ci si deve rivolgere al medico specialista: l'allergologo.
     Questi, dopo una serie infinita di test cutanei per individuare tutti gli allergeni, emise il verdetto. Allergia a dermatofagoide farinae, un acaro che vive nei cereali. Evitare luoghi polverosi, tenere pulita la casa, terapia sottocutanea desensibilizzante.
     Dopo anni di questa terapia, e periodici quanto inutili controlli dal medico in questione, non scorgendo il minimo miglioramento, Andrea abbandonò terapia e medico e decise di fare da se'.
     In qualche libro aveva letto del potere dei digiuni, e sperimentò questa cosa, all'inizio furono piccoli digiuni di un giorno o due. Meglio.
     Anni dopo, incontrò l'omeopatia e seppe che il suo problema cominciava nell'intestino. L'assunzione di determinati alimenti irritava il suo intestino. Da qui l'aumento dell'istamina da parte del suo organismo. L'elevata quantità di istamina si manifestava anche con i sintomi allergici, ma non era che un epifenomeno.
     In seguito scoprì che per caso aveva percorso la strada corretta per risolvere il suo problema. Il digiuno funzionava anche in casi di infezione, malattie influenzali e, digiuno su digiuno, arrivò fino a dieci giorni di astensione dal cibo, assumendo soltanto acqua in quantità, il suo sistema immunitario si rafforzò sempre più.
     Con l'avvento di internet scoprì che digiuno e lavaggi del colon erano rimedi antichi e molto efficaci. Molto più efficaci di tanti farmaci chimici. Un organismo sano, con un colon "relativamente pulito" e non irritato, un fegato sano, erano i prerequisiti per lottare contro qualsiasi malattia.
     Lesse di medici che, con il lavaggio del colon e una alimentazione sana, a base di frutta e verdura fresca, avevano combattuto molto più efficacemente l'epidemia di "spagnola" di inizio novecento, che non i colleghi che usavano la chimica.
     Alcuni medici "alternativi" usavano il digiuno addirittura per combattere i tumori, ed era molto più efficace delle radiazioni ionizzanti, unico rimedio ufficialmente riconosciuto dalla moderna oncologia. Inutile quanto assurdo.
     Con l'omeopatia scoprì infine gli alimenti da evitare, per non irritare inutilmente il colon e non avere disturbi di nessun genere.
     Un giorno un medico gli chiese di compilare un questionario sulle allergie. Andrea disse di essere stato un allergico, ma che ora non lo era più. Lui sapeva come fare, in caso di crisi.
     Il medico sentenziò che dall'allergia non si guarisce mai, «mi creda», sottolineò. Andrea chiese se, ai fini della visita medica legale che stava facendo, fosse obbligatorio compilare quel test. Alla risposta negativa del medico, Andrea disse che allora non l'avrebbe compilato e lasciò cadere il discorso sull'allergia che non guarisce mai, lasciando il medico nella sua convinzione, che l'allergia fosse uno stato irreversibile che riguardava solo le zone del corpo in cui si manifestava.
     Chissà perché i medici non lo dicono mai, al primo approccio, che della tale malattia "non si guarisce mai", e ti lasciano nell'illusione che se ti infili in bocca, o in altri orfizî, i loro rimedi chimici, ne guarirai?
    
     Più in generale, abbandonando il campo specifico della medicina, Andrea credeva di avere capito cosa non funzionava nella nostra cultura.
     Fedro aveva detto che al di là delle esasperate specializzazioni della scienza, gerarchicamente più in alto stava la filosofia, dalla quale si erano distaccate le diverse specializzazioni scientifiche.
     Così avrebbe dovuto essere. In realtà, le cose non stavano esattamente così. Al di sopra, più in alto gerarchicamente di tutte le scienze particolari, stava l'economia. Non l'economia in quanto disciplina particolare, ma l'economia come sistema dominante.
     Il sistema economico adottato da una cultura è quello che detta le direttive a tutte le altre scienze.
     Una cultura sviluppa soltanto scienze in linea con la direttiva economica. La nostra direttiva gerarchicamente più elevata è il profitto ad ogni costo. Qualsiasi cosa, scienza, idea, progetto, innovazione che contrastasse la direttiva economica, veniva ostracizzata, ridicolizzata, banalizzata fino a che non ci faceva più caso nessuno.
     L'ostracismo generale alle idee o agli stili di vita "diversi" da quelli considerati "normali" generano negli appartenenti alla cultura l'atteggiamento appropriato verso l'anormalità: ciò che è anormale in campo scientifico non è scienza. Nel campo sociale, la devianza è follia, pazzia, psicopatologia. E scienza e sociale interagiscono, non sono settori separati dalla nostra esistenza.
     Come fa l'economia a dirigere la cultura, la scienza? La risposta è molto semplice, quasi banale. Stabilisce corsie preferenziali attraverso le quali fa viaggiare le informazioni che sono in linea col sistema, mentre pone ogni sorta di ostacoli alle informazioni "altre", senza timore di avvalersi persino di un processo di censura. Alla lunga, il meccanismo stesso del "separare" il consono dal non consono (al sistema economico), viene ad abitare nelle nostr menti, bombardate quotidianamente dall'insegnamento economico.
     Un esempio molto banale di quanto appena detto, per tornare al bagno di Andrea sono i WC. Qualcuno in Italia si è messo a costruire cessi non sul modello di quelli americani, con il buco dell'acqua grande e strategicamente disposto, come dovrebbe essere, a plomb, sotto il buco del culo, ma invece davanti. Così, ogni volta che andiamo in bagno, dobbiamo strusciare con la spazzola la sgommata di merda. Che lo abbiano fatto per burla o per umiliarci, visto che questo tipo di WC esistono soltanto da noi, sono diventati così popolari, onnipresenti, che nessuno si domanda mai, ne fra gli utenti, ne fra gli addetti ai lavori perché non si disegnano ed installano cessi "ergonomici". Ecco come procede la cultura: viene portata avanti acriticamente.
     Era ora che qualcuno lo dicesse forte e chiaro. Qualsiasi scoperta scientifica, nella nostra cultura, deve portare profitto a qualcuno, altrimenti viene imboscata, tenuta nascosta, non divulgata, addirittura ostacolata. Qualcuno chi?
    
     Una palla che rotolò ai suoi piedi, seguita dal radioso sorriso di una piccola bambina dai tratti somatici orientali, lo distrassero dal corso dei suoi pensieri.
     Si guardò intorno. Il traffico si era fatto caotico sull'Avenue Paul Riquet. Era mezzogiorno e la gente tornava a casa per il pranzo.
     Andrea avrebbe mangiato un panino in un bar con un succo di frutta. Non voleva disturbare la routine della prozia Mariota, che aveva trovato molto invecchiata e molto smemorata. Adesso avrebbe dovuto avere intorno al secolo d'età. Lucida non lo era più da molto tempo, anche se si ricordava di lui ed aveva chiesto alla badante straniera, forse polacca, che aveva fissa, di preparare la camera al piano terreno per Andrea, come ai vecchi tempi.
     Si ricordava tutto dei vecchi tempi, ma non fissava più niente del presente. Tutte le informazioni le scivolavano via di dosso, come l'acqua della doccia.
     Gli aveva chiesto almeno trenta volte se si fosse fidanzato e sposato, altrettante se aveva dei figli. Alla sua risposta negativa, per i figli, dopo un attimo gli aveva chiesto quanti figli avesse.
     Poi la sua mente aveva cominciato a preoccuparsi di suo marito Jaques, defunto da venticinque anni, che lei diceva essere sempre sur les allè, a correre appresso alle donne.
     – Se it vade 'n tël vial, varda se t'lo vej. Après tu me diras ce qu'il faisait avec toutes ces putes. Quande saroma da soj, mi e ti, però.
     Passava dal dialetto piemontese al francese senza soluzione di continuità. Meraviglie della mente umana in grado di contenere miliardi di miliardi di informazioni, poi di fallire nelle operazioni quotidiane.
     Erano probabilmente dieci anni che non parlava il dialetto piemontese, e, appena visto Andrea, aveva iniziato ad esprimersi con questo idioma, intercalandolo al francese acquisito in una vita vissuta nell'Herault.
     Una donna passionale. Ricordava gli alterchi con il marito, spagnolo originario di Figueras, lei italiana immigrata in quel paese ospitale, che aveva all'epoca fame di gente.
     Alterchi rabbiosi che poi si spegnevano in un nulla di fatto, appena un attimo dopo. Molto diverso dal nostro contenuto perbenismo piemontese, che teneva troppo alle apparenze, per permetterci di sfogare in quel modo le nostre passioni, ma ci costringeva a tenercele dentro, a rimuginarvi sopra, logorando le nostre carni dall'interno, secondo le leggi della psicosomatica.
     Loro no. Si urlavano addosso, si insultavano, sembrava sempre che stessero per scannarsi l'un l'altro, e un attimo dopo era tutto finito.
     Andrea aveva ammirato più volte il loro modo di fare. Mai musi lunghi di persone offese, per giorni, settimane, mesi. L'esplosione di un attimo e via.
     Forse era il luogo con il suo clima caldo, la prossimità della Spagna a rendere la gente così.
     Storicamente, Piemonte ed Herault, facevano parte della stessa Occitania, che arrivava fino ai Pirenei. Anche il modo di parlare, schioccando sulle stesse vocali finali, molto diverso dal francese di altre regioni, era simile. Ma se si trattava della stessa cultura, perché questa dava origine a comportamenti così radicalmente diversi, atteggiamenti opposti di fronte alla vita?
    

* * *


    Anna era inquieta da giorni. Aveva letto e riletto il messaggio di Andrea trovato vicino alla saracinesca centrale dell'acqua.
     Era impaziente di raggiungerlo a Bèziers da magna Mariota, ma temeva di essere seguita senza accorgersene. Conosceva a memoria tutte le raccomandazioni. Niente cellulare. Prelevare abbastanza denaro per diverse settimane, in modo da non farsi rintracciare prelevandone poi in viaggio. Fare diverse tappe, magari con deviazioni, in modo da accertarsi di non essere seguita.
     Aveva concepito un piano. Sarebbe andata al mercato di Cervo. Avrebbe bighellonato fra i banchi e poi si sarebbe infilata nella stazione lì vicino, prima di tutto per vedere gli orari.
     Avrebbe preso un treno per Genova, poi per Milano, il che, secondo lei avrebbe depistato molto i suoi eventuali inseguitori, essendo nella direzione opposta a dove sarebbe poi dovuta andare. Inoltre avrebbe fatto un salto dalla nonna Angelina a Quarto Oggiaro. Aveva assolutamente bisogno di farsi un poco consolare da lei. Anche se, data la sua veneranda età, aveva un po' di remore a raccontarle tutto ciò che era successo.
     Sempre che non lo sapesse già da sua madre. Le cattive notizie viaggiano sempre più spedite di quelle buone.
     Per non angustiare la nonna, certamente avrebbe omesso la faccenda dello zio Alessandro e di Scientolgy. Quel figlio aveva già dato tante preoccupazioni alla nonna.
     Era decisa. Il mattino dopo sarebbe uscita di casa vestita in modo semplice, con il carrello borsa per la spesa con dentro l'essenziale per il viaggio. Il denaro l'aveva prelevato all'ufficio postale quella mattina e nessuno l'aveva seguita dentro l'ufficio.
     Quella sera rilesse un libro di Camilleri. Sapeva che per l'eccitazione del viaggio, della fuga, per chiamare le cose col loro nome, avrebbe faticato ad addormentarsi.
     Dopo un po' gli occhi non ce la facevano più a leggere, ma il sonno ancora non veniva.
     Accese la televisione e trovò un film con Demi Moore, Il giurato, dove l'attrice veniva perseguitata da un Baldwin legato alla mafia, che non si faceva scrupolo di ammazzare bambini o donne, pur di convincerla a votare contro la colpevolezza del mafioso, arrivando alla fine a far assolvere lo stesso.
     Si addormentò durante una pausa pubblicitaria e si svegliò poi soltanto un attimo, molto più tardi, per spegnere il televisore rimasto acceso per ore senza spettatori.
    

* * *


     Egidio Melis era pensieroso quella sera a cena. La mamma era stabile e lucida, grazie al fatto che Egidio era riuscito a convincere Santina a smettere di imbottirla di psicofarmaci.
     Adesso occorreva una visita specialistica. Avevano prenotato per quindici giorni dopo, da un primario geriatra di Cagliari. La faccenda era sotto controllo, anche se la mamma, a volte, confondeva i nomi delle persone, non ricordava cose appena accadute. Ma, insomma, aveva i suoi ottanta anni. Non si può nemmeno pretendere troppo da una persona di quell'età.
     Anche il babbo sembrava più sereno, dopo aver constatato che, sospendendo quelle medicine, la mamma era tornata quella di sempre.
     Egidio decise che poteva ripartire. Chiese al cognato se potesse accompagnarlo quella sera stessa a Cagliari, per prendere il traghetto, ed il cognato si disse disponibile.
     Nel giro di mezz'ora, salutati tutti quanti, rassicurato dalla sorella che l'avrebbe tenuto al corrente, erano in auto sulla strada del ritorno.
     Durante il viaggio, Egidio fu taciturno. La sua mente era tornata alle persone scomparse da Paesana, ai due morti, ed ogni tanto faceva capolino il pensiero di Elisa, che egli tentava di non lasciare emergere.
     A mezzanotte era sul traghetto. L'indomani sarebbe tornato sui "suoi" monti. Si sorprese di pensare alle montagne di Paesana a quel modo. Avrebbe dovuto sentire invece che stava lasciando la sua Sardegna, e non viceversa. Aveva sempre pensato che, una volta raggiunta la meta della pensione, sarebbe tornato definitivamente ad Esterzili.
    

* * *


     Antony giunse a San Bartolomeo nel tardo pomeriggio. Prese contatto con gli uomini appostati davanti alla casa e disse loro di chiamarlo, a qualsiasi ora, nel caso il bersaglio si fosse mosso.
     Disse loro che aveva assoluto bisogno di dormire e che sarebbe andato in un albergo. Chiese loro se fosse possibile affittare un alloggio nel palazzo di fronte all'alloggio dei Novelli, in modo che potessero stabilire lì la loro centrale operativa.
     L'indomani avrebbero provveduto.
     Se ne andò in albergo con l'inquietudine che lo aveva accompagnato da Padova, dopo che aveva fottuto quella ragazza nera. Era quasi certo che non avrebbe dormito affatto, o, perlomeno, non avrebbe riposato bene. Per l'ennesima volta si domandò che cosa questa gli avesse fatto. Quale stregoneria wudu, l'avesse reso inquieto, insicuro e incapace di prendere sonno e pensare lucidamente come prima di quel fatto.
    

* * *


     Mario Agolino si svegliò molto prima dell'alba, come quasi ogni giorno. Dalla finestra aperta entravano gli odori della sua città, la sua Genova.
     Non vedeva il mare dalla finestra della sua unica camera, affacciata sul carugio, dove poteva vedere solo muri, altre finestre, fili stesi da un muro all'altro con dei panni ad asciugare, ed una piccola striscia di cielo, lassù in alto. Il mare era compreso in quegli odori, che al mattino presto, lo lasciavano intuire più facilmente.
     A quell'ora, quando ancora c'era poca gente in giro, l'odore del mare si sommava soltanto, a seconda della direzione della brezza onnipresente in Liguria, all'odore intenso degli ulivi, al piscio dei gatti e degli umani, e l'odore del pane proveniente da un forno nel vicolo adiacente. Odu de Xena.
     Più tardi la miscela olfattiva avrebbe compreso aglio, cipolla, basilico e l'onnipervasivo odore del fritto di pesce. Più tardi sarebbe stato più difficile, ad un naso non raffinato come il suo, isolare l'odore del mare per percepirne la presenza rassicurante. Mai fermo, ma sicuramente sempre lì, poco lontano, a dar lavoro a marinai, pescatori, e tutti coloro che vivevano del turismo balneare. Strana gente, questi liguri, forti e lavoratori infaticabili, sempre pronti, ma diffidenti, ad accogliere forestieri, venuti dal mare o dalle colline retrostanti. Loro stavano lì da millenni, abituati a difendersi dai corsari, dai saraceni, tutti venuti dal mare, o da altri invincibili armati venuti poi da Roma.
     Genova aveva avuto un passato onorevole, ma non aveva avuto mai la possibilità di abbassare la guardia. Ancora adesso i suoi abitanti conservavano quel tanto che basta di diffidenza verso i turisti, forestieri.
     Come ogni mattino si chiese perché proprio lui fosse stato così sfortunato.
     «Cosa ghe possu fa?» Era successo tanti anni prima, ma non ce l'aveva con loro, con quegli strani esseri, per aver scelto proprio lui. Era la gente che non lo conosceva. Era tutto un insieme di cose, che erano andate storte.
     «A sfurtun–a a l'è 'n belin ch'u xeua 'ngiu au cu ciu vixin.»
     Adesso non ne parlava più con nessuno. Meno che mai con gli estranei. C'era stato un tempo che ne era stato così scosso, che ne parlava con tutti. Fu la sua rovina.
     Fu deriso, studiato come una cavia e perse tutto quello che aveva: lavoro, moglie, molti amici.
     Adesso, gli amici che gli erano rimasti erano quei pochi che gli avevano creduto, perché lo conoscevano bene e avevano fiducia in lui. Con tutti gli altri aveva rotto i ponti, quando non l'avessero fatto prima essi stessi.
     A volte si domandava perché quegli esseri avessero scelto proprio lui. Quella notte aveva risposto ad una chiamata per una aggressione e loro l'avevano rapito.
     Creature alte, dai corpi un po' diversi dai nostri, gli avevano impiantato qualche cosa nel cervello. Non parlavano con lui mediante la voce. Li sentiva nella sua testa. Forse era telepatia o chissà che.
     Infine gli avevano dato quella cosa, una specie di piramide, con l'istruzione di metterla in un luogo sicuro, e di andare di tanto in tanto a metterla in funzione. Nessuno oltre lui doveva vederla o toccarla.
     Lui aveva trovato un luogo sicuro. L'aveva messa in una vecchia baita di famiglia sulle colline, fra gli ulivi, un luogo isolato.
     Quando riceveva il segnale, faceva il sogno, lui andava ad accenderla.
     Si apriva e diventava luminosa e trasparente. Emetteva una energia buona, rassicurante, ma doveva allontanarsi un poco, dopo averla accesa nella casa, perché da vicino, la sua energia era troppo forte. Usciva nel cortile e se ne stava a crogiolarsi al sole, pensando alla sua vita distrutta, a sua muggè, che l'aveva lasciato, dopo l'esaurimento, dopo che aveva perso il lavoro, perché nessuno credeva a quella sua storia assurda.
     L'ultima volta che ne aveva parlato, era stato in televisione. C'era quel giornalista a fare la parte dell'avvocato del diavolo, dell'incredulo. In quel momento non ricordava il nome del giornalista, quel bruttu galusciu. Possibile che a cinquant'anni perdesse già la memoria?
     Era quello che ad un certo punto della sua vita aveva scoperto di essere attratto dagli uomini, e l'aveva dichiarato pubblicamente. E voleva fare il razionale con lui. Era forse ragionevole che gli uomini facessero sesso con gli uomini?
     «Sì,» pensava, «non facevano male a nessuno, i ricchioni, i gay, come si chiamavano ora, ma non era un poco contro natura?»
     Lui in fondo aveva raccontato solo quanto gli era accaduto. Quello voleva vedere le radiografie, una TAC per potergli credere.
     All'inizio aveva fatto questi esami, ma adesso era stufo. Non ne avrebbe fatti più!
     Non era poi così incredibile, così strano, così contro natura. Nell'universo c'erano miliardi di stelle. Ogni stella era un sistema solare, come il nostro. Decine, centinaia di miliardi di pianeti che ruotavano attorno ai loro rispettivi soli, possibile che non ci fosse la vita su nessuno di essi, solo qui sulla terra?
     Era statisticamente probabile che esistessero altri mondi, molto più probabile del contrario.
     Ma lui era un povero disoccupato che viveva di lavori precari e saltuari. Da giovane aveva studiato poco. Poteva mettersi a discutere con dei giornalisti laureati, presuntuosi ed arroganti?
     Alla fine di quella trasmissione televisiva, una agenzia matrimoniale aveva selezionato una donna per lui, che si vedeva in un grande schermo. Una bella signora, raffinata ed elegante. Insomma una proposta di matrimonio. C'era stata quella scena dell'auto che l'avrebbe portato da lei, se ci fosse salito.
     Mario Agolino aveva rifiutato. Lui era ancora innamorato di sua moglie, sa muggè, anche se erano anni che erano separati, a causa di quanto gli era successo. Ma lui non aveva perso la speranza. Che ci sarebbe andato a fare con quella distinta signora? Cosa avrebbero avuto da dirsi?
    
     Quella notte aveva fatto il sogno. Il solito. La grande cattedrale. Poi gli strani esseri che gli avevano impiantato qualche cosa nel cervello. Sapeva che avrebbe dovuto andare ad accendere la piramide. Avrebbe preso il treno e ci sarebbe andato nel pomeriggio.
     Quella mattina doveva andare ad aiutare il panettiere del suo rione. Era sabato e gli mancava uno dei garzoni. Al sabato i panettieri avevano il doppio del lavoro, essendo i negozi chiusi la domenica. Ci era già andato diverse volte, quando c'era necessità. Nella sua condizione di disoccupato, non poteva rifiutare nulla. Lo pagavano una miseria e gli davano un po' di pane.
     Per le strade buie non incontrò nessuno. Solo nel retro della panetteria c'era rumore di vita. Una vita malamente illuminata dalle luci al neon. Una vita irreale, contraria ad ogni logica.
     Non che lo contrariasse il lavoro notturno. Lui, essendo stato metronotte, l'aveva fatto spesso. Era il fatto che nella panetteria sembrava tutto irreale. Provava quella sensazione ogni volta che era entrato lì dentro.
     Poi però faceva di buon grado tutto quello che gli ordinava il bacan. Portare i sacchi di farina, e versarli nell'impastatrice. Spostare tavoli carichi di pagnotte. Estrarre l'impasto pronto e metterlo sul tavolo. Togliere le ceste piene di pane da davanti al forno.
     Anche se si sentiva ormai troppo vecchio per dei sacchi da cinquanta chilogrammi da portare in spalla dal magazzino al laboratorio, trenta metri di distanza.
     Quando tribolava e trovava duro, diceva a se' stesso: «Dai Mario, che verranno tempi migliori!» e tirava avanti un altro po', facendo buon viso alla sua triste sorte.
    

* * *


    Prese la parola un altro anziano, che sembrava il più vecchio ed autorevole di tutti. Tutti sapevano che dopo di lui la cerimonia sarebbe terminata e i prescelti si sarebbero incamminati, attraversando simbolicamente le due colonna lungo le quali erano allineati.
     «Voglio mettervi in guardia, per l'ultima volta, su quelli che sono i pericoli di contaminazione della Conoscenza sulla terra.
     Sapete già che la cultura degli umani è controllata dalle persone che detengono il potere. Nonostante il fatto che, nelle nostre precedenti missioni abbiamo ribadito spesso che la più alta espressione gerarchica della cultura dovrebbe essere la morale, nel mondo umano la più alta espressione è l'economia.
     Questo andava bene fintanto che l'economia degli umani era di pura sussistenza. In quel contesto, l'esigenza della sussistenza, imponeva delle regole che potremmo chiamare "morali", nel senso che era necessaria l'accortezza di non distruggere l'ambiente in cui gli umani vivevano, pena la mancanza o l'esaurimento delle risorse che permettevano loro di sopravvivere dignitosamente e con poca fatica. Questo stadio sarebbe quello che loro, nel libro dei libri, che venerano come se fosse opera di Dio, chiamano il Paradiso Terrestre.
     Alcuni di loro, presi dall'angoscia della precarietà in cui a volte si trovavano a dover dipendere dall'ambiente per la sussistenza, vollero inventare sistemi diversi di economia. Decisero che avrebbero accumulato delle scorte, per non uscire a caccia con il maltempo, sopravvivere durante l'inverno in terre fredde e inospitali, per ridurre quell'angoscia che li faceva sentire in balia dell'ambiente e della buona sorte nella caccia e nella raccolta.
     Ma questa era solo la ragione che raccontarono ai loro simili. In realtà costoro volevano possedere il potere di Dio, sull'ambiente e sui loro simili.
     Smisero di ringraziare la gazzella od il bisonte per essersi offerti a sfamare la loro gente e si inorgoglirono, pensando che tutto sulla terra fosse loro dovuto, che fossero padroni degli animali, degli alberi della foresta e che potessero prendere dall'ambiente tutto ciò che passava loro per la mente, senza criterio e non pensando che stavano distruggendo l'ambiente che li nutriva, li vestiva, dava loro riparo nelle intemperie. Invece di cacciare, allevarono degli animali. Invece di raccogliere nella foresta, coltivarono.
     La conseguenza di questo fu immediata. Le zone abitate a lungo si inaridirono, furono senza pascoli, e la gente dovette iniziare a spostarsi.
     Inoltre, se prima potevano scambiare con altre genti alimenti o utensili, dopo divenne un problema spostarsi con le loro ricchezze, che a quello stadio erano costituite da derrate alimentari, pesanti, difficili da spostare.
     A qualcuno venne in mente di inventare ciò che essi chiamano denaro, per poter scambiare le loro merci. Ma l'invenzione del denaro era stata suggerita da forze del Male che volevano seminare la discordia fra gli uomini. L'idea stessa del denaro è l'opposto di quel sentimento che li univa prima, la collaborazione: il denaro li metteva gli uni contro gli altri. Tutti volevano accaparrarsene il più possibile, perché avere denaro significava avere potere.
     Mentre prima le persone erano apprezzate per ciò che erano, per le qualità che avevano, sempre utili alla comunità, dopo l'invenzione del denaro, le persone venivano apprezzate per ciò che possedevano, perché questo dava la misura del loro potere.
     La collaborazione tribale divenne competizione. Ma la gente che aveva inventato questa cosa, si accorse di essere più forte e potente delle genti che ancora vivevano nel vecchio modo. Così in un tempo molto breve, rispetto alla storia precedente dell'umanità, tutte le genti furono convertite a questa idea, che sembrava vincente dell'accumulo del denaro, potere, mascherato dalla sicurezza dell'accumulo del cibo per la gente. Una cultura seducente.
     Sembrava che ogni invenzione, ogni nuova scoperta, fosse al servizio dell'uomo. Devo dirvi, ma già lo sapete, che ciò che gli uomini "inventano", scoprono, è suggerito da noi, che riusciamo a raggiungere telepaticamente alcune delle loro coscienze più evolute.
     Non sempre però, chi regge adesso le redini del mondo, cioè i potenti che inventarono il denaro, sono d'accordo nel rendere le nuove scoperte patrimonio dell'umanità intera, come era nostra intenzione, suggerendole a quelle coscienze risvegliate ed evolute.
     Talvolta invenzioni che renderebbero davvero servizio all'umanità e al pianeta in cui vivono, evitando di deteriorarlo inutilmente, vengono da questi potenti, tenute nascoste, per continuare a fare affari con le tecnologie precedenti, mantenendo l'umanità in uno stato di arretratezza culturale, tecnologica e spirituale.
     Questa gente, che è divenuta nei secoli molto esperta della scienza sociologica, sa che per controllare le menti degli altri esseri umani, delle masse, è necessario che la stragrande maggioranza degli uomini soffra e si disperi. In questo stato, essi riescono a tenere a freno le menti e le coscienze meno evolute.
     Parallelamente al dilagare del sistema economico basato sull'accumulo delle risorse e quindi del denaro, visto il successo ottenuto, conseguenza del denaro stesso, nacque negli inventori di questo sistema, l'idea di conquistare, in questo modo, mediante il denaro, la terra intera.
     Questo piano, concepito migliaia di anni terrestri fa, sta per essere portato a termine. Esistono diversi gruppi concordi ad ottenere questa cosa, ma in disaccordo su chi debba alla fine regnare sugli uomini, che se il piano sarà portato a compimento in questi termini, saranno schiavi degli ideatori del piano.
     Fra pochissimi anni terrestri è prevista una inversione di polarità. Questo porterà a grandi cambiamenti. Il cuore degli uomini si risveglierà ed essi agiranno non più per tornaconto personale, per gratificare il loro ego, ma per il benessere del prossimo e l'armonia universale.
     Gli artefici del complotto per conquistare il mondo devono, per vincere, raggiungere il loro scopo prima di tale data, di questa grande inversione di polarità.
     Noi dobbiamo soltanto ostacolarli, al fine di ritardare il loro obiettivo, favorendo il risveglio delle coscienze, dei cuori umani.
     Riportare l'Armonia perduta, vibrando noi stessi con quella frequenza, affinché tutti gli uomini si accordino ad essa.»
    


    

     Andrea posò la penna e si massaggiò il polso destro intorpidito dallo scrivere. Era quasi l'alba, anche se dalla cameretta al piano terreno in rue de La Faience, il sole non si vedeva mai a nessun ora del giorno. Gli edificaci costruiti a più riprese, uno a ridosso dell'altro, impedivano una visuale e la penetrazione dei raggi del sole. Si potevano intuire soltanto gli orari dalla variazione della luce.
     Pensò ad Anna. Ebbe la percezione interna del suo sorriso, con la sensazione che stava venendo lì da lui. Forse non quel giorno, ma il suo viaggio era iniziato.
     Si augurava che adottasse gli accorgimenti che gli aveva suggerito nel biglietto, in modo da non portarsi dietro i suoi inseguitori.
     Pensò a quanto fosse meravigliosa e strana questa loro comunicazione telepatica. Quante volte era successo in passato. Gli scienziati non avrebbero saputo spiegare una cosa simile, eppure, forse, era molto più semplice di qualsiasi altra cosa.
     Questo pensiero lo riportò al suo libro, scritto per lo più in un periodo di stress, il periodo in assoluto il più difficile della sua vita. Aveva la sensazione che tutto quello che gli accadeva, tutto ciò che gli era accaduto in passato, altro non era che la preparazione a scrivere questo libro, nel quale forse, aveva finalmente trovato una risposta ad una domanda di tanto tempo prima.
     Da giovane si era iscritto all'università. Una facoltà, dicevano tutti, totalmente estranea a tutto quello che aveva studiato prima. La conclusione logica dei suoi studi, (ma di quale logica?, di chi?), avrebbe dovuto essere ingegneria.
     Sembrava che tutti si aspettassero che diventasse ingegnere. Invece si era iscritto ad antropologia.
     Ad un esame, si era preparato su Frazer, Boas, Levi Strauss, Mead, Bateson, e si aspettava che il docente gli domandasse qualche nozione imparata a memoria su questi antropologi. Invece il docente, a fronte di una sua incertezza iniziale, era al suo primo esame ed era timido, impacciato, insicuro, gli chiese: «Che cos'è la cultura? Chi la produce?» Lui era preparato su tutto, ma non su questo. Non avendo frequentato il corso, non aveva avuto modo di capire cosa si volesse da lui. Sapeva che, in base all'argomento, questa non era una domanda semplice: era una meta domanda.
     Anche se all'esame aveva avuto un buon voto, dato che, girando intorno alla domanda del docente, aveva dimostrato di avere studiato la materia, ci era rimasto male. E da allora si era arrovellato sulla questione. La risposta alla prima domanda non era poi così difficile. La conoscenza del mondo e di se' stesso. La seconda era un po' più complicata. L'uomo produce la cultura. Qualsiasi uomo è, in teoria, un produttore di cultura, ma, alla fine, non è detto che l'uomo, il singolo uomo, si riconosca nella cultura nella quale si trova immersi fin dalla nascita.
     Allora, questa benedetta cultura, in senso ampio, è l'espressione della sommatoria di tutti i frammenti culturali prodotti da tutti gli uomini vissuti fino ad oggi, una sorta di sincretismo, il prodotto dell'uomo in senso generico, quello dell'uomo comune, di tutti gli uomini?
     No. No. No. La cultura corrente, in un dato periodo storico considerato, è una sorta di sommatoria di credenze, luoghi comuni, espressioni artistiche, delle persone che hanno la possibilità di decidere, in virtù del loro potere, economico, quali siano le rappresentazioni culturali a loro gradite. Una scelta, fra tante possibili. Non la più valida in assoluto, la migliore, o la più promettente per l'umanità. SOLTANTO UNA SCELTA OPPORTUNISTICA.
     In base a questa scelta opportunistica, gli uomini lottano, scannano i loro simili, per difendere delle "abitudini culturali" che non sono nemmeno le loro, che non sgorgano dalla loro mente o dal loro cuore, bensì dalle scelte dei potenti.
     Ancora una volta si sentì fiero del suo libro e del punto a cui erano giunti i suoi ragionamenti. Considerando le difficoltà di quel periodo, in cui il libro era sgorgato, pensò che forse, per scrivere avesse bisogno proprio di quelle difficoltà, affinché ne risultasse un prodotto migliore, in barba al suo sogno di poter vivere sereno, scrivendo tranquillo nella sua casetta.
    
     Si era fatta mattina. Sentì il desiderio di mangiare qualcosa ed uscì. Senza che ci pensasse, giunse sulle allè, dove la vita sembrava risorgere dopo la quiete della notte.
     Ad una edicola comprò La Stampa. Non era sua abitudine leggere i giornali, ma voleva vedere se si parlava del suo caso, dei fatti successi a Paesana.
     Poi si sedette al tavolino di un caffè, ed ordinò un grand cafè noir et un croissant. Avrebbe desiderato molto della frutta fresca, ma non si poteva avere tutto dalla vita. Soprattutto non voleva stupire la gente del paese che lo ospitava, con abitudini che loro non fossero in grado di comprendere. Le abitudini culturali. A quell'ora del mattino, grand cafè noir et un croissant sarebbe stato più "opportuno", senza scandalizzare ne' fare discussioni filosofiche.
     Mangiato il suo croissant, mentre sorbiva il caffè, sfogliò distrattamente il giornale. Nella cronaca di Torino non trovò nulla circa i fatti di Paesana. Magari ne avevano parlato nei giorni precedenti, ma, mentre era in Liguria, non gli era passato nemmeno per la mente di acquistare i giornali. Del resto al telegiornale regionale, lì non si parlava del Piemonte, ma della Liguria, così non seppe mai nulla di ufficiale sul suo caso e sul morto trovato in casa sua.
     Fu soltanto la nostalgia di essere all'estero, straniero fra stranieri, quasi la sensazione di essere in esilio, a suggerirgli di comprare un giornale della sua città, che in una situazione normale avrebbe snobbato, come voce ufficiale di regime.
     Nella cronaca gli balzò agli occhi una notizia di Padova, invece.
    
     Incendio doloso in una libreria, casa editrice della periferia di Padova. Per fortuna nessuna vittima. Gli inquirenti ritengono che la casa editrice "Mondo Migliore", libreria on line, fosse legata ad ambienti di estrema destra.
     Scomparso uno dei volontari, Alfonso R., che lavorava praticamente a tempo pieno nella libreria. Si ritiene che il R. sia il responsabile dell'incendio, ma si sta interrogando anche il titolare Donato B.
    
     «Guarda un po'.» Pensò Andrea sorbendo il fondo del caffè nero nella tazza grande.
     Lasciò il denaro sul tavolo e si allontanò sul viale. Aveva bisogno di pensare e si recò al Jardin des poetes, che a quell'ora del mattino avrebbe dovuto essere un posto abbastanza tranquillo.
     Su una panchina rilesse il piccolo trafiletto di cronaca.
     La casa editrice era quella su cui lui aveva riposto le maggiori speranze, dato che loro sul sito pubblicavano le stesse cose che stavano a cuore ad Andrea, all'epoca in cui aveva tentato invano di pubblicare il suo primo libro. Riponeva delle speranze dato che, nel passato, con l'occasione dell'acquisto di un libro on line, presso di loro, aveva avuto un piccolo scambio di mail con il titolare, Donato Balzano, che gli era parsa una persona cordiale, e, dagli argomenti delle mail, aveva capito che la pensavano allo stesso modo, sia per quanto riguardava la medicina ufficiale, sia per altri argomenti più generali.
     Non pensava però di essere di estrema destra. Anzi si considerava al di fuori della politica, essendo questa, a suo avviso, un teatrino ad uso e consumo del popolino.
     Le sue speranze erano comunque mal riposte. Nessuna delle case editrici contattate aveva omesso di rispondergli, solo "Mondo Migliore" aveva avuto un atteggiamento così cafone, da non rispondere. Si domandava il perché ancora adesso.
     E quell'altro, Alfonso Ratti, non poteva essere una coincidenza. Era quello che si firmava enfaticamente "Maestro di pittura laureato alla scuola Waldorff".
     Il mondo è piccolo. Molto strano. Magari era stato proprio lui a cestinarlo.
     Poi lo colse subitaneo il dubbio che gli stessi che davano la caccia a lui, avessero incendiato la libreria.
     Si augurò che quella storia finisse presto. Che potesse tornare a casa sua e non essere più uno scrittore in fuga alla ricerca dello Zen, della cultura e della Qualità. Sì, la ricerca l'avrebbe continuata, ma si augurava che la fuga non fosse più una necessità. Prima o dopo si sarebbero dimenticati di lui.
     A casa. Più ci pensava e meno considerava quella casa di Ripe, dove era stato trovato il morto, come casa sua. Sicuramente anche Anna non avrebbe più voluto restare lì. Sicuramente avrebbero dovuto venderla e cercarne un'altra. Considerò la possibilità di stabilirsi da qualche altra parte, magari in Liguria. In fondo cosa lo legava a Paesana? Ma il suo pensiero corse a quei monti. La natura selvaggia a portata di mano. Pochi passi da casa ed eri al di fuori della civiltà, al sicuro nei boschi, come era sempre piaciuto a lui, fin da bambino.
    

* * *


     Anna bighellonava fra i banchi del mercato di Cervo. Arrivò fino alla fine del mercato, voltandosi di tanto in tanto, per vedere se qualcuno la stesse seguendo. Sull'angolo fra la stradina che passa nel sottopassaggio della ferrovia e l'Aurelia, comprò delle pesche. Poi tornò indietro, non rifacendo il percorso del mercato a ritroso, ma sul marciapiedi dell'Aurelia. Si fermò un paio di volte. Si sedette su una panchina e osservò i passanti. Si persuase che nessuno l'aveva seguita e si avviò nuovamente. Giunta alla stazione di Cervo, vi entrò e lesse il tabellone delle partenze.
     C'era un treno locale per La Spezia proveniente da Ventimiglia di lì ad una mezz'ora.
     Alla biglietteria chiese conferma che fermasse, dato che Cervo era una piccola stazione. Per avere più opportunità sarebbe stato necessario andare alla stazione di Diano Marina, ma a Cervo c'era il mercato quel giorno, e le pareva un ottimo diversivo.
     Acquistò un biglietto sola andata per Genova. Nessuno in coda alla biglietteria, nessuno dietro di lei.
     Si sedette sulla panchina di fronte ai binari ed attese riprendendo la lettura del libro di Camilleri.
    
     Antony Russo aveva dato il cambio ai due che sostavano dinanzi alla casa alle sette del mattino. Li aveva mandati a dormire, incaricandoli di cercare l'alloggio di fronte al palazzo dove stava la Novelli.
     Non si era messo in auto come i sui due predecessori, ma bighellonava per la stradina. Il giorno precedente aveva osservato la gente che andava e veniva per quella strada. Turisti per lo più, vestiti al modo dei turisti. Camiciotti e brache di tela, con sandali e ciabatte. Quel mattino era diventato uno di loro. Un paio di pantaloni rossi di tela, con tasche dappertutto e un camiciotto a fiori. Sopra gli occhiali da vista aveva montato lenti da sole, che teneva rialzate per leggere seduto su un muretto, un depliant di un mobilificio che aveva trovato su una panchina. In un piccolo zainetto aveva la pistola e tutto ciò che poteva servirgli nel caso avesse dovuto andare lontano senza tornare in albergo.
     Il portoncino delle scale sbattè spinto dalla molla della chiusura automatica.
     Senza muovere la testa, Antony vide la signora Novelli apparire sotto gli oleandri con un carrello per la spesa.
     La seguì discreto ed anonimo. Sebbene la signora si voltasse di tanto in tanto, come per accertarsi di non essere seguita, Antony era certo, nel modo più assoluto, che non si fosse accorta di lui. Era invisibile, non fisicamente, ma come persona. Insignificante, irrilevante.
     Da quel continuo voltarsi nervosamente, capì che non stava andando a fare la spesa. Stava raggiungendo il marito. Conosceva le persone lui. Ma, conosceva ancora se' stesso?
     Quando la signora salì le scale che portavano alla stazione, attese quel tanto che bastò affinché la donna si sentisse sicura.
     Quando Antony entrò nell'atrio della piccola stazione di Cervo facendo finta di consultare i tabelloni delle partenze, la sentì chiedere un biglietto di sola andata per Genova.
     Attese che la donna si allontanasse dal locale e fece lo stesso biglietto. Pagò ed uscì dalla stazione. Per la prossima mezzora non era necessario stare addosso a quella signora. Anzi, era meglio non farsi vedere affatto. Passeggiò all'ombra degli eucalipti. Ad una edicola oltre il mercato fu tentato di acquistare un libro giallo in inglese, ma poi pensò che avrebbe comunque insospettito la donna, anche se si trovavano in un posto di villeggiatura, dove avrebbero potuto esserci turisti stranieri, così ne scelse uno in italiano.
     Saltò sul treno che stava per partire un attimo prima che si chiudessero le porte. Aveva individuato dove si era seduta la donna già mentre stava nell'atrio della stazione. Scelse lo scompartimento accanto. Per il momento non era il caso di "farsi vedere", nel caso poi la donna avesse preso altri treni. Troppe coincidenze possono dare nell'occhio.
    

* * *


    L'uomo nero, con i pantaloni rossi, stava importunando la signora dagli occhi buoni. Non che le parlasse o la toccasse, visto che era nel corridoio e non nello scompartimento, ma Mario lo sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Doveva assolutamente trovare l'uomo. Così sapeva che tutto sarebbe finito bene.
     Ma per quanto si affrettasse e cercasse di avvicinarsi all'uomo, gli sembrava di essere paralizzato e non riuscire a muoversi. Vide le porte che si chiudevano e il capostazione alzava la paletta per dare il via libera al macchinista del treno. Pensò di mettersi a correre, ma gli sembrava di essere paralizzato. Intanto il treno cominciava lentamente a muoversi.
     Un altro uomo, indispensabile per il buon fine della cosa che Mario doveva fare, riuscì ad aprire al volo una delle porte e salire, mentre il treno già acquistava velocità. Sul predellino, con la porta aperta, l'uomo con i baffi gli tendeva la mano e gli sorrideva. Mario era tutto sudato e non riusciva a raggiungere quella mano.
    
     Si svegliò con il batticuore. Mario Agolino, dopo aver lavorato per il fornaio fino a mezzogiorno, aveva mangiato qualcosa poi era andato a fare un pisolino.
     Guardò la sveglia sul comodino. Le quindici. Maledizione aveva dormito troppo. Doveva fare molto in fretta se voleva prendere il suo treno per andare ad accendere la piramide. Quello successivo l'avrebbe scaricato alla sua fermata che già sarebbe stato buio per arrivare alla baita. Figuriamoci per tornare indietro per quei sentieri.
     Di restare nella baita dopo aver acceso la piramide non se ne parlava nemmeno. Sarebbe stato come essere all'interno del campo magnetico rotante di un alternatore molto grande: non sapeva se ne sarebbe uscito vivo il mattino successivo.
     Giunse trafelato alla stazione che il treno si stava davvero muovendo e vide anche l'uomo con i baffi salirci al volo.
     Fece una corsa e salì senza fare il biglietto su un vagone di coda, aiutato dal misterioso uomo con i baffi, proprio come nel sogno. Cosa diavolo significava tutto questo?
     Non avrebbe rischiato molto, dato che sarebbe sceso alla terza fermata.
    

* * *


     Melis sbarcò a Genova a mezzogiorno. Al suo treno per Torino mancavano quattro ore. Decise che sarebbe andato a mangiare qualcosa.
     Nello specchio del bagno del ristorante contemplò la sua faccia stanca. Meno male che era reduce da una vacanza a casa sua nella sua terra! Si trovò...invecchiato. Non erano i capelli o i baffi con qualche filo bianco, era tutto l'insieme. Qualche ruga attorno agli occhi. La vista che non era più quella di una volta. Quei dolori nelle giornate più umide e in quelle molto ventose. La schiena e quella nuova punta di sciatica che lo tormentava. Stava bene solo sdraiato.
     Considerò l'idea di tagliarsi i baffi, ma la accantonò. Dopo tutta una vita con quell'aspetto, lui stesso non si sarebbe riconosciuto allo specchio senza baffi, figuriamoci il suo prossimo.
     Mentre aspettava la pasta con le vongole, gli venne in mente Elisa e quella sua pasta con le vongole e quello che era successo dopo. Scacciò il ricordo, come sempre quando lo coglieva in pubblico.
     Gli si presentò alla mente l'immagine della caserma di Paesana, con i suoi muri esterni intonacati di rosso chiaro, o rosa scuro, non sapeva bene come definire quella tinta. Si sentì come se stesse tornando a casa, e non già, come avrebbe dovuto essere, come credeva che avrebbe dovuto essere, che aveva appena lasciato la sua casa di Esterzili.
     Questa idea lo turbò un poco, perché metteva in dubbio tutto ciò che aveva di fermo da sempre. L'idea di tornare a casa una volta in pensione. Dove stava la sua casa?
     Aveva vissuto in tanti posti, per il suo lavoro e, proprio per questo considerava la sua casa quella dove era nato. Ma adesso, dopo Elisa, poteva immaginare di vivere lontano da dove viveva lei? Si confessò, forse per la prima volta da quando era cominciata, e finita, che non poteva stare solo senza di lei.
     Raggiunse la stazione con la calma di chi non ha fretta. Dentro la stazione si sedette ad un bar e ordinò un caffè corretto.
     Mentre lo sorbiva osservava il via vai delle persone che si affrettavano per prendere un treno o che ne discendevano per andare incontro a chissà quale loro routine quotidiana noiosa e impellente.
     Si ricordò del romanzo del Novelli che aveva nella borsa e che aveva letto soltanto a metà, e si immerse nella lettura.
     Fu davvero un caso, che alzasse gli occhi mentre poco lontano passava giusto la signora Anna Novelli.
     Lei non si avvide del maresciallo vestito in borghese, ma Melis individuò subito un uomo, vestito in modo strano, pantaloni rossi e camicia a fiori, che la stava seguendo senza dare nell'occhio.
     Istantaneamente il maresciallo Melis cambiò i suoi piani. Non sarebbe rientrato immediatamente a Paesana, ma si sarebbe accodato nel pedinamento. C'erano buone probabilità che la signora avrebbe condotto il suo inseguitore dal marito latitante. In quel caso Melis avrebbe avuto la responsabilità di intervenire.
     Rimase sul marciapiede fino all'ultimo. La signora Novelli ed il suo inseguitore avevano preso posto in due scompartimenti attigui. Che si fosse sbagliato su quel tizio in pantaloni rossi dall'aspetto...insignificante? No. Non lo credeva nemmeno per un istante. Era proprio l'aspetto insignificante a metterlo in allarme.
     Salì sul treno un attimo prima che iniziasse a muoversi. Nel chiudere lo sportello si accorse di un uomo grassottello che, ansimando, tentava di raggiungerlo, e gli tese la mano per aiutarlo a salire.
     Chissà perché aveva l'impressione di conoscerlo da sempre?
    

* * *


     Andrea Novelli strappò il trafiletto del giornale con la notizia dell'incendio alla casa editrice di Padova, avendo cura di includere anche la data del giornale. Lo ripiegò e lo inserì nell'agenda che portava sempre con se', nelle sue passeggiate per la città. Gettò il resto del giornale in un cestino e si avviò verso la casa della zia in rue de la Faience.
     Aveva promesso alla zia che avrebbe pranzato con lei.
     «Est ce que tu as vu le tonton Jacques sur les allè? Qu'est que il faisait?»
     Ricordandosi di avere visto dei pensionati giocare a bocce, per tranquillizzare la zia, tanto un attimo dopo l'avrebbe dimenticato, rispose:
     «Il jouait a la petanque.» Usò nel pronunciare la frase, il vezzo dei francesi del sud di calcare l'accento sull'ultima sillaba, proprio come aveva imparato lì, tanti anni prima. Sembrava quasi il dialetto che si parlava sulle montagne dalle sue parti. Un'unica lingua per un paese immaginario e grande, trasversale nel tempo e nello spazio, dell'Occitania.
     La zia sembrò rassicurata e soddisfatta, ma domandò ancora:
     «It l'has vist-lo con ëd fomne?»
     «No, zia. Erano tutti uomini.»
     Poi le disse che presto sua moglie li avrebbe raggiunti e ricominciò la sequela di domande sul numero dei figli, alternate a quella in cui chiedeva se era già fidanzato, seguita da:
     «Sei già sposato?»
     Andrea si domandò se sarebbe successo anche a lui, qualche anno dopo. Magari la malattia poteva essere ereditaria e sapeva di condividere con la prozia materna, una parte del patrimonio genetico. Ma si disse che poteva anche essere dovuta alla quantità ed al tipo di farmaci assunti in tutta una vita. Aveva sempre visto la zia ingurgitare una incredibile varietà di pillole prima e dopo i pasti, e si domandava sempre quale razione potesse avere tutta quella chimica nel suo apparato digerente, interagendo e reagendo fra loro e con il cibo.
     Scacciò quei pensieri dicendosi che bisognava pur morire, in qualche modo, prima o dopo. Per questo Andrea non assumeva farmaci da molti anni. Il ragionamento di fondo era che avrebbe accettato ciò che la vita gli avrebbe destinato, ma non si sarebbe cacciato nei guai con la chimica farmaceutica, i cui effetti a lungo termini non erano noti ne' avrebbero potuto esserlo mai. Si sarebbero dovute fare costose e lunghe ricerche trasversali e longitudinali. Senza contare l'effetto interattivo fra tipi di farmaci differenti. Non se ne poteva uscire.
     Pranzarono serenamente loro due e la bonne polonnaise, che cucinava discretamente, anche se metteva i cavoli ad ogni pasto. E grandi quantità di pommes de terre.
     Dopo pranzo la zia, come d'abitudine, si coricò per la pennichella.
     Anche Andrea, contrariamente alle sue abitudini, si distese sul suo letto al piano terreno. L'aria era carica di umidità e di elettricità. Aveva anche cominciato a piovere. Si udivano le gocce battere sul tetto piatto catramato del garage davanti alla sua cameretta. Un tardo temporale autunnale. Non aveva mai amato andarsene in giro con un ombrello. Gli pareva di precludersi l'energia che pioveva gratuita dal cielo, sia che piovesse che fosse sereno. Si appisolò quasi subito. Aveva tentato di leggere un poco, ma gli occhi l'avevano abbandonato e la mente andava per conto suo. Forse era la minestra di cavoli.
    

Ci fu una esplosione tremenda. Lui era così vicino che temeva per la sua incolumità. Ma malgrado il rumore assordante e totale, la luce così intensa da non poterla sopportare, aveva coscienza di se'. Quindi era vivo.
     Si sentì scagliato lontano dal centro dell'esplosione. In ogni direzione. Era vivo, ma era come se si fosse moltiplicato per cento, per mille, per miliardi di parti.
     Minuscole particelle di se' stesso stavano andando in tutte le direzioni possibili dello spazio. Tutte quante avevano la sua coscienza di essere. Era come se stesse sperimentando molte vite contemporaneamente, facendo esperienze diverse, con una coscienza unitaria.
     Ebbe l'intuizione di aver assistito alla creazione dell'universo. Di essere stato spettatore del grande Big bang.
     Era durato un niente, ma era come se avesse vissuto a lungo, molto a lungo.


     Si svegliò e udì il rumore del tuono in lontananza. La luce proveniente dalla piccola finestra era aumentata di intensità. Fuori splendeva il sole.
     Nella luce della finestra si stagliava la sagoma della bionda trentenne polacca. Non molto alta, grassottella, lunghi capelli lisci, così biondi da parere bianchi. Forse era entrata per rassettare la camera, pensando che lui fosse uscito. O forse era venuta proprio perché non era uscito, quel giorno.
     La mise a fuoco meglio, stropicciandosi gli occhi. Vide che i suoi occhi cinerei stavano guardando proprio lui e la sua mano si insinuava fra le sua cosce, alzando ulteriormente la gonna cortissima.
     Non indossava mutandine. Si intravedevano dei sottili riccioli bianchi e trasparenti, alla luce della finestra dietro di lei.
     Gli si avvicinò e si sedette su di lui. Senza che Andrea se ne rendesse conto, la sua mano esperta l'aveva guidato dentro di lei ed ora si muoveva ritmicamente, con tutto il corpo, avanti ed indietro, in alto e in basso.
     L'odore intenso di lei lo colpì alle narici. Chissà perché le bionde avevano un odore diverso?
     La ragazza si muoveva sempre più rapidamente e ansimava. Buttò la testa indietro, frustando l'aria con i lunghi capelli e inarcando la schiena all'indietro, scossa da vibrazioni selvagge. L'umidità di lei lo avvolse di un piacevole tepore viscoso.
     Anche Andrea venne immediatamente. Il tutto era durato pochissimi secondi.
     La ragazza si alzò e lasciò la stanza, senza dire nemmeno una parola nel suo francese stentato.
     Andrea era stupito, indispettito, deluso e sessualmente appagato. Si domandò come potessero coesistere sensazioni così antitetiche e disparate, in una sola persona, allo stesso tempo.
     Si alzò e si sciacquò nell'acquaio di quella che era un tempo una cucina, ed ora era la sua stanza da letto. Poi andò in bagno ad orinare, domandandosi cosa avesse sognato.
     Qualche cosa indubbiamente importante, che doveva assolutamente ricomporre, dato che la ragazza gli aveva impedito di farlo subito, al risveglio.
     Chiuse gli occhi assaporando il piacere dell'orinare e paragonandolo all'orgasmo appena avuto. Due esperienze affini, ma diverse.
     Una esperienza mistica aveva avuto. Quel pensiero lo elettrizzò. Gli parve di avere desiderato una cosa simile per tutta la vita. Aveva letto di altri che descrivevano una esperienza simile. Il Big bang, l'energia intensa, l'essere scagliato nell'universo. Assistere alla creazione.
     Doveva assolutamente riflettere su questa cosa. Ritornò nella camera e chiuse a chiave questa volta.
     Forse tutto era molto semplice. Le religioni orientali lo sapevano. La conoscenza va ricercata dentro di se', non nei libri, come Andrea aveva sempre fatto.
     Gli orientali, ma anche, ad esempio, i nativi americani, avevano inventato oppure erano state loro trasmesse, pratiche per cercare l'illuminazione, il contatto con il divino.
     Queste pratiche erano lo yoga, la capanna sudatoria, il digiuno e la mortificazione del corpo, la danza del sole e mille altre, quante erano le culture di popoli antichi, non ancora corrotte dall'incontro con la nostra.
     C'era stato un periodo che Andrea aveva cercato questa esperienza con il training autogeno di Schultz, perché riteneva che lo yoga fosse incomprensibile ad un occidentale. Il guaio era, che se lo cerchi, il Buddha o l'illuminazione, essi non si fanno trovare. Era come quando perdi qualche cosa, e la trovi solamente quando smetti di cercarla. L'analogia della perdite di qualcosa non era campata là casualmente. La conoscenza, Andrea ne era convinto, era davvero qualche cosa di perduto dall'umanità, che un tempo antico la possedeva.
     Andrea era convinto che la perdita fosse dovuta ad un fatto preciso. La corrotta idea di Dio che hanno tutti i popoli che fanno riferimento all'Antico Testamento. Un Dio umanizzato, assoluto, onnipotente, altro da noi.
     Pensava che questa idea di Dio fosse direttamente connessa all'invenzione del denaro.
     Prima del denaro, in un regime di caccia raccolta e, al massimo di scambi di merce contro merce, era necessaria l'idea di uno Spirito omnipervasivo, che unisce tutti gli uomini, tutti gli esseri alla natura tutta. Una sorta di energia a cui tutti siamo legati. L'energia creatrice di tutte le cose. Il Grande Spirito dei nativi americani esemplifica bene questa idea. Tutto quanto è pervaso della sacralità di questo Spirito e non potrebbe essere altrimenti.
     Tutti quanti sono perfettamente in grado di "connettersi" a questa energia, senza intermediari. Non esiste in questo contesto la figura del "sacerdote" inteso come specialista nelle cose di Dio, che, solo, può aiutare a rivolgerti a Lui, facendo da mediatore.
     Con il denaro invece, si rende necessaria l'idea di un Dio irraggiungibile, inavvicinabile e intoccabile. L'umanità deve abituarsi ad avere paura di questo essere estremamente potente che la domina dall'alto della sua posizione. Quando i tempi saranno maturi, a questa idea di dio onnipotente si sostituirà quella del Signore del mondo, padrone del denaro che ha inventato lui e che appartiene a lui solo. Tutti gli altri uomini sono schiavi di questo signore e padrone di tutto. In questo sistema si coltiva e si instilla la paura nell'uomo, perché tramite questa lo si può dominare.
     Paura del futuro, che mancherà il nutrimento, delle malattie, della morte, delle punizioni nella vita e dopo la morte.
     Esattamente l'opposto di quanto accadeva in quelle culture "altre", dove si faceva di tutto, con riti d'iniziazione fatti di privazioni, prove di coraggio, cerimonie che infliggevano dolore fisico, proprio per eliminare dall'uomo la paura, l'ansia. E la vita era gioia e avventura, laddove, nella nostra cultura è angoscia e stress.
     Fra queste genti l'uomo doveva dimostrare di ESSERE impavido e possedere le virtù dell'eroe, quando da noi si è apprezzati per ciò che si HA, senza alcuna attenzione per ciò che si è, o si potrebbe divenire, coltivando i semi della conoscenza dentro ognuno di noi e della nostra unicità di esseri umani, tutti simili, ma tutti diversi, omologandoci in uno stereotipo irreale quanto utopico.
    
     Prese la sua agenda e uscì. Ormai c'era il sole e la temperatura era piacevole. Della pioggia rimaneva il ricordo nell'odore di bagnato, nell'acqua che ancora correva nei canaletti di scolo delle stradine, a lato dei marciapiedi, nelle foglie di platano cadute per la furia del temporale.
     Le allè presero a ripopolarsi, dopo la fuga forzata dovuta al temporale. Sostò davanti ad una edicola. Sui giornali campeggiava la telenovela dell'affaire Sarkozy. Tutto il mondo è paese. Anche qui, come nel nostro paese, riflettè Andrea, i media enfatizzavano certe notizie per nasconderne altre che non dovevano dare. Trovati i cadaveri di cinque bambini nella cantina di una donna di trentacinque anni, nei pressi di Valogne.
     Tutto come da noi. Una società occidentale corrotta e decadente. Senza valori, dove ogni cosa ha un prezzo, compresa la vita umana. E ci riteniamo così civili da esportare la nostra civiltà anche con le armi, dove non vivono come noi, e dove hanno qualcosa che ci serve nel sottosuolo.
     Persone depresse da questo stato di cose, "curate" con droghe legali, che magari inducono ad uccidere i propri bambini, il proprio coniuge, la suocera e via discorrendo. Sul giornale italiano che aveva acquistato, una donna nei pressi di Torino, aveva gettato la figlia di cinque anni dal balcone. Ecco perché da anni non acquistava i giornali, non ascoltava telegiornali.
     Voleva far finta di vivere fra gente per bene, come quando stava con i suoi nonni da bambino, in una casa povera ma accogliente. Pochi oggetti consueti erano tutto ciò che serviva. Una partita a tre sette o a briscola, la sera, alla luce di una lampadina fioca, sul tavolo della cucina, prima di andare a letto. Allora si sentiva sicuro, protetto. Adesso cosa garantiva che sarebbe stato vivo il giorno dopo, se il mondo era in preda alla follia generalizzata?
     Gli tornò alla mente il film di Mel Gibson, Apocalypto, visto pochi giorni prima in una sala, nel tentativo di ingannare il tempo, tanto tempo libero che adesso aveva.
     Il contestato film sulla decadenza della civiltà dei Maya, al di là delle inesattezze storiche come quella dell'eclisse, che avrebbe spaventato tutti, cosa non credibile in quanto le conoscenze astrologiche dei Maya erano estremamente avanzate, propone la tesi che una società crolla quando la corruzione la divora dall'interno. Che in quel periodo storico, in cui i sacerdoti facevano sacrifici umani a iosa, dall'alto delle loro piramidi, forse per scongiurare una grave siccità che avrebbe provocato una enorme carestia, fossero arrivati anche gli invasori spagnoli, europei, sembra essere un accidente collaterale, secondo il regista. In realtà non è una cosa da poco quello scontro di civiltà. Fatto sta che i Maya scomparvero all'improvviso, senza lasciare tracce.
     È chiaro che sta accadendo nuovamente. A noi proprio. Siamo una civiltà corrotta e senza valori. Esseri umani attoniti, disorientati. È in atto una vera e propria invasione di genti diverse, venute da ogni dove, nel rinnovato tentativo di trovare qui, da noi, il loro El Dorado.
     E qualcuno sta soffiando sulle braci per fomentare uno scontro di civiltà. Se solo ci si fermasse un attimo a riflettere sul significato della parola civiltà.
     Si ipotizza tra breve, nel 2012, una inversione di polarità dell'asse terrestre. La fine di un nuovo ciclo, secondo, guarda caso, proprio il calendario Maya.
     Ci sono tutti gli ingredienti del solve et coagula dell'alchimista massone, per distruggere una cultura e crearne una nuova. Ma chi ha progettato o progetterà quella nuova, che inevitabilmente, come successo molte volte, sorgerà dalle ceneri della vecchia?
     È successo molte volte, anche qui da noi. Ci sono oggi gli stessi ingredienti e le stesse circostanze che ci furono alla caduta dell'impero romano.
     Perché nessuno degli intellettuali giornalisti lo dice?
     Perché cadono regni ed imperi, ma il potere economico non passa mai di mano?
    
     Acquistò un fumetto di Asterix. Aveva imparato il francese, in gioventù, sui fumetti. Oncle Picsou, Donald, Rirì, Fifì e l'altro? Come si chiamava il terzo nipotino di Paperino? Per scoprirlo acquistò anche un fumetto di Disney. L'edicolante non immaginava nemmeno che erano proprio per lui quei fumetti, e non per dei nipotini che non aveva, non poteva avere.
     Mise tutto nello zainetto ed andò nei giardini e si mise ad osservare i ciprinidi di vari colori e grandezze nelle vasche. Chissà come li nutrivano?
     Ripensò alla bionda polacca, dagli occhiazzurro chiaro, con cui aveva appena avuto un rapporto sessuale. La donna ideale: non aveva aperto bocca, aveva preso lei l'iniziativa, e se ne era andata subito dopo. La Qualità sessuale personificata.
     Ebbe voglia di allontanarsi dalla città. Erano troppi giorni che vi era immerso e non ne era abituato. Lui amava i grandi spazi aperti. La campagna o la montagna. Pensò ai piccoli villaggi lì attorno che conosceva.
     Roujan, dove la zia aveva avuto in passato un ristorante, e dove ancora viveva la vedova di Jean, un figlio di magna Mariota e forse la figlia. Ricordò avventure da feste di paese, tanti secoli prima.
     Oppure sarebbe potuto andare verso il mare. Valras, dove la zia aveva avuto una casa, oppure Serignan.
     Non molto lontano di lì, c'era un luogo molto famoso, dove non era mai stato. Rennes les Chateaux.
     C'era soltanto l'imbarazzo della scelta. Tempo ne aveva. Aveva la sua bicicletta, che non aveva più toccato dal suo arrivo a Bèziers.

* * *


     Antony Russo scese dal treno alla prima fermata, terrorizzato sull'orlo della pazzia. Non avrebbe mai più fatto quel lavoro. Dentro di se' aveva già deciso che la sua uscita dalla società civile poteva essere una sola. Fare il barbone.
     Cosa gli era successo? Quell'uomo dagli occhi spiritati pareva avere atteso che uscisse dallo scompartimento. Si era alzato per andare in bagno e l'uomo gli aveva stretto la mano e non lo mollava più. Antony conosceva la propria forza e sapeva che avrebbe potuto sottrarsi a quella stretta di mano indesiderata. Ma non l'aveva fatto. Non aveva potuto. Non aveva voluto.
     Non appena le loro mani si toccarono si sentì invadere da una energia potente, invincibile, buona, piacevole.
     Era stato un po' come quando aveva...stuprato la ragazza nera, ma cento, mille volte più potente. Mano a mano che questa energia lo invadeva, si impossessava di lui, Antony si sentiva più buono e provava orrore per tutto il male che aveva fatto nella sua vita. Giurò a se'stesso che non avrebbe più nuociuto a nessuno.
     Quando l'uomo davanti a lui, che sembrava esausto, mollò la presa, Antony rientrò nuovamente nello scompartimento che occupava poco prima, prese la sua borsa, consegnò la pistola all'uomo e si precipitò in bagno, da dove uscì solo quando il treno iniziò a rallentare per poi fermarsi ad una piccola stazione.
     Appena fuori della stazione, inforcò una bicicletta carica di borse e di zaini che stava lì incustodita e si avviò per la strada in discesa che ritornava verso il mare.
    
     Melis poco lontano aveva assistito alla scena della stretta di mano e pensò, in un primo momento, che l'uomo che aveva aiutato a salire sul treno in movimento, e l'inseguitore della signora Novelli si conoscessero.
     Quando comparve la pistola si spaventò, ma durò poco. L'uomo con i pantaloni rossi la consegnò all'altro tenendola per la canna.
     L'uomo parve disorientato in un primo momento, poi se la infilò in tasca solo per avere due mani libere per aprire un finestrino del corridoio.
     – Fermo, carabinieri!
     Urlò il maresciallo vedendo che l'altro stava facendo il gesto di gettare la pistola dal finestrino appena aperto. Esibì il suo tesserino.
     – Cosa fa? È matto? Se la trova qualche bambino e uccide accidentalmente qualcuno?
     – Lei conosceva quell'uomo?
     L'altro uomo, quello con i pantaloni rossi, intanto si era diretto verso l'opposta estremità del vagone.
     – Mai visto prima.
     – Allora mi spiega perché gli ha stretto la mano?
     –Quell'uomo...era...cattivo, molto cattivo. Adesso è innocuo.
     – Ma cosa dice? Mi dia i suoi documenti prego. Questa me la tengo io.
     Mise la pistola nella valigia che aveva vicino a lui.
     – Io non ho fatto niente di male.
     Disse mentre gli porgeva la carta di identità.
     Quell'uomo era strano, ma non era un delinquente, di questo Melis ne era certo. Il suo istinto di sbirro non l'aveva mai tradito. Ad ogni buon conto si segnò le generalità dell'uomo su un taccuino che aveva nel taschino della giacca. Il treno si era fermato ad una stazione. Melis si ricordò dell'altro uomo.
     – Potrei avere bisogno di parlare ancora con lei. Buon giorno.
     Vide l'uomo con i pantaloni rossi allontanarsi dal treno verso l'uscita della piccola stazione. Fu tentato di inseguirlo, ma aveva altro da fare. Doveva stare dietro alla signora Novelli. Aveva la sua valigia sul treno con un'arma pericolosa dentro.
     Guardò da entrambe le parti del treno sperando di vedere qualcuno della PolFer, ma non vide nessuno. Non ci sono mai quando servono.
     Il treno ripartì. Melis era incerto se farsi vedere dalla signora Novelli oppure seguirla discretamente. A questo punto, era quasi certo che seguendo la signora sarebbe arrivato al marito. Era proprio ora di fare due chiacchiere con lui.
     Ma si sbagliava. Sarebbe stata ancora lunga. Decise di non farsi ancora riconoscere, per il momento, dalla signora.
     Telefonò al capitano Palmieri per aggiornarlo sugli sviluppi e dirgli che non sarebbe rientrato. Il treno entrò in una galleria e la comunicazione si interruppe. Dovette richiamare.
     L'uomo che aveva aiutato a salire sul treno scese alla stazione successiva. Non credeva di avere ancora bisogno di lui, ma, ad ogni buon conto aveva i suoi dati.

* * *


     Emanuele Caruso pensò ai fatti di Paesana per ritardare, come faceva sempre, il momento supremo.
     Era appeso per i piedi a testa in giù, completamente nudo, su una panca per inversione.
     Giuliana, seduta davanti a lui, in punta ad una seggiola, che oltretutto era di plastica trasparente come il vetro, offriva ai suoi occhi uno spettacolo dal basso di lei, anche completamente nuda, che lo eccitava all'inverosimile.
     Con le mani si dondolava leggermente sulla panca, sia per vedere ciò che succedeva più in alto, dove la bocca di lei gli stava facendo una cosa estremamente delicata e fine, sia per avvicinarsi ed allontanarsi aritmicamente a lei, ora in basso, ora in alto. La lingua di Emanuele lambiva, nella fase di avvicinamento a lei dal basso, i suoi riccioli e le labbra umide.
     Non resse a lungo, nemmeno pensando ai due morti di Paesana, uno dei quali particolarmente cruento e sanguinoso.
     Giuliana era la quintessenza dell'amore fisico. Emanuele trovava ogni scusa per recarsi in Calabria a trovarla ad ogni piè sospinto. Consegnava lavori professionali della moglie e si riforniva di generi alimentari calabresi, che sono i migliori al mondo.
     Ritornava da una breve vacanza o anche soltanto da un rapido fine settimana, carico di salami piccanti, cipolle di Tropea, caciotte e vino di Cirò. Ritornava scarico delle tensioni sessuali accumulate nei periodi trascorsi a Saluzzo.
     Quella ragazza era una bomba, al contrario della moglie, che da quel punto di vista, era un tantino carente, priva di voglie e della fantasia a lui necessaria. Aveva altre doti la moglie. Sapeva fare soldi. Non si può avere tutto dalla vita.
     Appena lasciò la sua bella, decise di telefonare al maresciallo Melis, per vedere se ci fossero novità. Per lui non c'erano dubbi sui due casi. Quel ...Novelli era l'assassino. Non capiva perché Melis fosse restio ad ammettere questa conclusione e decidersi a dargli qualcosa per spiccare un mandato di cattura per l'uomo.
     – Allora maresciallo, cosa mi racconta? Ci sono novità?
     – Buon giorno, dottore. Si ci sono alcune novità, ma è una faccenda un poco complicata da spiegarle per telefono. Io, tra l'altro, sarei ancora in licenza, ma è successo un fatto strano, proprio mentre stavo rientrando. Appena rientro a Saluzzo le spiegherò tutto quanto dettagliatamente. Per ora sto seguendo la signora Novelli nella convinzione che mi conduca dal marito. Ho assolutamente bisogno di parlare con lui. Dopo di che le saprò dire con più precisione cosa penso di tutta la faccenda. Comunque, ho appena parlato con il signor capitano Palmieri, il quale è al corrente degli ultimi sviluppi.
     – Va bene, maresciallo. Non la disturbo oltre. Sa, anche io sono in vacanza in Calabria. Il solito rifornimento alimentare. La saluto. Ci vediamo presto.
     – Buona giornata, dottor Caruso.
     Melis diede mentalmente dell'idiota al sostituto procuratore Caruso. Indovinava cosa andava a cercare, recandosi così spesso in Calabria. Altro che salumi piccanti e caciotte. Non era sbirro per niente lui. Turismo sessuale, senza dubbio. C'è chi va a Cuba, chi nell'ex Unione Sovietica, ma sempre la stessa cosa cercano certi uomini.
    
     Alla stazione centrale di Milano c'era un gran via vai di gente e non fu difficile per il maresciallo Melis, seguire discretamente la signora Novelli.
     – Segua quel taxi, presto!
     Disse al taxista mettendogli il tesserino dei carabinieri vicino all'occhio destro.
     – Lo sa che è tutta la vita che mi aspetto che accada una cosa del genere?
     – Non siamo in un film americano. Non faccia lo spiritoso e soprattutto, non perda di vista quell'auto. Senza farsi notare troppo. Soprattutto se non vuole perdere la licenza.
     Il tassista, un cinquantino, non fiatò più, ma guidò con maestria, evitando di fare pazzie. Non perse di vista mai il taxi e, soprattutto, non lasciò che succedesse, che l'auto inseguita passasse magari col giallo, lasciando i suoi inseguitori con un palmo di naso.
     In breve furono in periferia.
     – Quarto Oggiaro. Maresciallo stiamo seguendo uno spacciatore?
     – Ma quale spacciatore? Non vede che sul taxi c'è una signora? In ogni caso c'è un indagine in corso, e non posso dirle nulla. Faccia il suo mestiere che io faccio il mio, e alla fine saremo tutti felici e contenti.
     Il taxi davanti fece un tratto in senso vietato e il tassista di Melis si voltò verso il cliente soltanto un attimo, una piccola esitazione, poi imboccò anche lui il breve tratto di senso vietato, non osando porre altre questioni.
     In effetti la strada poi proseguiva in senso giusto. Quelli che dal comune stabiliscono i sensi unici, in tutte le città italiane, devono avere frequentato una speciale scuola per idioti. A volte ci sono posti che al viaggiatore non del posto sembrano irraggiungibili. Oppure, quando lo sono, si deve fare il giro completo della città, per arrivarci dall'altra parte "giusta".
     Il taxi della signora Novelli si fermò davanti all'accesso di un condominio popolare.
     Melis fece tornare indietro il suo autista in modo da non essere nella visuale della donna.
     La signora scese e si avvicinò all'ingresso del condominio e suonò, attese la risposta. Parlò appena un attimo ed entrò.
     Melis ci pensò soltanto un momento. Lesse il numero di telefono sulle porte di entrambi i taxi e decise di licenziare il tassista. Pagò, lasciando il resto e si precipitò nelle scale per vedere se era possibile sapere a che piano andava la signora, tanto la porta delle scale era sempre aperta.
     Al piano terra non c'era nessun indicatore del piano a cui andava l'ascensore. Era un condominio di quarant'anni prima.
     Decise che per il momento avrebbe atteso nel cortile, tanto non c'erano altre uscite. Chi era nel palazzo doveva uscire da quella porta.
     Si davano due casi. O il Novelli si trovava già lì, oppure da lì, la signora l'avrebbe raggiunto.
     Poteva anche darsi che il viaggio fino a lì, fosse soltanto un diversivo per depistare o perdere per strada eventuali inseguitori.
     Dubitava che fosse frutto della signora un ragionamento simile. Ma poteva anche darsi che marito e moglie avessero in qualche modo concordato un piano per poi riunirsi in qualche modo. A quanto ne sapeva il maresciallo, dopo i fatti di Paesana i due non si erano più visti. Aveva fatto indagare i suoi con il computer, dato che per il maresciallo non era cosa, non ci si voleva impegnare con quella diavoleria, venendo a sapere che la coppia aveva un alloggio in Liguria.
     Ma se l'uomo si trovava in Liguria, perché ci aveva incontrato soltanto la signora, per di più pedinata? Se gli inseguitori avessero già trovato il Novelli, non ci sarebbe stato motivo per seguirla ancora occultamente.
     Scommise con se' stesso che il marito non era lì. Lì la signora doveva averci qualche parente. Prese un appunto mentale per far fare una ricerca in proposito. Scommise anche che il marito era sicuramente molto lontano da lì, nella direzione opposta a quella Genova Milano.
     Gli passò per la mente l'idea di farsi mandare un'auto civetta, dai colleghi locali, nell'eventualità di dover seguire la signora, ma gli parve una cosa ridicola giocare allo zero zero sette. Quando la signora Novelli fosse scesa di lì, Melis avrebbe giocato a carte scoperte. L'avrebbe convinta a portarlo con se'dal marito. Era davvero tempo di parlargli. A quel punto, lui poteva garantirle di non essere più seguita da nessuno, mentre invece lo era sul treno.
    
     «Anna, conza la tavola che squado la pasta e manciamo.»
     La nonna, pur vivendo a Milano da quarant'anni, quando poteva, essendo con qualcuno di famiglia si lasciava andare al dialetto suo calabrese.
     «Però, dimme la verità. Avete litigato con Andrea? Nun ce posso crede che arrivi qua sola. Lui dov'è?»
     «Ma no, nonna. Stai tranquilla, che non è successo nulla. Te l'ho già detto. Io stavo al mare e lui, sai com'è, preferisce stare a Paesana, vicino alle sue montagne. In più stava scrivendo e preferiva stare solo. Tornando a casa dal mare ho voluto passare a trovarti. Avevo tanta voglia di vederti, nonnina bella.»
     Le fece una carezza sulla guancia. Ripresero a mangiarsi la pasta in silenzio.
     «Ma! Io non sugno convinta. Quanno 'u diavolo t'alliscia...Non è che mi vuoi fare fissa? Già tengo tanti pensieri per i figli miei. Sa com'è. Sono grandi ma ancora mi fanno tribolare.»
     Di certo Anna non si sentiva di caricare la nonna, quasi novantenne, della storia del cadavere trovato in casa sua, della fuga di suo marito, chissà da chi...
     Sarebbe stata tentata di domandarle piuttosto, come era che lo zio Alessandro si era amminchiato con Scientology, ma anche lì, le pareva che avrebbe rigirato un coltello in una ferita aperta.
     Si domandò come sarebbe stata lei da vecchia. Se ci fosse arrivata a quella veneranda età e se fosse stata lucida. Si rispose che la lucidità e l'autosufficienza erano le sole condizioni che avrebbe posto al suo invecchiare. Non avrebbe potuto sopportare gli insulti della demenza e della necessità di avere persone che avrebbero badato a lei. Non avendo figli, sarebbe stata dura dover sopportare degli estranei, oppure, peggio ancora, l'umiliazione delle case di ricovero.
     «Dopo pranzo mi piacerebbe andare al cimitero dal nonno. Tu ci vuoi venire?»
     «No, gioia, vacci tu. Io mi sento un poco stanca e, dopo fatti i piatti me ne vajo 'n poco o litto. Ma se ci vuoi andare, pigli la diciotto e ci arrivi subito.»
     «Non ti preoccupare nonna. Ai piatti ci penso io. Quando vuoi, distenditi pure sul letto. Io chiamo un taxi per andare al cimitero.»
    
     La nonna era stata una forza, durante tutta la sua vita. Aveva allevato nove figli, praticamente da sola. Il nonno era diventato invalido a cinquant'anni e, oltre a badare ai figli, la nonna dovette occuparsi pure di lui, per vent'anni, non più autosufficiente.
     La nonna aveva fatto diplomare tutti i figli. Con sacrificio ed economia, spaccando in quattro i pochi spiccioli della pensione di invalidità e degli stipendi dei più grandi.
     Quando tutti furono "sistemati", chiese ad una delle figlie, insegnante elementare, che le insegnasse a leggere e scrivere, perché si vergognava un poco di questa sua lacuna. La figlia, col lavoro e la sua famiglia, non aveva tempo, ma le trovò una scuola nel quartiere, che aveva istituito dei corsi per adulti. Si prese il diploma elementare. Quel foglio fu il suo orgoglio, secondo solo alla buona riuscita di tutti i suoi figli.
    
     Anna rimase di stucco, trovandosi di fronte il maresciallo Melis, in borghese, proprio mentre stava per salire sul taxi.
     «Signora Novelli, dove sta andando? Suo marito dove si trova?»
     «Maresciallo! Lei qui? Salga con me sul taxi, che vado fino al cimitero dal nonno. Non facciamo piazzate qui, che magari mia nonna si affaccia e chissà cosa pensa. Ha novant'anni e non sa nulla di tutto quello che è successo. Nemmeno le vorrei spiegare che ci facevo con uomo che lei non conosce, sotto casa sua.»
     Melis mise al corrente la signora Novelli del fatto che si trovasse per caso alla stazione di Genova, dove si era accorto del tizio che la pedinava. Di come il tizio avesse abbandonato, e del fatto che l'avesse seguita fino a lì, nella speranza di poter parlare con suo marito, finalmente.
     «Mio marito non si trova qui. È all'estero. Se lei mi assicura che vuole solo parlargli, io l'accompagno da lui. Non ha fatto nulla, sa? Io lo conosco bene mio marito.»
     Anna mise dei fiori freschi sulla tomba del nonno e Melis andò a buttare quelli vecchi nel cassonetto.
     Anna si fece il segno della croce e uscirono dal cimitero, come una coppia qualunque.
     «Anche io sono convinto dell'innocenza di suo marito. Tant'è vero che fino ad ora ho insistito presso il procuratore affinché non spiccasse mandato di cattura. Se l'avesse fatto, prima o dopo l'avremmo ritrovato. Anche all'estero, mediante l'Interpol.»
     Anna riflettè un po'. Infine, quando già erano sul taxi sulla via del ritorno, acconsentì ad accompagnare il maresciallo dal marito.
     «Io ho promesso alla nonna che avrei dormito a casa sua questa sera. Adesso non voglio cambiare i piani ed insospettirla. Ha quasi novant'anni ed è lucida. Le voglio molto bene e voglio comunque passare un poco di tempo con lei. Sa com'è? A quell'età, ogni volta potrebbe essere l'ultima volta che li vedi. Si trovi sotto casa domattina presto e andremo da mio marito.»
     Il maresciallo Melis riflettè a lungo. Per la sua mente passò l'immagine di sua madre malata e di suo padre e si domandò se li avrebbe rivisti ancora.
     Decise che poteva fidarsi della signora. Avrebbe anche potuto fare finta e poi, col supporto di altri carabinieri, continuare l'appostamento sotto casa. Ma Melis era un uomo che nutriva una profonda fiducia nel proprio istinto di sbirro. Questo gli diceva che la signora Novelli avrebbe mantenuto la parola.
     Si diedero appuntamento per l'indomani alle otto. Infine Melis si fece portare ad un albergo con ristorante non troppo lontano da lì, dal tassista.
     Aveva bisogno di una buona mangiata e di una bella dormita.

* * *


     Quando anche l'ultimo degli Anziani terminò di parlare, i candidati si alzarono in piedi, e tutti quanti i presenti nella cattedrale, senza che nessuno l'avesse detto esplicitamente, perché come iniziati erano in contatto telepatico fra di loro, pronunziarono a gran voce, in coro:
     «Che l'Energia e la Conoscenza siano con noi!»
     I candidati attraversarono la linea ideale fra le due colonne, muovendosi verso il palco dove stavano gli Anziani.
     Davanti al palco rialzato stavano ventiquattro oggetti dalla forma di due tetraedri incastrati l'uno dentro l'altro, che da qualsiasi punto li si osservasse, avevano frontalmente la forma di una stella a sei punte, ma tridimensionale. In realtà le punte erano otto in tutto.
     Gli oggetti più che fatti di materia, sembravano essere fatti di energia e luce. Una via di mezzo tra la materia vera e propria e l'energia pura.
     I candidati salirono ognuno in un oggetto diverso, salvo due di loro, che, identici nell'aspetto, salirono sullo stesso. Sulla ventiquattresima macchina salì l'Anziano più vecchio di tutti.
     Non dovettero aprire sportelli per entrare dentro a queste macchine per i viaggi spazio temporali. Semplicemente attraversarono la barriera energetico luminose delle superfici delle stelle a otto punte.
     A quel punto, gli Anziani rimasti sul palco benedirono mentalmente le macchine, insieme a tutti gli altri presenti nella cattedrale, in un ideale coro telepatico.
     Tutti quanti alzarono le braccia, con le palme rivolte verso le astronavi, le quali partirono seguendo le ventiquattro direzioni indicate dagli spigoli di una stella dello stesso tipo, posta al centro della cattedrale stessa.


     Era notte fonda nella cameretta al piano terreno di rue de La Faience, quando Andrea smise di scrivere.
     Era convinto di avere concluso in modo soddisfacente la questione della partenza dei candidati.
     Il numero ventiquattro gli era ronzato in capo fin dall'inizio del manoscritto e lui stesso si domandava quali implicazioni avesse veramente quel numero.
     La soluzione definitiva non la sapeva ne', forse, l'avrebbe conosciuta mai. Ma aveva avuto la conferma del numero leggendo un libro su Nikola Tesla, che aveva trovato tempo prima su internet, e che era poi andato a cercare in un internet point sull'Avenue Paul Riquet, ed aveva stampato le pagine dove si parlava della macchina per i viaggi spazio temporali, che aveva appunto quella forma di stella.
     Mentre stava per andare in bagno, udì il cigolio lieve della maniglia della porta e la vide abbassarsi leggermente. Questa volta aveva chiuso a chiave, per non essere disturbato mentre scriveva.
     Evidentemente la ragazza polacca desiderava fare un altro round.
     Improvvisamente gli balenò nella mente l'immagine di Anna e sentì che era vicina, molto vicina. Sua moglie stava arrivando.
     Andrea decise che non avrebbe aperto la porta quella sera. Se ne stette fermo, in silenzio e non spense la luce, in modo che la ragazza pensasse che forse si era addormentato, con la luce accesa e la porta chiusa.
     Dopo meno di un minuto sentì i passi di lei che risalivano la scala che portava al piano superiore.


Articolo n.56: ritorno.php
Sito: chifelio
Tema: 11 - Promozione lavori
Data: 2007-10-31

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