Blog di Giovanni Chifelio





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Horacio Verbitzky

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Giovanni Chifelio Il Ritorno -Capitolo 4 –Una casa editrice alternativa.

Data creazione pagina: 19/07/2013 3:35

Capitolo 4: Una casa editrice alternativa.

       Mohammed Aktaar era fuggito dal suo paese, il Niger, per motivi politici. Come molti era approdato in Italia, sbarcando di notte, sulle imbarcazioni stipate di poveracci che cercavano fortuna. Per avere quel passaggio, rischioso, pericoloso per il sovraccarico, perché spesso, quando c'era il rischio di essere intercettati, i marinai ti buttavano in mare ancora lontani dalla costa, e se non sapevi nuotare, il tuo viaggio finiva lì, i disperati avevano speso tutto quello che avevano. A volte si erano anche indebitati, per cui finivano per fare lavori di schiavi, o di prostitute, se erano femmine ed avevano la disgrazia di essere sessualmente attraenti.
       A lui era andata discretamente bene, considerando la media dei suoi compagni di sventura, se così poteva definire tutte quelle persone che dall'Africa, dall'ex Unione Sovietica, dall'Iraq, dal Marocco, e chi più ne ha... Dopo un breve periodo di vo cumprà, dal quale passavano quasi tutti quelli come lui, aveva fatto la raccolta delle olive in Puglia, dove era sbarcato. Poi qualcuno gli aveva parlato del nord del paese, dove c'erano molti lavori, per i quali è vero, bisognava un poco adattarsi, a fare lavori mal pagati, al limite dello schiavismo, ma dove, in ogni caso, il lavoro non mancava mai.
       Per una serie di fortunate coincidenze, era finito a Padova, una bellissima città del nord, anche se un tantino troppo fredda e nebbiosa per lui, specialmente nel lungo inverno.
       Pratico di computer, Mohammed si intendeva un poco di programmazione, linguaggio HTML, ed aveva trovato lavoro in una piccola libreria on line, che piano piano era diventata una casa editrice alternativa e un centro culturale. Il suo compito, di giorno, consisteva nel compilare pagine del sito web, che la libreria aveva, dove si anticipavano sinteticamente i libri alternativi che si vendevano, o articoli di giornali su medicina alternativa, incongruenze della medicina ufficiale, signoraggio, raggiri e truffe della politica e della informazione ufficiale, mentre di notte faceva il custode, dormendo in una cameretta ricavata dietro il magazzino dei libri.
       Il lavoro gli piaceva ed aveva modo di istruirsi ed imparare, oltre che la lingua italiana, tantissime cose inusuali, di politica, medicina, psicologia, ecologia. Inoltre godeva di una buona autonomia, soprattutto dopo l'orario di ufficio, quando i titolari se ne tornavano a casa, e lui restava il solo a regnare nella sua stanzetta. Leggeva molto. Materiale ce n'era a bizzeffe. C'era soltanto l'imbarazzo della scelta. A volte usciva. Gli piaceva bighellonare di sera per quella bella città che è Padova.
       Città universitaria, piena di studenti, di giovani. A volte riusciva a trovare qualcuno del suo paese. Gli immigrati stranieri erano molti in Italia. Si trovavano a volte a cena in ristoranti che gli italiani chiamavano esotici, ma per loro erano soltanto posti dove si mangiavano i cibi che ricordavano la loro terra d'origine. Ne erano sorti molti, in ogni città, e, la sera, specialmente nei fine settimana, erano molto affollati.
       Di recente aveva conosciuto una ragazza nigeriana, una delle poche che non fosse finita sulla strada, Sahara. Faceva la badante ad una vecchia signora anziana con la demenza senile, e studiava psicologia all'università. Si sentiva molto attratto da lei, ma non sapeva come fare il passo. Non voleva rovinare tutto.
       Non si trattava solo di sesso, per il quale, con pochi euro poteva togliersi i pruriti con donne delle sue parti. Credeva di essere innamorato di Sahara. Meditava di costruire un loro futuro insieme, sempre che lei fosse stata d'accordo. Aveva avuto rapporti anche con ragazze locali, ma non si sentiva così attratto da loro. Alcune erano anche sessualmente molto focose, ma era il loro odore che non gli piaceva. Dio sa quanto sia importante l'odore personale per i sentimenti.
       L'olfatto è il senso più vicino ai centri emotivi. Del resto, le vie neurali dall'organo sensoriale al cervello erano molto brevi. Poteva essere per quello. Glie l'aveva spiegata Sahara, questa cosa dell'olfatto, facendogli vedere, in un bar, le illustrazioni di un libro sui processi sensoriali. Il libro era per un esame che la ragazza stava preparando.
       Avrebbe rivisto Sahara la sera seguente. Avrebbero cenato fuori, mangiando una pizza. E poi chissà...

* * *


       Antony J. Russo sbarcò all'aeroporto Malpensa, recuperò i bagagli, e attese che si facesse vivo il suo contatto. Ce l'aveva fatta. Aveva avuto il suo primo incarico operativo. Non vedeva l'ora di entrare in azione. Si sedette su una poltrona che guardava la pista. Era un grande aeroporto quello di Malpensa. Molti jet erano allineati in attesa di partire. Molti decollavano e atterravano in un traffico caotico, che sicuramente dava un gran da fare ai controllori di volo.
       C'erano persone di tutte le nazionalità e di tutti i colori nei saloni dell'aeroporto internazionale. Nessuno si curava di lui. Non era il ragazzone americano tutto muscoli, alto quasi due metri, tirato su a latte e hamburger di carne grassa. Sembrava una persona insignificante, un funzionario dimesso, con i suoi abiti casual e gli occhiali di tartaruga dalle spesse lenti. Non si era mai adattato alle lenti a contatto. Nessuno l'avrebbe mai scambiato per quello che in effetti era, un agente della più grande ed efficiente agenzia segreta del mondo. Forse nemmeno il suo contatto, che pur avrebbe dovuto avere una sua fotografia, visto che tardava ad arrivare.
       Infine si avvicinò un uomo, anche lui dimesso e insospettabile, un'aria anonima. Aveva partecipato ad un corso intensivo di due settimane, in una fattoria della salute nello stato dell'Oregon. Uno dei tanti campi di addestramento dell'agenzia, dove aveva appreso, fra le prime cose, proprio l'arte di passare inosservati tra la folla. Era fondamentale per gli agenti, affinché nessuno si ricordasse di loro, dopo che in un determinato luogo succedeva qualcosa.
       È un'arte zen, quella di non dare nell'occhio, come diceva l'insegnante, che era appunto un orientale. In fondo lui, con il suo fisico, non doveva fare grandi sforzi per essere discreto. La sua sicurezza di fondo gli era data dai muscoli allenati che guizzavano sotto agli abiti comuni, poco appariscenti.
       L'uomo disse la frase convenuta, in inglese.
       – Scusi, sa dirmi dove sono i bagni degli uomini?
       Dopo le presentazioni, l'uomo lo accompagnò ad un'auto parcheggiata diversi piani sotto il piano degli arrivi. Dentro c'era una valigetta con le armi, un bel pacco di banconote euro e indirizzi da memorizzare e distruggere, per contattare i supporti in caso di necessità. Per questa operazione avrebbe lavorato da solo.
       Si salutarono, salì sull'auto ed uscì dal parcheggio dell'aeroporto. L'altro uomo se ne andava con un'altra auto. Percorse due volte l'anello che immetteva all'aeroporto e ne usciva, affollato a quell'ora del mattino, perché non aveva visto bene le indicazioni per l'autostrada. Al secondo giro imboccò la via giusta e, guidando con calma la piccola e anonima Fiat Punto, si diresse verso Padova a est.

* * *


       L'uomo disse di essere un panettiere in pensione. Si lamentò più volte della magra pensione percepita, dopo quaranta e passa anni di lavoro duro. Degli ultimi anni di lavoro, durante i quali, l'agognata meta della pensione, veniva continuamente spostata in avanti da personaggi politici di colori diversi. Da questo prese spunto per dire che i politici erano tutti uguali e che l'apparente incompatibilità degli opposti schieramenti era soltanto una farsa ad uso e consumo del popolo, che così pensava di vivere in una democrazia, potendo scegliere fra personaggi così disparati. Concluse quella tirata dicendo che non erano i politici a comandare davvero, in Italia e nel mondo, ma i banchieri, i grandi banchieri.
       Andrea aveva assentito col capo, durante tutto il discorso, ma a questa conclusione, gli venne quasi voglia di applaudire, tanto aveva sperato, invano, negli anni precedenti, di trovare almeno uno che la pensasse proprio esattamente come lui.
       Fu tentato di parlargli del suo precedente libro, e magari di quello che stava scrivendo ora, ma si astenne. Meglio non lasciare tracce di nessun genere, del suo passaggio in riviera. Anche se, quelli che gli stavano alle costole, probabilmente sapevano di quel suo alloggio a San Bartolomeo, e sarebbe comunque stato questione di giorni, affinché lo scovassero. O di Anna.
       Temeva che sarebbe giunta lì, da un momento all'altro. Del resto, come biasimarla?
       Il panettiere disse di avere un alloggio sulla collina sopra ad Oneglia. Circa tre chilometri da lì. Gli raccontò che da quando era lì, in pensione, faceva la raccolta delle olive per un contadino suo vicino, il quale, aveva un piccolo frantoio e gli lasciava il cinquanta per cento del prodotto.
       Altrimenti le olive non sarebbero state nemmeno raccolte, lasciate cadere e marcire al suolo. La manodopera era troppo cara. Un olio così pregiato come quello ligure, ricavato dalle olive taggiasche, non prodotto per il costo della manodopera! Quali assurdità e contraddizioni nel mondo moderno: da un lato la fame e dall'altro spreco e abbondanza!
       Il discorso passò dalle indiscusse proprietà organolettiche dell'olio ligure, sulla quale cosa erano d'accordo entrambi gli interlocutori, alle sue proprietà benefiche.
       La moglie del panettiere, che era stitica da sempre, pugliese d'origine, era abituata a consumare l'olio della sua regione; il problema della stitichezza si risolse non appena iniziò a consumare l'olio ligure.
       «Bene, bene! Tutto giova saper...», cantava Figaro nel capolavoro di Rossini. Andrea adorava questi incontri estemporanei occasionali.
       Era quasi mezzogiorno. La sua botta di vita sociale Andrea l'aveva avuta, e decise di fare ritorno a San Bartolomeo. Aveva idea di passare in pescheria ad acquistare un paio di seppie, da aggiungere ai piselli che aveva cucinato la sera prima. Come ognuno sa, un bel letto di piselli e cipolle, è proprio la morte loro, delle seppie. Quando si cucinava il pesce, Andrea non faceva economia di cipolle, che riteneva benefiche, quanto e anche più, dell'olio ligure e del pesce, per molti aspetti.
       Pedalando facilmente verso levante, agevolato dal vento di ponente, che ora lo spingeva decisamente, si concentrò mentalmente sul proseguimento del suo nuovo romanzo. Lavorava così fin da quando aveva iniziato a scrivere tanti anni prima. Prima di buttare le idee sulla carta o sul computer, se le rigirava ben bene in testa, in modo che poi assumessero la forma quasi definitiva. Non amava affatto il lavoro di correzione posteriore ad una stesura veloce, a perdifiato. Così facendo, quando buttava giù le sue frasi, nero su bianco, come si suol dire, erano quasi perfette, cotte a puntino.


       «Tutti voi avrete sulla terra dei doni speciali, diversi di caso in caso. Ma il dono della telepatia, fra di voi e con quelli rimasti qui a darvi supporto, sarà una delle caratteristiche comuni. Sarà principalmente questo il motivo per il quale saprete cosa fare, e quando farlo. Semplicemente lo sentirete.
       Alcuni di voi saranno costretti, a volte a fare cose che, se le conosceste ora vi disgusterebbero. Potrebbe trattarsi di cose che urtano con ciò che sulla terra viene definito "morale", oppure "etica". Non spaventatevi e non abbiate sensi di colpa per questo. Accade talvolta che un uomo debba fare ciò che deve fare, anche se è spiacevole. Alcune cose che in altre epoche sono state designate come "peccato", come "amorale", devono essere valutate nel contesto in cui si presenteranno.
       Potrebbe essere necessario, talvolta, impedire che una persona faccia determinate cose, che ostacolerebbero il nostro piano. Con ogni mezzo. Sì, avete capito bene.
       Potrebbe presentarsi una situazione in cui, qualcuno di voi, sarà posto davanti alla difficile scelta di far prendere coscienza di se', forzare, la percezione di se' e della realtà ad altri, che è la cosa più grave che si possa fare un essere umano, ma per impedirgli di fare il male sarà necessario.
       Di solito il karma prevede che ognuno debba arrivarci da se'. Il male che una persona potrebbe fare, potrebbe essere molto grande, devastante, se voi ne avrete avuto pietà, compassione, astenendovi dall'interferire. Sulla terra il "male" ha raggiunto livelli tali, da distruggere l'anima di alcuni di loro: questi esseri senza anima, ormai sono irrecuperabili ed è previsto distruggerli, prima che "infettino" ulteriormente altri esseri umani.
       Non abbiate paura di questo. Tramite i doni speciali di chiaroveggenza, visione dell'aura emanata dalle persone, empatia, qualora si presentasse un caso del genere, non avrete dubbi. Saprete sempre, anche con il nostro aiuto, se una persona va fermata ad ogni costo o potrete lasciarla fare. Se quella persona dovesse morire o impazzire, è perché questo accadimento era già scritto nel suo destino, nel suo karma.»


       Era giunto alla discesa dell'Aurelia verso Diano Marina. Adesso doveva concentrarsi sulla strada. In quel tratto raggiungeva la velocità di quaranta chilometri orari. Non voleva investire qualche pedone, magari un bambino che attraversava di corsa dal lungomare all'altro lato, o piantarsi in qualche auto. Il pericolo maggiore per una bicicletta, erano le auto che avevano appena parcheggiato, la cui portiera del guidatore poteva aprirsi all'improvviso, senza che te lo aspettassi, nel qual caso ti saresti maciullato parte sulla portiera e parte sull'asfalto. Potenzialmente, ognuna delle auto dell'interminabile fila, parcheggiate a destra, poteva essere una di quelle trappole a sorpresa per ciclisti. Occorreva una attenzione concentrata sul viaggio in bicicletta, non sul romanzo.
       Aveva qualche dubbio etico su quello che aveva appena immaginato di scrivere, del tipo «ma allora ci mettiamo sullo stesso piano dei cattivi», ma si diceva, «ma noi siamo i buoni».
       Dopo il ponte sul torrente San Pietro, non svoltò a sinistra, come di consueto, per raggiungere, attraverso il percorso fatto all'andata, la strada del suo condominio, ma proseguì sull'Aurelia, intasata dal traffico di punta del mezzogiorno, per raggiungere la pescheria all'angolo del semaforo. Per fortuna nel negozio non c'erano clienti. Strano. Acquistò le seppie ed uscì. Cominciò ad assaporarsi mentalmente le seppie in umido con i piselli, e gli venne l'acquolina in bocca. Cinque euro e settanta. Forse il fatto che tutto stesse diventando così caro, poteva spiegare la mancanza di clienti nel negozio.
       All'improvviso Andrea ricordò un ragionamento che aveva fatto il panettiere incontrato sulla panchina nel parco di Oneglia.
       Riguardava il fatto che, in quegli ultimi giorni, pane, pasta, e prodotti simili derivati dai cereali, stavano aumentando di prezzo, giorno dopo giorno. Era in atto una forma di speculazione sui prodotti alimentari di base, quelli destinati ai poveracci di primo e terzo mondo. Si chiedeva sempre dove fosse il secondo mondo, ma non voleva divagare, proprio mentre la sua mente stava affrontando il secondo tema trattato da Fritz Capra, nel suo libro: l'economia. C'era qualcosa che non funzionava nell'economia, come già nella medicina. Che cosa?
       Era sotto gli occhi di tutti e nessuno lo vedeva. Tutti erano talmente indaffarati a procurarsi i bigliettini di banca colorati, nel disperato tentativo di arrivare a fine mese, o, come si dice anche, di mettere insieme il pranzo con la cena, che avevano perso di vista lo scopo di tutto questo.
       Lo scopo era, appunto, procurarsi i beni necessari alle persone. Il pane, la pasta, la benzina per l'auto e l'auto stessa, per poter raggiungere il luogo di lavoro, dove avrebbero guadagnato, lavorando, i bigliettini colorati.
       La casa dove abitare e le suppellettili necessarie, insieme agli alimenti erano i beni reali. I biglietti di banca, il denaro era soltanto un mezzo, non il fine del gioco che chiamiamo economia.
       Per fare un parallelo con il sistema tecnologico, ingegneristico, si sarebbe potuto affermare, che il denaro, altro non era che l'unità di misura del valore, proprio come il metro è l'unità di misura dello spazio, il chilogrammo l'unità di misura del peso, e così via.
       Ma anche così i conti non tornavano. Metro, chilogrammo, e tutte le altre unità di misura, erano stabili nel tempo. Anche l'unità di misura del tempo era stabile, e tutte quante erano universalmente riconosciute nella comunità internazionale, o, perlomeno, c'era unanime accordo, sull'equivalenza di sistemi di misura diversi, adottati dai vari paesi. Il pollice inglese equivaleva sempre a venticinque e quaranta millimetri. Su questo non ci pioveva.
       Ma ci volevano sempre più soldi per comprare il pane, le seppie, la benzina e tutto quanto. è assurdo affermare che il valore di queste cose varia nel tempo. Il valore di un chilogrammo di pane è sempre quello di costituire un nutrimento per un determinato numero di persone, sempre quel valore. Ma allora...se il valore delle cose, il valore in se', non mutava, ciò che cambiava era il valore del denaro.
       Tutto il mondo economico, dall'invenzione del denaro in poi, è stato costruito su una unità di misura instabile in un solo senso: decrescente. Perché questo? Perché chi lo ha inventato, e stiamo parlando di migliaia di anni addietro, inventando questa cosa instabile aveva in mente qualcosa. Profitto, potere, conquista del mondo attraverso il denaro.
       Chi emette il denaro oggi? Le banche private. Solo a loro può giovare il fatto che il valore del denaro emesso cali nel tempo. Per emetterlo hanno ottenuto dagli stati indebitamenti reali, quantificati. Ma il denaro da loro messo in circolazione, nel tempo, vale sempre meno rispetto al debito degli stati nazionali. Così è stato sempre, fin dall'invenzione del denaro stesso.
       Non erano circolate indiscrezioni riguardo all'ultima riunione Bilderberg in Turchia, che sembra caldeggiasse l'unità monetaria mondiale entro il 2012?

       Il semaforo era passato al verde e Andrea, salendo in piedi sui pedali, affrontò la lieve salita della via Roma. Giunse in vista del suo condominio, giusto in tempo per vedere l'auto guidata da Anna, svoltare a sinistra nella loro via. Non potè svoltare anche lui, perché una lunga fila di automobili, provenienti dal semaforo, glielo impediva. Così, fermo sulla destra, notò l'auto scura dai vetri oscurati che a distanza, svoltò anch'essa nella strada.
       Entrò nel bar di fronte ed ordinò un aperitivo all'anice, guardando l'auto appena notata.
       Rimase una decina di minuti ad osservare. Sua moglie Anna scaricò alcune borse e salì nell'appartamento. Gli occupanti dell'auto scura non scesero dall'auto per tutto quel tempo.
       Sorseggiò il suo pastis, per avere una scusa per rimanere ancora un po' nel bar. Passarono altri dieci minuti, ma gli occupanti dell'auto non scesero. è fatta. Doveva fuggire di nuovo. Sapeva dove. Pagò l'aperitivo ed uscì. Notò sconsolato il sacchetto delle seppie ancora appeso al manubrio della bicicletta. Si guardò intorno per accertarsi che nessuno lo guardasse, poi posò il pacchetto su uno dei tavoli all'esterno del bar. Se c'era una cosa che detestava più di ogni altra, era lo spreco. Se lui non poteva godersi le sue seppie, se le sarebbe godute qualcun altro. Salì sulla bici e ridiscese la via Roma.
       Dopo alcuni minuti, la padrona del bar uscì e notò il sacchettino sul tavolo. «Qualcuno lo avrà dimenticato.» Pensò. «Se nessuno viene a reclamarlo, stasera lo cucino io.»
       Andrea Novelli pensò che aveva rischiato grosso a rimanere a lungo nel bar. Se uno degli uomini che seguivano sua moglie, quelli dell'auto che svoltò nella via dopo di lei, avesse deciso di bersi qualcosa, il primo bar a cui avrebbe pensato sarebbe stato proprio quello dove stava lui.
       Per fortuna non era successo. Sicuramente dovevano avere una sua fotografia. Forse nell'auto c'era una persona sola. Non poteva saperlo. Aveva i vetri oscurati ed aveva parcheggiato lontano dal suo punto di osservazione.
       Il primo impulso fu di andare a prendere il treno a Diano Marina. Poi immaginò che se gli stavano col fiato sul collo, le prime stazioni che avrebbero controllato sarebbero state proprio quelle di Diano Marina e di Cervo.
       Ma non potevano tenere sotto controllo tutte le stazioni della riviera. Dapprima pensò alla stazione di Oneglia, ma poi decise per Porto San Maurizio. Più lontana e improbabile. Almeno dal punto di vista dei sui inseguitori. O almeno così sperava lui.
       Per non percorrere tutta l'Aurelia, fino a Diano, dato che adesso gli sembrava di essere nudo e che tutti lo guardassero, pedalò senza fretta, come tutti i turisti che andavano e venivano, a piedi oppure in bicicletta come lui, lungo tutta la passeggiata a mare.
       Terminata fisicamente la passeggiata, ritornò sull'Aurelia, e arrivò fino all'inizio della salita, e svoltò a sinistra, sulla strada che fra spiagge e hotels, saliva alla galeassa. Da lì rifece tutta la strada già fatta al mattino, lottando nuovamente contro il vento di ponente. Era nuovamente in fuga. Le idee sul libro e le conseguenti riflessioni passavano ora in secondo piano. Non doveva nemmeno sforzarsi di tenerle a bada. Semplicemente non affioravano. Troppa era l'angoscia di dover fuggire nuovamente, senza avere avuto un contatto con Anna. Ma c'era il biglietto. Si augurò che non si precipitasse dove andava lui, bruciandogli anche quel posto, e che quando ci sarebbe andata, avesse almeno seguito i suoi consigli. Con quella gente, chiunque fosse, la prudenza non era mai troppa.

* * *


       Antony Russo prese alloggio in un hotel discreto, non lontano da Prato della Valle. Poi uscì a piedi, fece una passeggiata per le vie del centro e si comprò una mappa della città. Andò a pranzo in una pizzeria. Ordinò spaghetti alle vongole e una bistecca.
       Mentre attendeva, sorseggiando un bianco frizzantino fresco, servito in una piccola caraffa che condensava sulla sua superficie l'umidità elevata dell'aria, studiò la mappa.
       Individuò subito la strada della casa editrice. Una strada in periferia. Segnò sulla carta stradale il percorso partendo dal suo hotel, con la penna che aveva nel taschino. Ci sarebbe andato subito, nel pomeriggio, con l'auto, e avrebbe studiato la situazione.
       Trovò buona la pasta con le vongole, ma fu deluso dalla bistecca "milanese". Una fetta sottile, impanata, mentre lui si aspettava una succulenta bistecca al sangue e spessa. Prese un caffè espresso, pagò ed uscì.
       Camminando senza fretta, ammirò la bellissima città, il centro storico, e, sopratutto le belle donne patavine. Erano molto diverse dalle americane a cui era abituato Antony. Sembravano emanare un qualcosa che avrebbe definito "gioia di vivere". Dovevano essere stupende a letto.
       Raggiunse l'auto e, seguendo il percorso tracciato, andò ad appostarsi davanti alla sede della casa editrice.

* * *


       – Posso comunicarle subito, maresciallo, che può prendersi la licenza oggi stesso. Il suo sostituto si è liberato prima, dal precedente impegno e può essere a Paesana oggi stesso. Ora lo faccio chiamare così potrete passarvi le consegne. La situazione non è delle migliori. Due morti e un disperso. Se lei ritiene improbabile che il disperso sia l'autore dei delitti, io le credo. Rimane da vedere cosa faranno "loro". La loro versione "ufficiale" sul Novelli, il pensionato che non si trova, è che sarebbe una specie di "sovversivo". Sono sicuro che loro lo stanno tuttora cercando attivamente, ma non mi tengono informato. Cosa ha saputo dalla moglie?
       – La moglie del Novelli era molto scioccata dal cadavere che ha rinvenuto in casa sua, in quelle condizioni...non crede neanche che si possa pensare di indiziare suo marito per un delitto così orrendo. Lei era appena tornata da San Bartolomeo al Mare, dove i coniugi hanno un piccolo appartamento. Nemmeno io, ad essere sincero, penso che possa essere stato lui.
       La signora ha deciso di tornare anticipatamente, perché il giorno precedente non era riuscita a comunicare col marito. Stando ai vicini, il Novelli non si è visto. Per ora, io non lo iscriverei nel registro degli indagati, in quanto non abbiamo proprio niente contro di lui. Poi c'è il fatto che qualcuno ha sparato, almeno un colpo, in quella casa e non mi risulta che il pensionato avesse un'arma da fuoco. Non legalmente almeno.
       Bussarono ed entrò il maresciallo Licheni che avrebbe sostituito Melis durante la sua licenza. I due marescialli si salutarono amichevolmente.
       – Mi lasci una bella gatta da pelare, caro collega, a quanto mi ha detto il signor capitano.
       – Melis, vada da sua madre, a vedere come sta. Io penserò a tenere a bada il sostituto procuratore Caruso, nel caso si mettesse in testa di incriminare il Novelli per i due delitti di Paesana. Quando tornerà, vedremo di chiarire tutta la faccenda. Ora che è morto anche il Bellassai, dovrebbe presentarsi qualcun altro, ma non è detto. Quelli sono imprevedibili. Sarebbe poi interessante sapere cosa cercavano nella casa dei Novelli. Questa, secondo me deve essere la chiave di tutto. Cosa mai può avere fatto un pensionato, per attirare l'attenzione addirittura di due agenzie? Sappiamo che il Novelli ha scritto, con uno pseudonimo, un romanzo, una specie di noir. Me ne sono procurato alcune copie. Ce le leggiamo tutti e, quando ci rivedremo, ne discuteremo.
       Mentre lo diceva, il capitano Palmieri prese due copie di un libro dallo scaffale dietro di se' e le porse ai due marescialli. La roccia. Sulla copertina c'era la fotografia di una rocca, che a Melis ricordava molto un posto su in montagna, dove era stato spesso. Qualche volta anche con Elisa. Scacciò dalla mente l'idea di Elisa, prima che si impadronisse di lui.
       Salutò militarmente il suo superiore, e diede una pacca sulla spalla al collega Licheni, poi se ne andò. Sarebbe tornato a Paesana per cambiarsi e prendere qualche vestito di ricambio, poi sarebbe partito col treno alla volta di Genova, dove avrebbe preso un volo oppure un traghetto per la Sardegna.
       Sperava vivamente di poter essere d'aiuto alla madre ed alla sorella, ma aveva i suoi dubbi. Erano entrambe troppo fiduciose nei medici e nella medicina, che a giudizio di Egidio, erano ormai troppo assoggettati alle industrie farmaceutiche, per poter essere al servizio della salute del paziente e del suo ritorno alla salute. E per meritarsi così tanta fiducia da parte della gente.
       Il profitto era ormai diventato il primo movens del mondo. Come diceva quello là, tanto tempo fa, non si possono servire due padroni: il profitto e l'altruismo. Egidio non era uomo di chiesa, ma si ricordava bene le parole, sentite molte volte, che se tutti le avessero "davvero" scolpite nel cuore, il mondo sarebbe ora un posto assai migliore di come è in realtà. Non era nemmeno necessario essere troppo bigotti. Bastava soltanto non fare agli altri, quello che non vorresti facessero a te stesso.
       Egidio sperava anche di non portare sulla sua isola natia, ne' i gravi, recenti problemi di Paesana, ne', tanto meno, Elisa.
       Queste cose aveva in mente Egidio, mentre stava appoggiato alla murata del ponte del traghetto che lo portava in Sardegna, scrutando il lontano orizzonte, sotto le bianche nuvole lontane, che correvano veloci sospinte dal vento di ponente, nell'attesa del momento di avvistare la sua terra, là sull'orizzonte lontano del mare.

* * *


       Non c'era molto movimento nella via, una strada di periferia, dove stava la casa editrice, libreria, centro benessere naturopatico davanti alla quale Antony aveva parcheggiato la sua anonima Fiat Punto grigio topo.
       Qualche rado cliente, probabilmente del centro benessere, che entrava ed usciva dopo molto tempo. Per quanto riguardava la libreria, Antony aveva studiato il caso, le ricerche su internet erano tutta opera sua, le vendite avvenivano per la maggior parte on line. Era stato sul loro sito. C'era la pubblicità di molti libri, saggi per lo più, di un genere alternativo a tutto. Alternativo a tutte le versioni ufficiali.
       Contro la medicina, contro il sistema, contro le versioni ufficiali dei fatti salienti del mondo.
       Contro al sistema bancario.
       Contro lo stato di Israele e quello che faceva, spalleggiato dagli Stati Uniti.
       Contro, sopratutto, all'agenzia e a ciò che aveva fatto.
       Antony non li giudicava ne' li odiava per nessuno dei particolari motivi per cui, la casa editrice, la libreria, nelle persone dei loro titolari, erano "contro". Lui non era certo un idealista. Non gli interessava nemmeno sapere il vero motivo per cui l'agenzia aveva preso di mira queste persone. Anche se, in fondo lo intuiva.
       Il potere vero, quello che comanda nel mondo, quello del denaro, non amava che se ne parlasse.
       Anche Antony era un uomo che amava il potere. L'agenzia glielo dava, se lui faceva bene il suo lavoro, e lui non avrebbe lasciato le cose a metà.
       Nell'immediato si sarebbe occupato di questa cosa, poi c'era, come seconda priorità, quello scrittoruncolo in Piemonte, sfuggito ai suoi colleghi, i quali, non si sa come, se lo erano perso. Adesso che aveva il caso nelle mani, aveva dato l'ordine di non mollare la moglie dello scrittore, nemmeno se va a comprarsi il pane. E sperava di essere stato chiaro. Lei l'avrebbe condotto a lui.

       Sahara era eccitata. Quella era la sua serata libera. La sua giornata con l'anziana signora, la cui mente faceva i capricci ed aveva perso ogni tipo di inibizione sessuale, era stata pesante.
       La signora la tormentava sessualmente in ogni modo, ogni volta che aveva Sahara davanti agli occhi. Le toccava vogliosamente il sedere, cercava di baciarla, e non sulla guancia. Sahara sapeva che era malata, non sessualmente deviata, ma a volte era davvero dura da sopportare.
       Avrebbe dovuto studiare, nella serata libera. Se non avesse usato tutto il suo tempo sui libri, non ce l'avrebbe fatta mai. Era solo al primo anno, ma aveva sostenuto soltanto tre esami. La vita è molto dura se devi guadagnarti da vivere e studiare all'università.
       Ma quella sera aveva appuntamento con Mohammed. Sarebbero andati a cena e poi...chissà?
       Lui le piaceva e lei piaceva a lui, ne era certa. Una donna le sente queste cose. Ma era un timido. Non credeva che non fosse mai stato con una donna. Era certa che avesse fatto le sue esperienze, come lei stessa del resto, ma forse temeva di poter guastare il loro rapporto facendo sesso.
       Sicuramente, come anche per lei, per Mohammed, il loro rapporto era troppo importante, non una banale avventura. Sahara ne era felice.
       Era disposta a fare l'amore con lui quella sera. Il suo periodo non era dei più rischiosi, per eventuali gravidanze, ma avrebbe preteso che Mohammed usasse un preservativo. Non voleva sciupare tutti i suoi sogni per una gravidanza indesiderata. Non che non amasse i bambini, o che non considerasse Mohammed, seriamente. Solo che non le sembrava ancora il momento, ecco tutto.
       Del resto il preservativo non poteva mica procurarselo lei, facendogli vedere che era interessata al sesso. Essere una donna era, ed è sempre stato difficile. Agli uomini piace vedere che ti lasci sedurre, non essere sedotti. Non agli uomini della sua terra. Diventeresti subito una puttana ai loro occhi.

       C'era un culo nero che andava e veniva dalla libreria, con dei pacchi. Probabilmente libri. L'aveva seguito una volta ed era andato in un ufficio postale lì vicino. Doveva essere l'unico dipendente, una specie di fattorino, magazziniere, fac totum.
       Quando la sera se ne andarono tutti, il culo nero non uscì. Probabilmente abitava in qualche stanzetta annessa all'edificio, e faceva anche da custode.
       All'ora del tramonto arrivò, davanti alla libreria, una versione femminile di culo nero. Una gran figa, dalle lunghe gambe ben tornite, che arrivò pedalando su una bicicletta sgangherata. Questo culo nero, a differenza di quell'altro, lo eccitava. E molto.
       Antony non si era mai fatto una nera. Ne aveva viste molte battere sulle strade in Italia. Ma quelle non erano il suo genere. Non amava pagare per quella merce, che, sapendoci fare un poco, si poteva avere gratis. Ma quelle due lunghe gambe nere, che spuntavano da quella gonna corta, avevano stuzzicato il suo desiderio. Se avesse dovuto cominciare con le nere, quella sì che sarebbe stata il suo tipo!
       La ragazza chiamò qualcuno col cellulare e, dopo un attimo, il culo nero di prima spuntò fuori, tutto tirato a lucido, con la papalina di lana in testa. Si abbracciarono, e si baciarono sulle guance. C'era del tenero fra i due, ma le danze non erano ancora cominciate. Antony era un osservatore acuto, e profondo conoscitore dell'animo umano.
       «Forse,» pensò Antony «le danze sarebbero cominciate proprio quella sera.»
       Il giovane mise la bicicletta della ragazza dentro il locale dal quale era appena spuntato, richiuse a chiave, ed insieme i due si avviarono a piedi nella strada.
       Antony poteva vedere come un'aura luminosa i desideri sessuali che i due avevano l'uno per l'altra persona.
       Ma ancora non erano intimi. Si capiva dalla distanza alla quale camminavano. Ci sono dei limiti, delle soglie di lunghezza fisica, regole non scritte ma che tutti rispettano e che indicano i gradi di intimità interpersonale.
       Era sicuro che quella sera sarebbe successo. Sì, lui avrebbe potuto approfittare dell'assenza del custode per fare quello che doveva fare, ma, quell'altra cosa lo incuriosiva e lo eccitava. Voleva sapere come sarebbe andata a finire.
       Non ebbe bisogno di seguirli a lungo. I due giovani entrarono in una pizzeria ed Antony tornò alla casa editrice.
       Doveva ispezionarne il punto debole, il lato da cui entrare. Sul retro, dalla parte che dava sui campi di mais, una piccola finestrella a piano terra, che immetteva in un bagno, era socchiusa. Era di quelle che si aprono soltanto per pochi gradi dall'alto verso il basso, incernierate in basso. Infilò le mani e con una piccola torcia individuò il fermo. Con i suoi attrezzi ne svitò il fermo da entrambe le parti e la finestrella si aprì totalmente verso l'interno. Antony entrò. Si mosse come un gatto ed aprì cautamente la porta del piccolo bagno, per vedere l'interno degli altri locali. Sapeva che non c'era nessuno dentro, ma temeva la presenza di cani o di sistemi di allarme antifurto. Infatti vide subito l'antifurto verso la porta d'ingresso, ma evidentemente non era inserito.
       La solita negligenza degli indolenti africani. Si sentiva sicuro, e, probabilmente sapeva che sarebbe tornato di lì a poco. Non voleva doversi concentrare su altro che sulla sua pollastrella.
       Tornò sui suoi passi ed andò a prendere il necessario per il lavoro nella sua auto. Dalla parte posteriore non c'era pericolo di curiosi, dato che lì il granoturco si estendeva a perdita d'occhio. Ormai alto e quasi da raccogliere, costituiva un riparo ad occhi indiscreti di altre case dall'altra parte del campo.
       Rientrò dalla solita finestra del bagno e rimise i fermi alla finestra, avvitandoli solo con le mani, per non insospettire i due giovani. Dopo la cena e prima del dessert, sarebbero sicuramente passati per il bagno. Lei per controllare il trucco, lui per orinare dopo la birra e prima del sesso. Dubitava che ci fossero altri bagni nei locali.
       Antony cercò un luogo dove rimanere nascosto in attesa dei due. Aprì diverse porte. In un magazzino c'erano dei libri. In un altro erbe e prodotti naturali, molto odoroso. Optò per il magazzino dei libri, anche se era stato tentato da un locale uso ufficio, con una comoda poltrona ad una scrivania.

* * *


       Andrea Novelli prese il primo treno del pomeriggio diretto a Marsiglia, alla stazione di Porto San Maurizio, portandosi dietro la bicicletta. La legò con la catena antifurto ad un corrimano vicino al bagno, nel disimpegno del vagone dove si sale e si scende, e si sedette nel primo scompartimento libero che trovò.
       Era certo che nessuno l'avesse seguito, quindi era relativamente sereno. Come può esserlo un uomo in fuga, che non riesce più a comunicare con i suoi, che non può andare alla polizia o dai carabinieri a denunciare quello che gli sta succedendo. In questa faccenda lui era la vittima, ma di chi fidarsi?
       Due poliziotti dentro la stazione non lo degnarono di uno sguardo, quindi, dedusse, non era ancora ricercato per omicidio. Oppure quei due erano davvero distratti.
       Iniziò una lunga riflessione sulla distrazione, che è l'opposto dello stato vigile che permette la coscienza di se' e del mondo che ci circonda. Che sensazione, che coscienza aveva lui di quanto gli era accaduto negli ultimi giorni?
       Ormai era sempre più convinto che lo stavano perseguendo per qualcosa che aveva scritto nel suo primo libro, o qualcosa che aveva scritto sul sito che aveva creato al nome dello pseudonimo usato per pubblicare il libro.
       Ancora una volta riesaminò le cose "scomode" che avrebbero potuto essere la causa di quella persecuzione. Quel suo primo libro se la prendeva primariamente con la medicina ufficiale e non pensava veramente che qualcuno tentasse di ucciderlo per quello. Poi c'era la tirata contro Microsoft, che avendo il monopolio del software, ficcava il naso nei computer della gente, probabilmente spiava per conto delle agenzie americane. Questo era già un motivo più valido per perseguitarlo almeno. Aveva poi accennato alla questione della sovranità monetaria. Questo secondo lui era il motivo vero, la chiave di tutto.
       Gli stati nazionali non erano più padroni della loro moneta, perché questa era emessa dalle banche private, le quali la vendevano agli stati, creando così il famigerato "debito pubblico", origine di tutti i guai dei cittadini. Sarebbe stato un problema semplice da risolvere, ma quelli che avevano tentato di farlo erano stati uccisi.
       Abramo Lincoln, per finanziare la guerra di secessione, stampò per conto dello stato federale delle banconote e fu ucciso. La stessa cosa fece John Fitzgerald Kennedy. E fu ucciso.
       Il messaggio era chiaro. Ecco perché nessuno dei politici di tutto il mondo si ribellava più a questo stato di cose. Era più comodo nuotare nella corrente del fiume, si fa meno fatica. Così i politici che "obbedivano" a questa legge non scritta, che i veri padroni del mondo, coloro che ne decidono le sorti, le guerre, le crisi economiche, le rivoluzioni, sono i "proprietari" del denaro, i grandi banchieri. Come dubitare che fosse così? Qualsiasi cosa si voglia fare occorrono i soldi per farla. Chi tiene i cordoni della borsa è davvero il sovrano assoluto del mondo.
       La stessa "globalizzazione" economica in atto, altro non è che un passo nella direzione voluta di unificazione del mondo intero in unico impero economico. Di fatto questa unificazione c'è già stata ed è un processo irreversibile.
       Questo processo deve essere iniziato migliaia di anni prima, con l'invenzione stessa del denaro. Le stesse religioni monoteistiche, pensava Andrea, altro non sono che una allegoria del sistema economico a cui stiamo arrivando in questo terzo millennio dopo Cristo. Il grande banchiere è il dio, il monarca assoluto del mondo e ne decide i destini. Tutti gli altri non sono che schiavi. Noi tutti siamo schiavi e sta diventando sempre più evidente.
       L'unica cosa sulla quale litigheranno i grandi banchieri, che ovviamente sono più di uno, sarà per chi di loro sarà il re, il dio assoluto dell'umanità.

       «Se il vostro cuore sarà puro, se agirete per il bene degli altri, per la Causa, non dovrete temere nulla. Tutto andrà per il meglio.
       Ci saranno momenti bui, durante i quali potreste cadere nella disperazione e nello sconforto. Vi sembrerà di essere soli. Vi sembrerà di essere gli unici a comprendere le storture e le bruttezze del mondo degli uomini.
       Non è così. Prima di tutto, quelli rimasti quaggiù, saranno sempre in contatto con voi, in qualsiasi momento. Quando all'improvviso vi verrà in mente qualche cosa di insolito, che non vi sembrerà frutto della vostra mente, saprete che qualcuno di noi qui vi sta suggerendo cosa fare in una situazione difficile. L'addestramento che avete avuto alla telepatia, saprà farvela riconoscere al momento opportuno.
       In secondo luogo, sapete che questa volta siete partiti in molti per questa missione. In qualsiasi istante saprete, che da qualche parte, fuori, nel mondo, c'è un altro o un'altra come voi, che vibra alla stessa maniera, di energia di amore. Basterà sintonizzarvi sul vostro cuore e sarete una sola, grande, invincibile squadra.
       La parte difficile nella vostra vita umana, sarà l'inizio. Gli adulti umani che si occuperanno di voi, genitori, nonni, insegnanti, tenteranno di farvi dimenticare ciò che ogni bambino alla nascita già sa. Quella Conoscenza alla quale, così a lungo, così premurosamente, vi siete preparati qui. Non tutti gli adulti sono così. Eccezionalmente qualcuno di loro coltiverà in voi i giusti semi, per far germogliare tutto ciò che voi sapete. Li riconoscerete subito, in un vecchio nonno saggio, uno zio o un fratello più brillante, un insegnante fuori dagli schemi. Ma i più vi ostacoleranno con ogni mezzo.
       Essi lo fanno con ogni bambino perché la Conoscenza vera, urta con la loro cultura che hanno costruito, come una tautologia. Se si accettano tutti i principî cardine sui quali poggia la cultura umana, allora la Conoscenza ne rimane sconfitta. Ma molti dei loro principî sono indimostrabili. Su quelli dovrete lavorare per demolire quella parte obsoleta del loro edificio culturale.
       Con quelli più ostinati, talvolta, per non ferirli o compromettere il vostro percorso formativo umano, dovrete fingere. Senza mai perdere di vista il vostro scopo. Dovrete per accondiscenderli, recitare le cose come piacciono a loro, e scolpire più incisamente nel vostro cuore il principio opposto a quello che le vostre orecchie hanno sentito da loro, e la vostra bocca ha ripetuto per loro.
       Queste persone ostinate, hanno paura del cambiamento. Solo per questo difendono a spada tratta una cultura ottusa, che spesso essi stessi non comprendono appieno, ne', tanto meno, ne comprendono del tutto le implicazioni.
       Le forze del male all'opera sulla terra, gli uomini che hanno nel cuore interessi personali, invece del bene e dell'amore per il loro prossimo, del desiderio di sviluppo spirituale degli uomini, si servono anche della magia nera, sia per assicurarsi il successo delle loro opere, sia per avere il controllo mentale di tutti gli uomini, che per ostacolare noi, e tutti gli uomini che li combattono.
       Questa forza, questi vostri avversari sono molto potenti e dovrete guardarvi le spalle.
       La preghiera e la concentrazione sul vostro, nostro scopo, vi aiuteranno molto. Non lasciatevi sedurre dalle loro parole "dolci". Sono molto in gamba a fare questo. La loro retorica è avvincente e potrebbe portarvi su una cattiva strada, guidarvi sulla loro via larga e accattivante, come hanno già fatto con molti cuori buoni.
       Vi siete preparati a lungo per questo, ma laggiù potreste dimenticare, perché vi spingeranno a credere che ciò che sapete è frutto di sogni, fantasia o pazzia. Non ci vuole molto a sconfinare nei territori della pazzia in quel mondo che detta delle regole precise per eliminare ciò che non sa più distinguere.
       Il nuovo fa loro paura perché appare loro minaccioso. Hanno paura persino dell'immensa forza che hanno in se' stessi, perché temono che potrebbe distruggere le loro certezze, senza le quali sarebbero sperduti.
       Per cambiare il mondo, per migliorarlo, l'uomo deve volgersi dentro se' stesso. Migliorando se' stesso, l'uomo può cambiare il mondo e creare una realtà differente da quella attuale, più vera e più spirituale.
       Hanno soltanto bisogno di qualcuno che li spinga a fare questo. Quel qualcuno siete voi.»


       Il treno si arrestò lentamente ad una stazione di cui ad Andrea era sfuggito il nome, scritto sul cartello che era passato inesorabilmente fuori del campo visivo del finestrino, mentre si riscuoteva dalla sua "scrittura mentale", come la chiamava lui . Cominciava ad imbrunire. Il sole era calato dietro le alture ad ovest, colorando le leggere, impalpabili nuvole di color arancio.
       Appena fosse stato solo, avrebbe messo sull'agenda quelle idee. Doveva cercarsi una pensione tranquilla. Sarebbe ripartito l'indomani, alla metà finale. Bèziers. La più antica città di Francia. La città del massacro dei Catari. Dal clima caldo e mite, Bèziers, era nei ricordi di Andrea, soprattutto per le vacanze estive trascorse in gioventù, ospite in casa della prozia, magna Mariota, sorella della nonna materna.
       Ne ricordava les hallès, grandi viali alberati dai platani secolari, che dividevano la città vecchia, dove abitava la zia, dalla città nuova, di più recente costruzione. I viali erano il cuore commerciale e il punto di ritrovo sociale.
       All'inizio di esse campeggiava la statua di Pierre Paul Riquet, un ingegnere nato a Bèziers nel 1604, con l'ossessione di costruire un canale navigabile, chiamato oggi Canal du Midi. A sessant'anni compiuti si accinse a costruire il suo sogno, che avrebbe poi dovuto collegare il mare Mediterraneo, dal quale la città distava una quindicina di chilometri, all'oceano Atlantico, evitando ai vascelli francesi la costosa e pericolosa navigazione attraverso lo stretto di Gibilterra.
       Molto ricco, Paul Riquet si rovinò economicamente e morì, ironia della sorte, nel 1680, pochi mesi primi dell'inaugurazione del suo canale, che aveva richiesto il lavoro di dodicimila operai, per la costruzione di un'opera d'avanguardia per i tempi. Un sistema di chiuse complesso, canali in galleria.
       Les arenes, dove Andrea aveva visto la sua prima ed unica corrida. Il muscat, il vino dolce che costituiva il vanto della regione dell'Herault, che Andrea bevevo la sera, alle innumerevoli feste di paese, che sembravano, non fosse stato per la musica suonata che era dei tempi suoi, riportarlo indietro nel tempo, anche di un secolo. Vigneti strani per chi veniva da fuori. Dai finestrini dell'auto sembravano bonsai carichi di grappoli dorati, singoli alberelli mantenuti bassi e circolari, non in filari come da noi nel Piemonte. Strani trattori dalle ruote sottili e molto alte, si aggiravano fra le file di alberelli.
       In quelle vigne, allontanandosi da una festa di paese con una ragazza del posto, Andrea aveva fatto le sue prime esperienze sessuali, spalleggiato dal cugino francese, nipote diretto di magna Mariota, che riusciva sempre a scegliere le più belle ragazze. Piacente tombeur des femmes, come lo definiva sua nonna, sapeva ballare bene il rock figurato. Questa era una abilità fondamentale che mancava ad Andrea.
       La cattedrale di Saint Nazaire, costruita tra il 1300 ed il 1500, testimone del massacro di ventiduemila Catari, con la benedizione del papa, poco distante dalla casa della zia, situata nell'antico quartiere vicino alla chiesa di Saint Aphrodize.
       Ecco a cosa portavano le religioni. Alla fissazione dell'ortodossia, la convinzione tutta umana di avere la verità assoluta in tasca. Ciò che Fedro aveva definito "scambiare la descrizione della realtà, per la realtà stessa", tranello nel quale non cadevano le religioni orientali.
       Come somigliava questo episodio del passato, alla avversione del papa appena defunto per il comunismo, che in Cile, in pratica aveva significato, anche grazie ai finanziamenti della banca del Vaticano, Pinochet e migliaia di desaparecidos. Può la chiesa e i suoi rappresentanti partecipare a carneficine del genere e restare indenne, manifesta rappresentante di Dio in terra? Quale dio può esigere simili massacri se non Mammona?

       Per accertarsi di non essere seguito, Andrea avrebbe percorso un po' di strada in bicicletta, per raggiungere la stazione di un piccolo centro. È difficile pedinare un uomo in bicicletta senza farsi scorgere. A meno di pedinarlo in bicicletta. Respinse l'idea. Non potevano essere preparati alla sua fuga in bicicletta. Sorrise all'idea che per la seconda volta, prima a piedi su in montagna, e poi in bicicletta sulla costa, era sfuggito ai suoi inseguitori. Gente presumibilmente addestrata a pedinare qualcuno. Fatti fessi da un pensionato. Suo nonno sarebbe stato fiero di lui. Avrebbe nascosto il suo moto d'orgoglio, arrotolandosi le estremità dei sui lunghi baffi canuti.
       Chissà perché, pensava così spesso al suo nonno paterno, che lo aveva lasciato più di quarant'anni prima? Perché proprio lui era stato così importante, anche se erano stati insieme meno di dieci anni?
       La risposta la conosceva. Suo nonno era diverso. Non era come tutti gli altri adulti. Lui era saggio. La sua persona gli aveva ispirato quella frase, che avrebbe messo in bocca alla bianca signora saggia che stava parlando in quel momento ai candidati pronti a partire. Suo nonno faceva le cose con il cuore. Faceva cose che avevano senso, non perché erano "luoghi comuni". Non ricordava di essere mai stato sgridato, o picchiato da suo nonno, come invece facevano i suoi genitori.

       L'idea della cultura come una tautologia era ancora di Fedro. Una tautologia è una forza, se se ne accettano i principî ed i postulati. La geometria euclidea era un ottimo esempio di tautologia. Tutto fila liscio finché, appunto, principî e postulati, sono solidi e inespugnabili come una fortezza. Ma quando qualche principio veniva messo in discussione perché indimostrabile? Era successo. Andrea non ricordava da chi e per quale esatto principio. Gli sembrava che si trattasse delle rette parallele ad una retta che passa per due punti. Magari più tardi avrebbe controllato, ma non voleva perdere il filo.
       La cultura umana, quella chiamata "occidentale", quella vincente perché più agguerrita, poggiava su principî che facevano acqua da tutte le parti.
       L'evoluzione biologica era l'esempio paradigmatico dell'indimostrabilità dei principî sui quali poggia la nostra cultura. L'evoluzione biologica non può e non potrà mai essere dimostrata, può essere soltanto dedotta, da fatti più o meno pertinenti. E ci credono tutti. O quasi tutti.
       Andrea ricordava di avere letto un libro di Maurizio Blondet, un giornalista, che dava voce ad alcuni sostenitori del creazionismo. La tesi secondo la qual gli esseri viventi sono stati creati così come sono, e non c'è stato il tempo, nei milioni di anni in cui si sarebbe espletata la cosiddetta evoluzione biologica, nemmeno per il mutamento spontaneo di una proteina semplice.
       Nel libro si sostiene che le probabilità che questo avvenga, anche sotto il peso della necessità di quella che viene definita "pressione evolutiva", sono talmente basse, che, unendo questo fatto ai meccanismi genetici che impediscono variazioni di rilievo, a livello del DNA preservano gli schemi altrimenti ad ogni divisione cellulare sarebbe il caos, non è potuto succedere. Non c'è stato il tempo. Si parlava del caso specifico di una proteina che specifica il sangue di un tipo di pesce che vive ai poli, impedendo al sangue stesso di congelare.
       La teoria dell'evoluzione, senza scendere nelle differenze speciose delle differenze tra la teoria di Darwin di Spencer o di Lamarck, è una specie di ideologia, a livello sociale, e permette alla gente di credere nella giustizia dell'affermazione "sopravvivenza del più adatto", che economicamente parlando, giustifica di fatto lo sfruttamento, da parte dei più potenti, economicamente, dei più poveri. Di fatto giustifica la situazione in cui, alcuni, pochi, riescono a tenere in scacco i molti.
       I molti sono disorganizzati, in competizione fra loro, non già per le risorse materiali, i beni reali, ma per l'accaparramento del denaro, e, in ogni caso, non possono competere con i pochi, in quanto a potere economico. I molti sono soggetti a controllo mentale da parte dei pochi, anche tramite l'abitudini ad idee come quella dell'evoluzione, a sostegno di una ideologia che si vuole spacciare per vera e sacrosanta.
       Perché i brillanti uomini del CICAP non si impegnavano a dimostrare o confutare la teoria dell'evoluzione, invece di gingillarsi con il "paranormale" on con il "complottismo"?
       Chissà che anche loro...? Naaaa.

       Andrea pensava che sarebbe stato necessario, scovare ed enumerare, ad uno a uno, tutti i postulati culturali "fasulli" e metterli alla berlina. Non era un lavoro facile. Non era un lavoro semplice. Tali assunti erano così pregnanti, che nemmeno lui ne era immune, anzi. Nessuno lo era.
       Ad esempio l'assunto della tecnologia, che è la benvenuta perché, grazie ad essa, l'uomo finalmente si affranca dalla natura, madre matrigna. Che ci fosse dell'ideologia anche nel romanticismo leopardiano?
       C'è sempre ideologia nella cultura. Però...però l'uomo "primitivo", il cacciatore raccoglitore, si dedicava, mediamente alla caccia o la pesca, che erano i suoi lavori, due tre ore al giorno. Millenovantacinque ore l'anno. Com'è che oggi, con tutta la nostra tecnologia, nei paesi avanzati, come nel terzo mondo (dove cavolo stava il secondo mondo?) se si vuole sopravvivere bisogna lavorare dieci ore al giorno, sessanta la settimana, tremila ore all'anno? Quasi tre volte tanto? A che ci serve allora tutta quella tecnologia?

       Deve trattarsi della maledizione biblica "lavorerai la terra con fatica...partorirai con dolore". Ecco che allora quel dio descritto dalla Bibbia, altri non è che l'inventore del gioco economico. Quel gioco che si fa con il denaro e non più con gli scambi in natura. Ma forse, già gli scambi in natura recavano con loro il germe di qualcosa di perverso.

       Andrea sentiva che stava decollando. Nonostante la paura e il disagio della fuga, che ormai durava da quasi una settimana, gli era venuta l'idea geniale. Per il suo libro, per metterci l'azione, farlo diventare avvincente.
       Il suo sogno, da sempre, come scrittore dilettante, era emulare il Pirsig. Questi suoi due libri, altro non sono che racconti di viaggio, sullo stile di Sulla strada, di Keruack, dove si intercalano riflessioni di natura filosofica, ad un viaggio in moto e ad uno in barca a vela. Ecco la chiave. Se fosse sopravvissuto ai suoi inseguitori, se fosse riuscito a tornare a sedersi serenamente davanti al suo computer, avrebbe scritto la storia della sua fuga, intercalandola con queste sue riflessioni di ampia portata.
       Sarebbe tornato nella sua casa, davanti al suo portatile? Se ci fosse tornato l'avrebbe scritto proprio così.
       Sarebbe piaciuto? A lui personalmente l'idea piaceva moltissimo. Anzi lo entusiasmava, al punto che non vedeva l'ora di essere da solo, in una camera di albergo per buttare giù qualche appunto.
       Non era proprio il Pirsig che aveva parlato, nel suo primo libro, dell'enthousiasmos, come caratteristica di chi è in contatto con la Qualità. Bisogna tenerci a quello che stai facendo affinché abbia Qualità. Il contrario dell'enthousiasmos, era la noia, erano quei meccanici scazzati, che lavoravano distrattamente ascoltando la radio, aspettando l'ora della fine del turno, e che avevano rotto una spina cruciale della moto.
       Enthousiasmos è una parola greca che significa "pieno di theos, pieno di Dio. Così deve essere l'uomo creatore di realtà. L'artista, il meccanico, il progettista, il medico, se non sono nelle condizioni di essere entusiasti di quello che stanno facendo, il loro "prodotto", il loro operato non può che essere scadente, privo di Qualità.
       Andrea si sentiva adesso in contatto con la fonte stessa della Qualità, cioè Dio, ed amava quello che stava scrivendo, lo sentiva un'opera d'arte, a dispetto delle vicende e degli uomini che lo costringevano a fuggire da giorni, anzi, forse, proprio per quello. Quegli stessi fatti gli facevano amare ancora di più la vita e la scrittura.
       Sentiva che avrebbe amato questo suo libro come il figlio che non aveva mai avuto, anche se non fosse mai stato pubblicato, anche se non avesse successo. Sentiva che tutta la sua vita, tutte le sue tribolazioni, fino a quel giorno, altro non erano state che la preparazione alla stesura di questo suo libro. Non aveva vissuto invano. Aveva vissuto proprio per questo scopo.
       Non si annoiava mai a scrivere. Si era annoiato, molte volte, facendo il suo lavoro. A volte sentiva che tutta quella tecnologia, che lui stesso contribuiva a creare, non aveva Qualità. Dio non era in essa. Ma Dio, ne era certo, stava in questo suo nascente libro.

* * *


       Antony sentì dei rumori provenire dall'ingresso. Si era appisolato, ma dormiva con un occhio solo. Lentamente, senza rumori, si alzò e si stiracchiò. Con passi felpati si avvicinò alla porta del magazzino e guardò dal buco della serratura. Le danze erano cominciate proprio in quel momento.
       I due "culi neri" si stavano baciando appassionatamente in piedi, vicino alla porta di ingresso. Antony sentì l'eccitazione crescere e se la godette, aspettando che la passione nei due montasse a livelli insostenibili. Quando fossero stati completamente preda dei loro sensi, allora sarebbe intervenuto lui.

       Sahara era al settimo cielo. Non aveva dovuto prendere lei l'iniziativa. Non appena sulla porta, Mohammed le aveva preso le mani e, guardandola prima a lungo negli occhi limpidi, lentamente e con dolcezza, l'aveva attirata a se' e l'aveva baciata.
       Dapprima erano stati baci teneri, sulle labbra,sulle gote, sugli occhi socchiusi di lei, poi un lungo bacio appassionato sulla bocca. Le loro membra si erano avvinghiate come se fossero stati tentacoli di polipo, per un abbraccio che non si sarebbe sciolto tanto presto.
       Sahara sentiva il suo proprio corpo farsi caldo, ed aveva la sensazione di stare sciogliendosi come burro al sole del suo paese. Qualcosa nel suo piatto ventre prese a fremere incontrollabilmente, e lei sentì una piacevole sensazione umida fra le gambe.
       Sempre baciandola, Mohammed la stava quasi trasportando di peso verso quella che, probabilmente, era la sua stanzetta. Sahara, approfittando di un attimo in cui lui aveva staccato la bocca dalla sua, riuscì a sussurrare:
       –Devo andare in bagno.
       Mohammed glielo indicò. Approfittando del fatto che lei sarebbe stata in bagno per un po', uscì dalla porta ed andò ad orinare sul retro dell'edificio, nei campi di granoturco. All'inizio ebbe qualche difficoltà, dato che la sua erezione non accennava a diminuire. Pensò ad altro. Al suo lavoro, alla sua terra lontana, e senza accorgersene, riuscì a liberarsi della birra bevuta in pizzeria, con grande soddisfazione. Poi iniziò nuovamente a ripensare a Sahara e decise di rientrare. La luce in bagno era ancora accesa, ma non lo sarebbe rimasta per molto.
       Chiuse la porta a chiave, ma non inserì l'allarme, tanto erano in due a girare per casa e non voleva farlo scattare inutilmente, facendo accorrere il titolare, proprio per farsi beccare con la sua ragazza.
       Non appena fu entrato nella sua stanza, Sahara lo raggiunse. Si abbracciarono e si baciarono ancora a lungo e Mohammed sentì l'urgenza del suo desiderio sessuale. Erano di fianco al suo letto e si spogliarono con gesti frenetici e impazienti. Fra un indumento gettato lontano ed il successivo, continuarono a baciarsi e mordicchiarsi vicendevolmente le turgide labbra, caratteristica sessualmente attraente della loro etnia. In un tempo brevissimo furono nudi e distesi sul letto.
       Lui la accarezzò a lungo e baciò ogni centimetro del corpo magnifico di lei, da un capo all'altro e ritorno, assaporando l'odore naturale di lei, non mascherato da profumi artificiali. Poi si trovò nuovamente sdraiato sopra di lei, a baciarle il volto ed i capelli, fremente di desiderio. I bianchissimi denti di lei spiccavano luminosi sul volto bronzeo, attraverso le labbra socchiuse.
       Mentre lui baciava per l'ennesima volta quella bocca stupenda, sentì le lunghe gambe di lei che si aprivano e gli cingevano la vita. Senza avere cercato coscientemente di farlo, il membro di Mohammed fu dentro di lei, in quella tana umida e scivolosa dal tepore piacevole.
       Si mosse lentamente, assaporando le sensazioni che arrivavano ora da tutto il corpo dove era in contatto con quello di Sahara, ma soprattutto da là in basso. Si muoveva lentamente perché voleva ritardare al massimo il momento in cui sarebbe esploso, dentro di lei. Voleva sentire Sahara fremere di piacere, prima che accadesse.
       Sahara non aveva mai sperimentato nulla di simile, con i suoi precedenti amanti, a riprova del fatto che il sentimento deve pur contare qualche cosa, anche nel sesso. Le due cose dovrebbero essere inscindibili. Non capiva gli uomini che andavano con le sue povere coetanee, venute dal suo stesso paese, e costrette sulle strade a vendere il loro corpo per pochi soldi.
       Il suo di corpo, fu scosso da ondate successive di vibrazioni che partivano dal centro e la facevano vibrare tutta. Mohammed sopra di lei accelerò il suo ritmo,facendo ora affondare il suo pene fino in fondo ed estraendolo poi, quasi completamente. Si accorse, dalle vibrazioni che sentiva dentro la sua vagina, che anche lui stava venendo dentro al preservativo che prima si era infilato in tutta fretta.
       Fu allora che riaprì gli occhi alla sua consapevolezza del mondo circostante e vide l'uomo con la grossa pistola, puntata alla nuca di Mohammed, ormai esausto, che la stava osservando per catturare con gli occhi tutta la bellezza di lei, resa sublime dai recenti orgasmi.

       –Metti le mani dietro alla schiena e non fiatare, amico.
       Si voltò e vide la pistola con il silenziatore e non seppe cosa pensare. Un milione di domande gli affollavano la mente, che faticava a riprendere il controllo dopo l'estasi del sublime orgasmo con la donna più bella che lui avesse mai incontrato.
       «Chi cazzo è questo? Come è entrato? Perché non l'ho sentito arrivare? Adesso che faccio? Stupido, stupido, stupido! Perché non ho inserito l'allarme? Ora non sarei in questo guaio.»
       Mentre pensava tutte queste cose insieme e confusamente, il buon senso gli suggerì di obbedire e mise le mani dietro alla schiena sedendosi, sul letto e mettendosi fra Sahara e l'uomo.
       L'uomo gli infilò delle manette. Udì il click metallico della chiusura, poi l'uomo, strattonandolo, lo costrinse ad allontanarsi dal letto, praticamente trascinandolo per la stanza, fin vicino alla finestra che dava sui campi di mais.
       Con un gesto rapido ed esperto, l'uomo aprì la manetta di sinistra e la richiuse sul tubo del termosifone di ghisa.
       Mohammed provò a strattonare la mano destra, facendosi molto male ai polsi. L'uomo ridacchiò soddisfatto e Mohammed si domandò come facesse quell'uomo sul quale nessuno avrebbe puntato un centesimo in un incontro di lotta, ad avere tutta quella forza, da trascinarlo per la camera come un fuscello.
       L'uomo si avvicinò al letto dove Sahara, bloccata dalla paura, non aveva nemmeno tentato di fuggire mentre si occupava di Mohammed. Con il lenzuolo del letto, Sahara stava facendo un patetico tentativo di coprire la sua nudità, che la rendeva ancora più indifesa.
       Aveva gli occhi spalancati e le pupille dilatate dal terrore. Percepiva ogni dettaglio dell'uomo che si stava avvicinando a lei, con uno sguardo voglioso. L'uomo era completamente vestito di nero ed aveva degli occhiali di tartaruga dalle spesse lenti da miope. Aveva messo la pistola sulla scrivania e si stava sbottonando la patta.
       –Adesso a noi due, puttanella. Ti piace farti scopare, vero? Perlomeno con lui.
       Disse, indicando Mohammed incatenato al termosifone.
       –Bastardo. Ti ammazzerò con le mie mani.
       Urlò Mohammed dal suo posto, mentre si rizzava in piedi, costretto a stare chino, a causa della manetta che lo tratteneva in basso.
       Senza che i due percepissero il movimento, ne lo avessero intuito prima, Antony aveva estratto la sua pistola ed aveva fatto fuoco, aprendo un foro nella finestra a dieci centimetri dalla faccia di Mohammed.
       –Sta zitto tu, culo nero, se ci tieni alla tua donna. Se lei sarà compiacente e tu starai buono, può darsi che vi lasci vivere entrambi. Ci devo ancora pensare.
       Posò la pistola al fondo del letto e si avvicinò di più a Sahara. Lei tentò di graffiargli il viso, ma l'uomo le trattenne le mani. Aveva una forza inspiegabile per la sua taglia.
       Sahara si ricordò all'improvviso del sogno della notte precedente. Era un sogno ricorrente. Quella grande chiesa e loro due, lei e Mohammed erano in prima fila, come ad un matrimonio. Poi la scena del sogno era cambiata ed era apparso il terribile e pauroso uomo nero. Era un avvertimento, ecco cos'era. Adesso l'uomo nero era lì davanti a lei più pauroso che nel sogno. Cosa doveva fare? C'era dell'altro nel sogno, adesso lo ricordava. Sapeva, nel sogno, di non dovere odiare l'uomo nero. Doveva sforzarsi di amarlo. Come poteva amare l'uomo che aveva interrotto il loro amore, incatenato Mohammed al termosifone e adesso stava per violentarla?

* * *


       Era ormai buio quando Egidio sbarcò a Cagliari. Santina era ad attenderlo con il marito. In auto lo ragguagliò nuovamente sulla salute della mamma.
       –Santina, lo sai come la penso sui farmaci. A volte sono peggiori della malattia. Perché quando vi siete accorti del peggioramento non avete smesso la terapia?
       –Egidio, non ti arrabbiare. Il medico di famiglia ha detto che bisognava continuare per un po'...Il problema, con la medicina, è che non ti puoi mettere contro i medici. I soli competenti sono loro. Se, dopo averli chiamati, non fai come ti dicono, al minimo si rischia una denuncia ai servizi sociali, trattandosi di persone anziane, o di bambini e si può anche finire in tribunale, dove, per decidere, si interpellano altri medici, che mai darebbero addosso ai colleghi.
       «Già,» pensò fra se Egidio, «il problema alla fine diventa quello della giustizia, che già tanto mi angustia di mio. Possibile che non si possa rimanere nel campo della salute. Possibile che le persone non possano scegliere come curarsi e come curare i loro cari, senza che nessuno abbia il diritto di intervenire per costringerli a curarsi in un modo determinato da una classe che ha degli interessi in quel settore.»
       Però altri dubbi lo laceravano. Era vero che la Costituzione garantiva ai cittadini il diritto di badare alla propria salute nel modo che riteneva più opportuno, ma quando una persona deve decidere per altri, si poterbbe profilare l'ipotesi di delitto, in caso di malafede. Ma nemmeno che a decidere fossero i medici di un unico tipo, per di più con interessi e connivenze con l'industria farmaceutica era giusto.
       Era ben vero che c'era tutto un fermento di medicina "alternativa" cui un sacco di gente si rivolgeva sempre più fiduciosa, allontanandosi sempre più, e sempre più in tanti dalla medicina "ufficiale", allopatica. C'erano medici omeopatici, agopuntori, medici olistici. Medici che avevano fatto propria l'antica medicina cinese.
       Era soprattutto nel campo dei tumori, che sempre più persone rifiutavano che le uniche possibilità per il malato fossero l'intervento chirurgico e le radiazioni ionizzanti, o la chemioterapia. C'erano medici con pareri diversi. Molti. Ed erano tutti boicottati dal sistema, dai media. Scienziati onesti e disinteressati come Di Bella, Pantellini, o come il premio Nobel Linus Pauling, venivano messi alla berlina come poco più che ciarlatani, quando non finivano in prigione come il dottor Hamer.
       Possibile che la ragione stesse da una sola parte? Forse non era soltanto questione di ragione. Occorreva mettere in gioco il cuore.
       –Proprio per questi motivi, Santina, io dico sempre che non c'è ragione di correre subito dai medici, ad ogni minimo sintomo. A volte, passando qualche giorno, la cosa si risolve da se'. Soprattutto in un caso come questo, in cui si trattava di semplice perdita di memoria. È un fatto abbastanza consueto, con le persone anziane. E poi, via, Santina, non si rischia la vita perché si perde un po' la memoria.
       Il cognato di Egidio guidava lentamente, sulle strade buie e tortuose che conducevano a Esterzili, senza intervenire nella discussione pacata tra fratelli. Sapeva che era bene non immischiarsi, a meno di essere interpellati. E poi lui non trovava niente da ridire nel ragionamento di Egidio, anche se amava sua moglie come il primo giorno.
       –Se la mamma si trova nello stato che mi dici, probabilmente è per effetto di psicofarmaci. Perché glieli hanno prescritti? Anche se la mamma avesse per davvero quella malattia che chiamano morbo di Althzeimer, non esiste una terapia efficace per una malattia che non sanno nemmeno bene che cosa sia, e che comprende una infinità di sintomi i più disparati. Sicuramente la "cura" per guarire da questa cosa, non può consistere in psicofarmaci che intontiscono la persona, togliendole quell'ultima dignità di essere umano che ancora le restava, pur con la memoria guasta.
       –Hai ragione Egidio, ne sono convinta, ma mettiti nei miei panni. Io non indosso una divisa con dei gradi per far fronte all'autorità rappresentata dalla conoscenza dei medici. Se i medici prescrivono qualche cosa alla mamma, io devo ubbidire e somministrarglielo.
       –Il problema è a monte, Santina. Quello che mi domando io, è perché chiamare i medici se una persona anziana perde un poco la memoria? Questo fatto è nell'ordine naturale delle cose. Io sono pronto a scommettere che, pur non ricordando ciò che aveva mangiato un'ora prima, la mamma ricordava molto bene i fatti accaduti quando tu ed io eravamo piccoli, come ha conosciuto papà ed i fatti della sua stessa infanzia.
       –Sì, è vero Egidio. In questo hai perfettamente ragione, la mamma ricordava cose del passato che io stessa avevo scordato. I medici dicono che il problema è nella memoria a breve termine, le piccole cose quotidiane. Se hai spento il gas, cosa hai mangiato ieri, fatti di relativamente scarsa importanza, escluso il gas. Se non ha spento il gas, Egidio, la cosa potrebbe essere pericolosa.
       –Vedi? Mi dai ragione. Allora spiegami perché ricorrere ai medici ed alle loro porcherie, per delle cose banali come queste? Per il fatto del gas avrebbe potuto pensarci il babbo. Lui è estremamente lucido, anche se ha i suoi acciacchi. Per il resto pazienza. Io non sono un medico, Santina, ma mi immagino la memoria umana come un contenitore, una damigiana per il vino. Quando essa è piena, e ad una certa età forse è normale che lo sia, non è più possibile aggiungere altri ricordi, proprio come nella damigiana piena non è possibile aggiungere altro vino. Io credo che occorra accettare i nostri limiti, legati all'età, come dobbiamo accettare il fatto inevitabile che tutti noi si debba morire. Chi ha detto che per stare bene dobbiamo riempirci di prodotti chimici? C'è qualcuno che ha interesse a metterci in testa questa idea folle. Le case farmaceutiche. Ma nessuno ci garantisce che con la chimica si vive meglio e più a lungo. Anzi. Quello che conta, secondo me, durante tutto il corso della vita, ma, soprattutto ad una certa età, è vivere sereni. La serenità non si acquisisce quando qualcuno ti instilla il tarlo di avere chissà quale malattia, che ti pone una preoccupazione in più, rispetto a quelle che già hai.
       Santina rispose, questa volta singhiozzando.
       –Come sempre hai ragione, Egidio. Tu hai studiato più di me e sai molte cose. Ma io mi trovavo qui sola a dovermi occupare della mamma, ed ho pensato di fare il massimo, per il suo bene...
       Egidio le passò una mano sul volto. Una carezza affettuosa, per consolarla e per dirle, più col cuore che con le parole «sei una brava ragazza, Santina», mentre la guardava dolcemente negli occhi.
       Non parlarono più della mamma, per il resto del viaggio. Egidio si informò degli studi di Caterina, sua nipote, figlia dei suoi accompagnatori. Santina, gli domandò, per l'ennesima volta se avesse trovato una fidanzata, una brava ragazza con cui accasarsi.
       –Cosa vuoi, Santina, con il mio mestiere...
       –Che significa, col tuo mestiere? Ci sono un sacco di comandanti di stazione che sono sposati e con figli. Non è che una cosa escluda l'altra. La verità, io lo so, è che sei un lazzarone!
       Arrivarono a casa che la mamma già dormiva. La vicina che aveva badato a lei, mentre loro si recavano a Cagliari per prendere Egidio, li aveva attesi sferruzzando in cucina.
       –Quando ti sposi Egidio?
       Egidio volle comunque vedere subito la mamma. Entrò piano nella sua stanza e rimase a lungo a guardarla, ascoltando il ritmo lento del suo respiro. Le depose un lieve bacio sulla fronte e si allontanò, il cuore gonfio di tristezza, chiudendo lentamente la porta per non fare rumore.
      

* * *


       L'uomo fu sopra di lei e Sahara inorridì. Tentò di respingerlo con le mani e di serrare le sue gambe, ma quell'uomo dall'aspetto esile, sembrava dotato di una forza sovrumana, che nessuno avrebbe mai immaginato dal suo aspetto. Si abbassò semplicemente la cerniera della patta dei calzoni, e Sahara non volle guardare.
       Non le fece male, ancora umida come era del suoi recenti orgasmi con Mohammed. Inoltre si rendeva conto che il pene di quel bianco era molto più piccolo, rispetto a quello di Mohammed.
       Sentì un moto di repulsione per l'uomo, quello che le stava facendo, e il fatto che i suoi pensieri andassero per conto loro, ad argomenti futili, mentre stava accadendo quella tragedia.
       Si ricordò all'improvviso del sogno e del fatto che non dovesse odiare quell'uomo vestito di nero.
       Chiuse gli occhi serrando le palpebre più forte che potè. Immaginò di essere ancora con il suo Mohammed. In quel modo si concentrò a pensare di voler bene all'uomo che stava sopra di lei e si muoveva come un forsennato. Forse provò per lui quello che i buddisti chiamano compassione.
       Si stupì di provare un lieve piacere, nelle zone dove avveniva un contatto fra la sua pelle e quella dell'uomo. Ma non era un orgasmo. Era come una corrente di energia, che passava da lei a lui, che la stava indebolendo, lentamente ma inesorabilmente. Anche le mani di lei, che prima tentavano di spingere via l'uomo, ora stavano solo appoggiate sul petto di lui, erano attraversate dalla stessa corrente elettrica che le dava un lieve, piacevole prurito. Ma abbandonò subito le mani sul letto.
       Si sentiva sempre più debole e svuotata di ogni energia. Per fortuna durò poco. L'uomo venne e Sahara sentì dentro di se' il contatto caldo umido del suo seme che la inondava.
       Immediatamente ebbe la certezza che avrebbe concepito un figlio da quell'uomo che l'aveva violentata.
       Respinse quel pensiero odioso. Questo non c'era nel sogno. Si maledisse per aver fatto indossare il preservativo a Mohammed. I suoi spermatozoi sarebbero arrivati prima, se li avesse lasciati correre. Se proprio doveva concepire un figlio, avrebbe voluto fosse di Mohammed.
       Pensò che avrebbe abortito, appena possibile. Poi, anche questa idea le parve disgustosa.
       L'uomo smise di ansimare e si staccò da lei, richiudendosi la patta dei calzoni. Aveva una espressione strana. Non si capiva se stesse per scoppiare in una risata oppure mettersi a piangere.
       Sembrava disorientato. Guardò Sahara fisso negli occhi, che lei adesso aveva aperto e sosteneva fieramente lo sguardo su di lui. E subito li distolse come se non ce la facesse a reggere quel confronto.
       Si allontanò dalla stanza. Lo sentiva trafficare in un altro locale. Allora Sahara si ricordò di Mohammed ancora legato al termosifone, che piangeva disperatamente, per l'affronto e l'umiliazione.

       Antony era sconcertato. Era venuto dentro quella puttanella nera, ma non era stato piacevole come le altre volte che aveva fatto sesso in quel modo, costringendo qualche ragazza. Forse era una prerogativa delle nere. Pensò che non ne avrebbe mai più toccata una.
       Era stata come una invasione di energia. Una strana energia che frugava dentro di lui alla ricerca di qualche cosa. Si sentiva come se fosse nudo. Come se chiunque potesse vedere dentro di lui, nella sua mente...nella sua anima.
       Che strano. Lui non aveva mai usato, in tutta la sua vita quella parola.
       E poi, alla fine, quel suo sguardo fiero che lo aveva costretto a distrarre gli occhi da lei.
       Una strega. Sicuramente gli aveva fatto qualche voodu, qualche diavoleria di quelle che fanno i neri.
       No. Lui non credeva a queste stronzate.
       Ci avrebbe pensato poi con più calma. Adesso era addirittura sconvolto.
       Prese la tanica con la benzina e cominciò ad innaffiare il magazzino dei libri, poi passò a quell'altro magazzino odoroso, dove stavano le erbe e i prodotti naturali.
       Lasciò una piccola scia fino al bagno. Buttò la tanica fuori dalla finestra, accese la benzina e si allontanò dalla finestra del bagno, nei campi di mais. Si era proposto di uccidere alla fine i due culi neri, ma ora non se ne ricordava nemmeno. La sua mente era confusa. Voleva solo allontanarsi di lì.

       Sahara si riscosse, sentendo l'odore di benzina e poi la vampata di calore. Si rivestì in fretta e andò da Mohammed. Dovette prenderlo a schiaffi perché sembrava fuori di se'.
       –Il fuoco. Dobbiamo fuggire. Dove trovo degli attrezzi per liberarti?
       –Nell'ufficio, sotto la scrivania, c'è una cassetta degli attrezzi.
       Ansimante Sahara andò nella stanza indicata, ancora non raggiunta dalle fiamme. Negli altri locali si intuiva che la temperatura dovesse essere insopportabile. Non sapendo cosa prendere, portò con se' la pesante cassetta e tornò da Mohammed.
       –Dobbiamo sbrigarci. Qui brucia tutto.
       –La sega. Prendi la sega e lavora sull'ultimo anello della catena, quello attaccato al manetta. è quello più facile da tagliare perché è fermo.
       Mohammed era tornato lucido. Solo che lavorando solo con la mano sinistra avrebbe impiegato troppo tempo.
       Ma Sahara era determinata a portare fuori di lì il suo uomo, se' stessa, e...il bambino.
       Inorridì ancora una volta all'idea di un figlio di quell'uomo, ma allontanò quel pensiero, per concentrarsi su quello che stava facendo.
       Era tutta sudata e il metallo delle manette era duro da tagliare. Una volta la lama le scivolò e lasciò una piccola ferita sul braccio di Mohammed, che prese a sanguinare dopo un attimo. Ma alla fine l'anello della manetta cedette.
       Mohammed raccolse i suoi abiti e insieme corsero alla porta principale ed uscirono, proprio mentre il calore delle fiamme ed il fumo rendevano l'aria irrespirabile.
       Mohammed, con il suo cellulare, chiamò dapprima il 115, e poi avvisò il titolare dell'accaduto. Dopo un quarto d'ora questi li raggiunse, proprio mentre le sirene con i lampeggianti blu dei vigili del fuoco, squarciarono il silenzio della notte di periferia.
      
       Antony tornò al suo albergo con un taxi. Aveva lasciato l'auto nella strada dove aveva appiccato l'incendio. L'avrebbe recuperata l'indomani e sarebbe partito alla volta della Liguria. A Padova, missione compiuta. Ma non si sentiva fiero di se', come quando faceva il suo dovere.
       Adesso aveva bisogno di dormire. Si fece prima una doccia. Si sentiva come se la puttanella negra l'avesse contagiato di qualche grave malattia. Era stata come una scarica potente di elettricità, che aveva attraversato il suo corpo, mentre raggiungeva l'orgasmo. L'elettricità proveniva dalla ragazza, ne era certo.
       Solo che non avrebbe potuto lavare via questa cosa con la doccia. Gli venne ancora una volta l'idea che la sua anima fosse scoperta.
       Pensieri più disparati affollavano la sua mente. Rivide tutto quello che aveva fatto quella sera, ma inframmezzato a Mrs. White, nuda sul suo letto di morte e Dan Backer appeso alla corda in garage, che dondolava ancora, con gli occhi gonfi e le pupille rivolte verso l'alto.
       Possibile che la puttanella nera l'avesse stregato?
       Rivide il lungo pene di Horatio Ape uscire dalle bianche cosce di Mrs. White. Rivide se' stesso e ciò che aveva fatto loro e si sentì...disgustato.
       Cosa diavolo gli aveva fatto quella megera dalle lunghe gambe nere? L'aveva fottuta alla grande poco prima, ma non si sentiva fiero di se', nemmeno per questo. Sentiva un malessere che una persona diversa da lui, che l'avesse già provato prima, l'avrebbe etichettato come "senso di colpa". Per Tony era una cosa nuova e non sapeva dargli un nome. Aveva vissuto fino a quel giorno, senza nemmeno immaginarsi di avere una coscienza.
       Ma il seme di questa cosa era stato gettato ed aveva attecchito.
       Non riuscì a dormire veramente di un sonno ristoratore. Continuava a rigirarsi tra le lenzuola, madido di sudore. Di tanto in tanto si appisolava, gli pareva un solo istante, il tempo necessario perché in un breve episodio di sonno REM gli insinuasse, al risveglio subitaneo, le immagini accavallate di Mrs. White, Dan Backer, Horatio Ape, e dei due giovani neri della sera precedente.
       All'alba, stufo di rigirarsi nel letto, si alzò, fece un'altra doccia che non riuscì a togliergli dalla testa tutti i frammenti di sogni e ricordi della lunga notte, si rasò e lasciò l'albergo, dopo aver rifatto la sua valigia e pagato il conto.
       Con un taxi raggiunse la strada dove aveva lasciato l'auto. Contemplò senza entusiasmo le rovine ancora fumanti dell'edificio che aveva incendiato la sera prima, transennato con strisce di plastica bianca e rossa. Guardandole si sentì quasi in colpa. Ma lui aveva fatto solo il suo lavoro, gli diceva la parte razionale di se' che ancora gli rimaneva.
       In breve tempo fu sull'affollatissima autostrada che andava ad ovest, direzione Milano. Si concentrò sulla guida nel traffico caotico. Si rese subito conto che in Italia nessuno rispettava ne' i limiti di velocità, ne', tanto meno, le distanze di sicurezza. Se cercavi di fare entrambe le cose, ti ritrovavi ad avere un TIR appiccicato al cruscotto posteriore, che appena la strada era libera, tentava di sorpassarti. Sembrava un gioco al massacro, come in quel film, Rollerball.
       C'era da stupirsi che non succedesse un incidente al minuto, che coinvolgesse centinaia di veicoli.
       Prese un altro caffè espresso ad un autogrill. Cominciava ad apprezzare il caffè italiano, denso e forte, rispetto all'annacquato caffè americano.
       Alla cassa ebbe un fortuito fugace contatto fisico con un altro avventore, e sentì un'altra scarica di energia, come quando stava sopra la ragazza negra, meno forte, ma dello stesso tipo. Cosa cazzo gli stava succedendo in questo paese?
       Pagò ed uscì quasi di corsa dal locale, senza guardare in faccia nessuno. Provava qualcosa di simile alla paura.

* * *


       –Licheni? Buongiorno, sono io, Melis. Tutto bene lì?
       –Proprio bene non direi. è scomparso un tizio della borgata...Peccioni. Un contadino. Il vicino non lo vede da tre giorni. Ha sentito le sue due mucche muggire in continuazione ed è entrato nella stalla rendendosi conto che le povere bestie non erano munte da un bel po'. Le ha munte lui, ha dato loro del fieno, poi è venuto da me in caserma a denunciare il fatto. L'uomo scomparso, una sessantina d'anni, si chiama...Oreste Crespo.
       –Forse lo conosco di vista. Ma non ci giurerei.
       –Il Crespo viveva da solo, niente moglie, ne' parenti prossimi. Aveva un fratello morto venticinque anni fa di infarto. Ha una modesta baita nella borgata. Ho fatto un sopraluogo. Una stalla, due mucche e un ciuco. è tutto quello che so.
       –Ti ringrazio, collega. Tornerò presto. Mi scuso ancora per il disturbo che t'ho creato con la mia esigenza di una licenza improvvisa. Se fosse stato un periodo..."normale", sarebbe stata semplice routine, invece...
       –Ci mancherebbe, Egidio, è mio dovere obbedire ai superiori. Qui o altrove, se i guai mi fossero toccati, mi avrebbero raggiunto comunque. Tua madre come sta?
       –Aspetto che si svegli per vederla. Ieri sera sono arrivato che già dormiva. Grazie comunque di tutto.

       Cosa diavolo stava accadendo nella sua "parrocchia"? Sulle sue montagne, normalmente tranquille, poteva accadere al massimo che qualcuno facesse pascolare gli animali sul prato di un altro. O che si litigasse per l'acqua d'irrigazione.
       Adesso aveva due morti e due scomparsi nel giro di una settimana. Come se non bastassero le preoccupazioni per sua madre. Sperava almeno che nei giorni precedenti non l'avessero imbottita di psicofarmaci. Non desiderava trovarsi davanti uno zombie al posto di sua madre. Avrebbe potuto anche essere l'ultima volta che la vedeva.
       Suo padre era confuso. Lui era un uomo pratico. Aveva fatto sempre l'agricoltore, aveva accudito i suoi animali e li aveva portati al pascolo.
       Una vita sana, in mezzo alla natura. Ma adesso era sconcertato del fatto che sua moglie non fosse più la stessa.
       Egidio rientrò in casa, dopo la conversazione con il suo sostituto, e mise un braccio sulle spalle di suo padre, che se ne stava seduto davanti ad una scodella di caffè nero, lo sguardo perso lontano, in chissà quali orizzonti. Non si dissero nulla. Suo padre lo guardò fisso negli occhi e annuì, mentre la sua espressione si fece più dolce, tanto da sembrare quasi un sorriso.
       Non c'era bisogno di parole fra di loro. Quei gesti, quegli sguardi, dicevano tutto. «Ti sono vicino, papà. Faremo il possibile per la mamma.» «Lo so. Ti ringrazio. Andrà tutto bene.» Anche se entrambi pensavano, sapevano, che sarebbe finita male. A ottant'anni non possono esserci illusioni e false speranze. Quando si mette male si sa cosa ci aspetta.

* * *


       Alfonso Ratti venne a sapere dell'incendio alla casa editrice quando ci si trovò davanti per andarci a lavorare, come ogni giorno.
       Più che un lavoro remunerato era una sorta di volontariato il suo. Era andato alle conferenze del creatore del sito web e della casa editrice ed era rimasto affascinato dai nobili intenti che l'istituzione rappresentava. Leggeva tutti gli articoli pubblicati sul sito e apprezzava in particolare quelli di Donato Balzano, il fondatore, che teneva anche una trasmissione radiofonica ad una stazione radio locale di Padova.
       La casa editrice in breve si proponeva di dare spazio a tutti quegli autori, anche esordienti, che avevano difficoltà a pubblicare nelle sedi istituzionali dell'editoria, che guardavano con sospetto chiunque non fosse già noto.
       Autori che fossero in linea con la politica della casa editrice, di scovare difetti istituzionali nel nostro mondo occidentale moderno, nella medicina, nella politica, nell'ecologia, nell'alimentazione, nell'economia, e che proponessero soluzioni per un mondo migliore, a misura d'uomo, erano i benvenuti nella casa editrice. Il nome era, appunto "Mondo Migliore".
       Ma come tutte le istituzioni, anche la casa editrice doveva fare i conti con il denaro, che era una delle prime cose che criticava. Tutto quello che veniva pubblicato sul sito della stessa, veniva pubblicata a pagamento, a dimostrazione del fatto che, è molto facile, in teoria, criticare ciò che non va nel nostro pazzo, obsoleto, vecchio mondo, ma molto più difficile, comportarsi coerentemente con il proprio credo ideologico.
       In fondo, anche con le migliori intenzioni per la costruzione di un mondo migliore, si deve fare i conti con le esigenze del mondo vecchio e peggiore.
       Alfonso non aveva propriamente necessità di lavorare. Suo padre gli aveva lasciato una fortuna, e lui era uno dei pochi, nel suo paese, a poter vivere di quella rendita. Aveva case in affitto e soldi ben investiti. Non aveva preoccupazioni di quel tipo, come invece hanno la maggior parte degli umani.
       Lavorava per sconfiggere la noia, cosa che temeva più di qualsiasi altro guaio potesse raggiungerlo, nella sua solida torre d'oro.
       Per la stessa ragione, non trovando nelle diverse facoltà della sua città, nessuna che lo attirasse particolarmente, dato che non doveva preoccuparsi di prepararsi ad una professione per sostentarsi, si era iscritto ad una scuola Waldorf in Svizzera. Era laureato maestro di pittura.
       Non che avesse un particolare talento. Nel tempo libero, e ne aveva molto, dipingeva ad olio, quadri "astratti", del genere Salvador Dalì, cose molto in voga negli anni settanta. Aveva anche tentato di rifarsi a De Chirico, ma i suoi quadri risultavano poi imitazioni del maestro. I soliti orologi "molli", abbandonati sulle scale, delle quali assumevano la forma adattandosi agli scalini.
       Gli pareva di avere un qualche handicap: possedeva le tecniche, era istruito in quel campo, ma difettava in creatività. Questo gli dava una punta di invidia verso tutti i creativi, di qualsiasi genere, dagli scrittori ai pittori veri, e malediceva la sua cattiva sorte che l'aveva privato del talento.
       Alla casa editrice faceva il grafico. Impostava le copertine dei libri pubblicati. Questo gli veniva abbastanza bene.
       Avendo tanto tempo a disposizione, si occupava di tante cose. Smistava la posta in arrivo, evitando così al titolare, molto occupato, di perdere del tempo inutilmente con i postulanti e le futilità.
       Talvolta cestinava qualcuno. L'aveva fatto spesso, per ragioni oggettive, quando chi scriveva non era in linea con la casa editrice ed i suoi intenti, o, peggio ancora, rappresentava magari proprio ciò che la casa editrice voleva combattere.
       Aveva anche cestinato qualcuno per motivi personali.
       Alfonso pubblicava sul sito articoli che pubblicizzavano il suo libro sulla spiritualità e l'insegnamento del pensiero di Rudolf Steiner, firmandoli con nome e cognome, seguiti da "maestro di pittura, laureato alla scuola Waldorf in Svizzera". Si dava in questo modo un tono "accademico", che pareva compensare le sue carenze creative.
       Qualcuno aveva osato criticare sia questo suo modo di firmarsi, firmandosi a sua volta con nome e cognome, seguito da "maestro di niente, persona qualunque, non laureata", sia le scuole Waldorf, dicendo che esse sono una creazione della massoneria, ossia proprio di quel complotto per il mondialismo che si voleva combattere con la politica del sito e della casa editrice.
       Mentre stava in piedi, accanto al titolare, a guardare le rovine fumanti dei locali della casa editrice, aveva nel cuore un tormento.
       Aveva cestinato diverse proposte editoriali, due libri per l'esattezza, di un tale che era totalmente in linea con la loro politica di costruzione di un mondo migliore. Due libri, romanzi noir, che se non fossero stati proprio di quel tale che aveva criticato il suo borioso modo di firmarsi per darsi importanza, e le scuole Waldorf, sarebbero stati utili alla causa loro. Alfonso sentiva di avere tradito la causa. Provava vergogna. Pensava che l'incendio alla casa editrice fosse una punizione divina indirizzata a lui personalmente.
       Ciò che aveva fatto non aveva giustificazioni, perché l'aveva fatto, ancora una volta, per gratificare il suo ego, mai abbastanza pago di gratificazioni, visto che sapeva di non avere talento creativo.
       Pensò, dato che credeva alla magia, bianca e nera, lo insegnavano proprio alle scuole steineriane Waldorf, di essere egli stesso la causa della distruzione di quanto fino ad allora avevano costruito, per il loro "Mondo Migliore", dell'incendio alla libreria casa editrice, della morte del guardiano Mohammed. Perso come era nei suoi pensieri confusi dal senso di colpa, non si diede nemmeno la pena di domandare della sorte del ragazzo.
       Non udì il titolare che gli stava dicendo che avrebbero dovuto tirarsi su le maniche, per ricominciare da capo, perché già si era avviato alla sua auto per allontanarsi di lì.
       Guidò come in trance, fino ad una sua baita che aveva in montagna, in un luogo isolato, dove andava spesso quando era giù di morale a ricaricarsi, a scrivere, a pensare, a dipingere.
       Sempre senza sapere quello che stava facendo, prese una grossa fune dalla stalla, una sedia e legò la fune ad un grosso ramo di un noce che stava nel prato antistante la casa. Salì sulla sedia, fece un cappio all'altra estremità della corda, e vi infilò la testa.
       Scalciò la sedia che cadde lontano a causa della pendenza del prato, e rimase penzoloni con i piedi a pochi centimetri dal terreno. Mentre la mancanza di aria e di sangue ossigenato al cervello lo stava facendo pentire della stupidità del gesto, ricordò un'altra volta che aveva tradito una causa importante, una persona importante, e si era appeso ad un fico.
       L'ultimo suo pensiero fu che in fondo, tutti sono, in un modo o nell'altro, utili ad una qualche causa e che forse, aveva esagerato punendo se stesso in quel modo.


Articolo n.56: ritorno.php
Sito: chifelio
Tema: 11 - Promozione lavori
Data: 2007-10-31

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