Data creazione pagina: 18/07/2013 15:21

- Titolo: Capitolo 6: Epilogo. Tarda estate 2018.

Egidio si svegliò alla solita ora di sempre, anche se non aveva nulla di preciso ed urgente da fare: le sei. Percepì subito il cerchio alla testa, che insieme all’odore di fumo che gli colpì le narici, gli ricordò la sera prima. Non l’odore di un fumo di qualche cosa che brucia, ma l’odore che rimane addosso ai fumatori, che per un non fumatore è un odore disgustoso. Non tanto perché è l’odore delle sigarette che rimane loro appiccicato addosso, per contatto, nei vestiti o nei capelli, quanto per il fatto, che quei poveri organismi che bramano ossigeno, ricevono, proprio negli organi deputati a catturarlo, l’esatto contrario. Così tentano disperatamente di catturarlo dai pori della pelle, ma prima devono buttare fuori quelle altre cose, l’anidride carbonica, la nicotina, il catrame, tutte quelle porcate inalate col fumo che hanno nel complesso quell’odore, appunto.
Aveva fatto bisboccia. Come al solito, la sorella Santina, l’aveva invitato a cena per fargli conoscere un’altra vedova. Voleva accasarlo a tutti i costi. Come si fa a pensare che un uomo vissuto solo per tutta la vita, possa adattarsi da vecchio a vivere con una donna?
Porchetta, vino, mirto, grappini e adesso il mal di testa. Era sceso a Quarto con la corriera. Non aveva acquistato mai un’auto, da quando era in pensione ad Esterzili. Lui pensava di poter raggiungere ogni luogo, a piedi, oppure in bicicletta. Era soltanto questione di tempo. E lui ne aveva, ora. Si era deciso a comprarsi finalmente una bicicletta. Andava ovunque con quella, persino a Cagliari a fare acquisti, che riponeva nelle borse laterali e in uno zaino. Per la sera prima, il programma suo era dormire a casa di Santina e ripartire con la corriera l’indomani.
Ma il programma di sua sorella e di Piera, così si chiamava la vedova di turno, era diverso: lei aveva un’auto e si offrì di accompagnarlo ad Esterzili la sera stessa.
Altri mirti e grappini, poi erano finiti a letto. Solitamente terminavano così, le serate organizzate da Santina, perché sua sorella era abbastanza astuta da trovargli donne che gli piacessero, fisicamente e intellettualmente, ma tutto terminava lì. Lui non ne voleva illudere nessuna con un secondo appuntamento, anche se, a volte, qualcuna insisteva. Ma lui non si faceva trovare o fingeva di dimenticarsi un secondo appuntamento. Anche se poi telefonava per scusarsi, il messaggio era chiaro. Questa Piera era sessualmente disinibita, e non aveva esitato a dar prova della sua preferenza per il sesso orale, che Egidio aveva apprezzato molto. Ma non era certamente il sesso che gli mancava, con tutto il da fare che si dava Santina a procurargli donne. Queste, data l’età, non stavano certo a perder tempo ad aspettare un secondo appuntamento, come si usava molto tempo fa. A lui mancava l’amore. Una compagna come avrebbe potuto essere Elisa, alla quale aveva ricominciato a pensare da alcuni mesi, da quando era arrivata la lettera anonima.
Timbro postale di Paesana. Completamente scritta con stampante di computer, indirizzo compreso, lo informava che Elisa era rimasta vedova. Il marito morto di tumore al pancreas, dopo una rapida trafila di chemio, morfina, e rapidi soggiorni in ospedale. Due mesi dalla scoperta della malattia. Classico. Come intervengono gli oncologi, il malato muore. Ma le loro statistiche sono più che promettenti. Firmata “un’amica”.
Aveva cercato spesso di immaginare chi potesse essere stata a mandargliela. L’impiegata dell’anagrafe del Comune era la prima della lista, pettegola come era. Sempre che si trattasse di una donna. Non mancavano i pettegoli dell’altro sesso nella sua ex parrocchia. Era anche sicuro di essere stato molto discreto, a suo tempo. Entrambi erano stati molto cauti. Eppure, in queste cose, c’è sempre qualcuno che se ne accorge, che vede ciò che non dovrebbe essere visto. Mai che saltasse fuori un testimone in casi di reati veri. Furti, omicidi, ferimenti. Ma se si tratta di sesso, c’è sempre qualcuno che sa, che ha visto, o immaginato. E non c’è nemmeno bisogno di cercarli, i testimoni, in questi casi: spuntano da soli.
Insomma, tutto l’operato di Santina per accasarlo, si concludeva con una scopata. Nessuna poteva competere con quello che Egidio aveva nel cuore.
Sarebbe andata così anche con questa Piera. Mentre andava quatto quatto in cucina, per non svegliarla ed essere costretto a trovarsi faccia a faccia, con lei, pensò al biglietto che le avrebbe lasciato sul tavolo in cucina, prima di andarsene.

Carissima Piera,
Meglio non esagerare.
Cara Piera,
siccome abitualmente mi sveglio sempre presto e non desideravo svegliare anche te all’alba, sono andato in città con la bicicletta.
Ho lasciato sul gas la caffettiera preparata per te: devi soltanto accendere.
Se te ne vai…
No! Meglio essere più espliciti.
Quando te ne vai, accosta solo la porta di casa ed anche il cancello, in modo che sembri chiuso. Non che ci siano ladri, da queste parti. Non c’è nemmeno nulla da rubare, a parte molti vecchi libri. È solo per evitare curiosi, attirati da un uscio a metà.
Ti ringrazio. Per le porte.
Addio.
No! Troppo esplicito.
Ci sentiamo presto.
Egidio.

Per fortuna la cucina e il bagno erano al piano terreno. Così non avrebbe rischiato di svegliarla. Era stato davvero troppo penoso, le altre volte, il mattino dopo. Tanto più che lui non era il tipo d’uomo da ipocrisie. Ne da smancerie.
Mentre il caffè veniva su, si fece una rapida doccia. Non si fece la barba, visto che si era rasato poche ore prima, alla sera, prima di prendere la corriera per Quarto. Mise un poco di dopo barba. Che stesse diventando civettuolo, ora che aveva tanto tempo?
Mentre sorbiva il caffè, nero ed amaro, pensò alla sua vita ad Esterzili. Aveva letto molto. Riletto tutti i libri che riteneva più importanti. Curava l’orticello, teneva anche qualche gallina. Aveva acquistato un vecchio PC, come da consiglio di Canuto, che ogni tanto accendeva, un po’ per leggere notizie su internet, un po’ per scrivere. Aveva scritto un libro noiosissimo sulla sua infanzia negli anni sessanta ad Esterzili, che poi aveva dimenticato. Sapeva bene che non andava pubblicato. Troppo personale, riconoscibile, e noioso. Era un esperimento, servito per fargli comprendere che non era quello il modo.
Aveva delle cose da dire, tante, su come andava il modo e cosa ci fosse di sbagliato. Il bersaglio era la cultura. In essa bisognava scavare per la critica della società moderna, e il superamento dei molti problemi. Voleva spiegare come, la società plasma gli individui, in base ad un ideale di essi. Ma chi è la società? La società siamo tutti noi individui. Ma noi siamo tutti diversi. Come è possibile che un modello culturale unico e relativamente stabile si propaghi e si conservi nei secoli? Questo ideale rappresenta soltanto una piccolissima parte di noi tutti. Come mai questo modello è vincente? Chi o che cosa determina la sua forza? E tutti gli altri individui, che non vi si riconoscono, come si collocano all’interno della società stessa? Tutti questi altri sono i “devianti” dal modello auspicabile, e devono per forza di cosa trovare una loro nicchia, all’interno della cultura stessa, pena l’esilio, l’emarginazione. Ed è proprio quello che succede nella nostra cultura occidentale complessa. Alcuni si isolano, altri diventano artisti, ma altri, peggio ancora, vengono così prepotentemente emarginati da rinchiudersi nella pazzia o nella delinquenza, finiscono in clinica oppure in prigione. Questa cosa, che gli sembrava così naturale, tanti anni prima, quando era giovane, ora gli pareva assurda, in quanto lui stesso, Egidio, si situava nel gruppo che stava ai margini, fuori dal modello dominante.
E il modello dominante, se ne rendeva sempre più conto, non era determinato da motivi etici, morali, socialmente utili. No, assolutamente. Era determinato da motivi economici. Tutto era programmato, studiato, pensato strategicamente al fine di preservare un modello economico basato sul potere del danaro, dell’accumulo di esso, che significava accumulo di potere. Qualcuno nella società si era specializzato in questo. Ed era diventato talmente bravo, invincibile, potente, che nessuno poteva più smuoverlo da quella posizione. Mentre il resto dell’umanità era totalmente in balia degli eventi determinati da questi pochi potenti, penosamente e affannosamente alla ricerca di un modo per sopravvivere e totalmente incapace di pensare, di dare alla società stessa una impronta personale, diversa, una alternativa, che, come la natura insegna, è l’unico modo per sopravvivere in un ambiente mutevole. La variabilità è successo. L’unicità è morte.
C’era un solo modo, per togliere potere a chi ne aveva accumulato così tanto, nel corso dei millenni, sovvertire davvero e definitivamente l’ordine consolidatosi nella società occidentale ormai padrona del globo: non riconoscere più il denaro. Che cosa è il denaro? La risposta più ovvia è l’unità di misura del valore. Ma se è una unità di misura, perché non è stabile, come il metro, il litro, il chilogrammo? Se non è stabile, che razza di unità di misura è? Quale ingegnere approverebbe una siffatta unità di misura? Questa è una ulteriore riprova che è tutta una truffa ai danni dei più, che ignari di tutto questo, sono costretti a lavorare come schiavi per i padroni del denaro.
Non si tratta di sostituire una moneta con un’altra, perché così si sarebbe dato modo ai tecnici di questo sistema di riprendere il controllo. No. Il valore non doveva più essere una cosa materiale, ma morale, socialmente utile.
Erano argomenti per un saggio, ma non voleva scrivere un saggio. Chi mai l’avrebbe letto? Il suo obiettivo era scrivere come il Pirsig, dei saggi romanzati –o romanzi saggistici?
Ma ci voleva una idea geniale. Tipo, ad esempio, un viaggio per la Sardegna in bicicletta, parlando di filosofia e di antropologia culturale. Di idee glie ne eran venute tante. Era partito in quinta, poi aveva mollato tutto, dopo pochi giorni. Evidentemente non erano le idee giuste. O forse, si stava un pochino annoiando a Esterzili. Il sogno di tutta la vita, una vecchiaia nella vecchia casa dei genitori si stava infrangendo?
Questa idea lo riscosse e si trovò con la tazzina e la caffettiera vuote. Ancora non poteva nemmeno immaginare il nuovo sconvolgimento che quella giornata gli avrebbe portato. Lavò tutto quanto poi preparò un’altra caffettiera e la mise sul gas.
Scrisse il biglietto e lo appoggiò in piedi ad una zuccheriera sul centro del tavolo. Sarebbe stato impossibile non scorgerlo.
Mise qualche maglietta di ricambio e dei pantaloni di tela leggeri nello zaino. Avrebbe sudato, pedalando per le strade a sali e scendi della su terra. Una bottiglia d’acqua nelle borse laterali della sua bicicletta. Controllò di avere il portafogli, dove teneva tutti i soldi che teneva in casa. Davvero non ci sarebbe stato nulla da rubare in casa sua. Guardò il cellulare. Non avrebbe squillato mai. L’unica persona ad avere il suo numero era sua sorella. Lo prese comunque con se’, infilandolo nello zaino, assieme al suo carica batterie, dato che non sapeva nemmeno lui, quando sarebbe tornato a casa. Voleva vagare un poco per la sua isola. Cosa lo tratteneva? Le galline. Beh, se avesse deciso di stare via un po’, avrebbe telefonato al vicino, il quale avrebbe badato loro. Riconsiderò se avesse tutto ciò che gli serviva, per mettersi in viaggio e concluse di sì. Poi pensò che doveva prendersi un libro. Non voleva salire di sopra, col rischio di svegliare Piera, così scelse di rileggere Il Tao della fisica1, di Capra. Sapeva esattamente dove fosse e lo infilò nelle tasca opposta a quella dove stava la bottiglia d’acqua.
Con le orecchie tese alla finestra della camera da letto, al piano superiore, si avviò lentamente, con la bici per mano, verso il cancello, che cigolò un poco, quando lo aprì. Sostò ancora un attimo, fuori dal portone. Nessun rumore proveniva dalla casa. Salì sulla bicicletta e si avviò.
Erano soltanto le sette e l’aria era ancora fresca, fra le acacie e il sambuco che costeggiavano il viottolo sterrato che conduceva alla sua casa. Gli uccelli cantavano felici, alla splendida giornata con il cielo azzurro. Anche Egidio era, in un certo senso, quasi felice, della sua libertà. Pedalava lentamente. Se una cosa aveva imparato, era che prima di tutto occorre scaldare i muscoli delle gambe. Solo dopo puoi dare il massimo che il tuo allenamento consente. Gli altri ciclisti che incrociava, per lo più pensionati come lui, sembravano guardarlo torvi. Erano tutti abbigliati come dei ciclisti professionisti, mentre lui se ne andava in giro, vestito normalmente, casual, dopo una vita di divisa. Proprio non riusciva a comprendere perché, per fare un po’ di moto, senza accanimento, come faceva lui, e come facevano la maggior parte di quegli altri, ci si dovesse mettere in divisa.
Dopo circa mezzora, si fermò all’ombra di un salice. Il sole cominciava a spandere tutta la sua energia. Bevve un po’ d’acqua, fece qualche passo a piedi. Il tormento più grande della bicicletta, come ogni ciclista ben sa, è il fastidio da contatto con la sella. Lui si fermava e si riposava un po’, poi ripartiva. Non era certo il tempo che gli mancava. Molti ciclisti andavano in giro in piccoli gruppi. Lui era un solitario: così era più libero di fare come meglio credeva.
Inoltre, mentre tutti gli altri, quando andavano in bici, non avevano, ne’ percepivano la possibilità di fare qualcosa di diverso, lui, a volte, quando trovava un luogo particolarmente tranquillo ed ameno, magari un parco, all’ombra di alti platani, con panchine o anche soltanto un sasso che gli sembrasse comodo, si fermava magari delle ore a leggere oppure semplicemente a riflettere su ciò che aveva letto, oppure a sviluppare un pensiero che voleva scrivere. Sì, capiva che dal punto di vista di quegli altri, poteva essere considerato un ciclista anomalo. Ma Egidio proprio non capiva perché mai avrebbe dovuto fare il ciclista a tempo pieno. Indossare l’abito mentale del ciclista. Certo la bicicletta era un modo per mettere in movimento i muscoli, ma era anche, soprattutto, un mezzo di trasporto. Un modo di viaggiare. La sua era una filosofia di viaggio. Gli venne in mente il discorso di Monsieur Ibrahim, a Momo. Quando questi gli domanda perché, nel loro viaggio finale, non prendessero le autostrade, egli risponde:
“No, non l’autostrada, Momo. Non prendiamo l’autostrada. Le autostrade, ci passi e basta, non c’è niente da vedere. Sono buone per gli imbecilli che vogliono andare più velocemente possibile da un punto all’altro. Noi non facciamo della geometria, noi viaggiamo.” 2
Gli pareva che il discorso si adattasse bene, a questa antinomia, che soltanto lui percepiva chiaramente, fra se’ e quegli altri ciclisti geometri. Era del resto sicuro, che se avesse fatto questo discorso al ciclista medio, avrebbe quasi certamente ottenuto la risposta: «Che c’entra? Le biciclette mica vanno in autostrada!»
Poi lui voleva tenere in esercizio soprattutto la mente. Lui viaggiava, in diversi modi.
In mezzo a queste riflessioni si ritrovò a Cagliari. Si fermò in un parco pubblico, all’ombra di una specie di gelsi, che portavano delle more mature al punto giusto. Dopo aver bevuto un sorso d’acqua, si guardò intorno, poi salì su una panchina e ne raccolse alcune, che mangiò con gusto. Era metà mattina e la giornata era calda. Alzando a turno le braccia, si annusò entrambe le ascelle, per decidere se cambiarsi o meno la maglietta. Decise di no, dato che avrebbe sudato ancora, come tutti quelli che in quel momento si trovavano a Cagliari. A meno di cambiare una maglietta ogni cinque minuti, il risultato non sarebbe cambiato molto. Si lavò mani e viso ad una fontanella e ripartì ad affrontare la città. Aveva in mente di fare un giro in una libreria lì vicino.
Una commessa all’interno gli chiese se avesse bisogno di aiuto.
– La ringrazio. Per ora volevo soltanto curiosare fra i nuovi titoli.
– Da questa parte, prego.
E indicò un banco dove erano esposte tutte le novità editoriali. Egidio lasciò vagare lo sguardo, senza fissarlo su nessun libro in particolare. La sua filosofia riguardo ai libri, era che non fosse necessario cercare i libri. Una sorta di fatalismo cosmico, karmico, si era formata in lui tanti anni prima. La convinzione assoluta, quanto irrazionale, che se un particolare libro fosse stato davvero necessario, utile al suo sviluppo intellettivo e spirituale, sarebbe stato il libro a cercare lui. Così, quando gli sembrò che uno dei libri sul bancone, al margine del suo campo visivo, lampeggiasse, non ne fu stupito, ne’ tanto meno attribuì il fenomeno ad una sorta di allucinazione da estremità del campo visivo, ma diresse su esso il suo sguardo e lo prese in mano. Fu allora che il suo cellulare, che teneva nello zaino, si mise a suonare con il suono metallico dei telefoni dei primordi, la suoneria polifonica chiamata “Old phone”, scelta un po’ per romanticismo in onore ai vecchi tempi, un po’ perché detestava chi al posto del suono del telefono, usava melodie d’opera o peggio, di canzonette dell’ultimo momento.
Chi poteva essere se non sua sorella Santina, l’unica ad avere il suo numero? Certo se non dava il suo numero a nessun altro, nessuno lo poteva chiamare, ma Egidio apparteneva a quella scuola di pensiero secondo la quale il telefono è una scocciatura, prima di essere un utile mezzo di comunicazione.
Per rispondere dovette posare il libro e togliersi lo zaino.
– Egidio! Cosa hai combinato con Piera, che stamattina l’ho incontrata mentre andavo al mercato e non mi ha neppure salutata.
A voce molto bassa, dato che nella libreria pareva esserci soltanto lui con la commessa, Egidio rispose.
– Niente Santina. Cosa vuoi che abbia combinato? Del resto lo sai già, come la penso di quella tua smania di accasarmi a tutti i costi. Avevate già combinato tutto quanto voi due. Piera era molto determinata a far succedere quel che è successo. Io sono un uomo, in fondo. Non sono mica di legno. Poi il resto te lo puoi immaginare. Quando stamani mi sono svegliato, molto presto, non me la sono sentita di affrontare “il giorno dopo”. Così le ho lasciato un biglietto il più possibile gentile, e me la sono filata con la bicicletta. Ora sono a Cagliari. Magari al ritorno passo a farti un salutino.
– Sì, me lo immagino, il tuo biglietto gentile. Io non capisco perché tu non voglia darmi retta. Cosa ci fa da solo un uomo come te? Ma sì. Passa pure che ne parliamo a voce. A presto Egidio.
Si guardò intorno per tentare di capire quanto la commessa avesse capito, perché gli pareva di essere al cinematografo dove si proiettava il dramma della sua vita, che tutti potevano vedere. La commessa era intenta a sistemare dei libri su uno scaffale. Quasi si era dimenticato del libro di prima, il quale però, non si era dimenticato di lui, e semmai lampeggiava con maggiore enfasi, mentre Egidio riponeva il telefono nello zainetto. Lo riprese e lesse rapidamente la recensione di copertina. Poi si diresse alla cassa con il libro in mano. Delitto in valle Pellice. Il nome dell’autore, Cosimo Savoiardo, non gli diceva nulla, come autore, ma non era nuovo. Qualche cosa in fondo alle paludi della sua vecchia memoria, tentava di emergere senza riuscirci. Non era tanto il titolo ad attrarlo, quanto l’immagine di copertina: una roccia montana, che sembrava moltissimo al Ciaramolin. Era sicuro che si trattasse della “sua” montagna e del “suo” delitto. Adesso voleva solo uscire dalla libreria al più presto.
Pagò, uscì, e tornò alla panchina di prima, che era ancora libera, e si immerse nella lettura. Vi si immerse con tal fervore, da perdere la nozione del tempo e la coscienza del fatto che, quella sensazione allo stomaco, era dovuta al fatto che era ormai pomeriggio, e lui non aveva ancora toccato cibo quel giorno.
In quel preciso momento, il postino di Esterzili, deponeva nella sua cassetta della posta, una lettera di Aurelio Cicognara, il quale gli comunicava che la moglie, dopo aver seguito la terapia Pantellini, stava meglio, e sperava di avere presto anche sue notizie, insieme ad un’altra lettera profumata, con il timbro postale di Paesana. Non trovando nessuno in casa, lo stesso postino gli scriveva un avviso per ritirare il pacco contenente il libro che Egidio stava leggendo sulla panchina, inviatogli dall’amico Alfonso. Se Egidio avesse saputo tutte queste cose, avrebbe perso parte della sua fiducia nella ragione e nel suo pragmatismo, concludendo che il destino, qualunque cosa si volesse intendere con questa parola, lo stava richiamando lassù al nord, dove avrebbe trovato un paio di ragioni in più per vivere. Ma doveva leggere ancora qualche pagina, prima di prendere la decisione che avrebbe dovuto prendere, perché non lo sapeva. Quanto al libro, c’era da stare certi che fosse dotato di volontà propria, una volontà forte, che voleva essere sicuro che lui lo leggesse.

* * *

L’ex maresciallo della stazione di Torre Pellice, Antonio Piras, in un parco di Iglesias, lesse il libro tutto di un fiato, perdendo la nozione del tempo. Sapeva che in quel libro era nascosta la verità sul suo caso irrisolto, nel suo ultimo anno di servizio prima di andare in pensione. Sapeva per filo e per segno come era andata. Solo che non aveva nessuna prova che fosse andata davvero così. Inoltre non credeva più nella giustizia, come vi aveva creduto da giovane, quando intraprese la carriera nell’Arma. Questa era la ragione vera per la quale aveva archiviato il caso, come delitto mafioso. Aveva fatto ne’ più ne’ meno che ciò che aveva fatto Ponzio Pilato: se ne era lavato le mani. Forse, pensava il Piras, quell’uomo andava eliminato, per il bene del mondo, dimenticando che compito del poliziotto è quello di indagare, non di giudicare, ne’, tanto meno, assolvere. Così, giunto all’ultima pagina, preso da una rabbia incontenibile, non tanto per il fatto che l’assassino, in quel caso l’avesse fatta franca, quanto piuttosto per il fatto che avesse anticipato ogni sua mossa, ogni suo pensiero. Si sentiva manipolato, come il personaggio di un romanzo, era totalmente in balia dell’autore. Chiuse il libro con un moto d’ira e decise di tornare a Torre Pellice, in Piemonte.

* * *

– Santina, fammi una cortesia. La casa è rimasta aperta perché io sono partito presto stamattina. La nostra comune amica se ne è andata per ultima e non aveva le chiavi. Dovresti andare su a chiudere. Se c’è posta me la mandi al Sud America di Paesana, dove io alloggerò per un po’. Voglio tornare per una vacanza laggiù, per schiarirmi le idee. Non è nemmeno escluso che poi decida di rimanere là, nel qual caso ti chiederò di mandarmi delle cose. Vestiti, libri, oggetti personali. Decideremo poi insieme cosa fare della casa. Personalmente, trattandosi della casa di mamma e papà, non mi sentirei di venderla. Preferirei la usassi tu, nei fine settimana. Magari io verrò in vacanza. Ti saluto, ciao.
E interruppe la comunicazione, per evitare i rimbrotti e la reazione di Santina ad una decisione così affrettata, in una giornata d’agosto che sembrava non avere mai fine.
Santina che era femmina e astuta, rimase soltanto un attimo perplessa dall’improvvisa interruzione della comunicazione. Pensò, senza crederci, ad una mancanza di campo del cellulare. Ma dentro di se’ sentì nascerle un sorriso di contentezza, al pensiero che Egidio stava tornando da una femmina su al nord. Ecco perché non funzionava con le ragazze di qui! Di questa cosa ebbe conferma la sera stessa, quando fu a Esterzili, con in mano la lettera profumata. Avrebbe dato un occhio per poterla aprire e leggere. Per un attimo fantasticò di passarla sul vapore di una pentola in ebollizione, ma le parve troppo brutto. I fondo quella certezza la rendeva già felice abbastanza, da poter tenere a freno la curiosità. Egidio era partito all’improvviso per correre incontro all’amore.
Lo richiamò, per dirgli quello che c’era di posta. La prima cosa che a Egidio venne in mente, dopo questo altro squillo del suo cellulare, fu che in quest’ultimo giorno, l’attività del suo telefono superava quella degli ultimi due mesi addietro. Quando sentì della lettera profumata, la sua mente lo riportò alla lettera anonima, ma questa volta il cuore fece un balzo. Decise di correre il rischio, tanto sapeva che sua sorella gli voleva bene.
– Senti Santina, aprila e leggimela, per favore. Quella profumata, intendo.
Il cuore di Santina si allargò, per la fiducia che il fratello le accordava e per la curiosità morbosa, che poteva finalmente soddisfarsi.
– Qui c’è scritto: «Quando ti deciderai a tornare da me?» Firmato Elisa. Non c’è altro. Egidio, chi è questa Elisa?
– Ti spiegherò poi di persona, Santina. Il resto spediscilo al Sud America.
E mise giù. Ma Santina non si offese. Già sognava di andare su al nord per il matrimonio e organizzava tutto quanto.
Passate alcune ore dalla lettura del libro, la rabbia di Egidio che l’aveva spinto a partire per andare a sbattere il libro stesso in faccia al Canuto, andava smorzandosi e assumeva toni più razionali. Il libro non poteva dimostrare la colpevolezza dell’autore. Qualsiasi scrittore con un minimo di fantasia, poteva cogliere al volo il ritrovamento del cadavere e ricamarci su un romanzo. Anzi, avrebbe potuto farlo egli stesso. Il suo caso insoluto, se soltanto fosse stato un poco più freddo e distante, avrebbe potuto essere lo spunto che cercava, per scrivere il suo libro stile Pirsig, come Lila, oppure come Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta3. Invece l’aveva scritto Michele Canuto. E l’aveva scritto proprio come avrebbe fatto lui, usando la scusa del delitto, per scrivere di sociologia. Ora la sua rabbia cambiava oggetto, dirigendosi verso se’ stesso, per non averlo fatto.
Ma, forse, il destino, libro e delitto, avevano complottato soltanto per condurlo all’amore.

* * *

Roberto Tucci incappò in una operazione congiunta antidroga, da parte delle forze dell’ordine di Torino e fu arrestato, per l’ennesima volta. Il suo appartamento, dove viveva solo, fu perquisito e venne trovato un Rolex, che la vedova Maccaluso riconobbe come l’orologio del marito, che gli aveva regalato lei per il compleanno.
La Procura di Torino incriminò Tucci per l’omicidio del Maccaluso, ma venne assolto già in primo grado, per insufficienza di prove. La difesa sostenne che l’orologio era stato dato in pagamento da un tossico, per una dose. Il nome del tossico non emerse, in quanto il Tucci non lo ricordava.
Forse, qualcuno dei personaggi di questa storia ha commesso davvero il delitto perfetto. O forse nessuno di loro lo ha commesso. Forse, era necessario che il Maccaluso morisse. Almeno per questa storia.

None, 29 maggio 2007.






Ringraziamenti.

Per iniziare, devo prima di tutto ricorrere ad una ipotesi mistica. Siccome non è possibile che tutta la storia fosse già dentro di me, qualcuno deve avermela suggerita, visto che l’idea del libro è nata il 3 aprile ed ho terminato di scriverla alla fine di maggio dello stesso anno. È stata una frenesia, almeno all’inizio, che mi impediva di pensare ad altro. Avevo a volte la sensazione che la trama procedesse al di là della mia volontà, come dotata di vita propria. Questo per spiegare la necessità dell’ipotesi mistica. Se non fossero successe molte cose nel frattempo, alcune anche molto dolorose, se non facessi di mestiere un altro lavoro, se non avessi dovuto occuparmi di incombenze fiscali, probabilmente avrei terminato in una settimana. Ma la storia non si fa con i “se”, quindi ringrazio gli Angeli Custodi, o chiunque siano, i quali mi hanno suggerito, talvolta all’orecchio destro, talvolta a quello sinistro. Per chi non crede agli Angeli, van bene anche le Muse. Da sempre si dice che l’arte è ispirata dall’alto, da Entità sovrumane. Non so se questa sia arte, o semplicemente artigianato della parola scritta, ma tanto è che penso non sia tutta opera mia. Spero vivamente che ancora mi si racconti qualcosa all’orecchio. Da parte mia farò il possibile per ascoltare.
Ringrazio amici e parenti che hanno letto il manoscritto, evidenziando refusi, errori grammaticali e sintattici inevitabili.
Ringrazio i miei familiari per avermi sopportato in quei due mesi di frenesia.

Giovanni Chifelio.



Indice.
Il cinghiale. 4
Di Giovanni Chifelio 4
2007. 4
Ottobre 2017 - Mattino. 6
In montagna. 17
Ritrovamento. 32
Indagini. 55
Estate 2007. 55
Ottobre 2017. 69
Epilogo. 142
Tarda estate 2018. 142
Ringraziamenti. 164
Indice. 166