Blog di Giovanni Chifelio





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Horacio Verbitzky

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Giovanni Chifelio Il Ritorno -Capitolo 2 - Un morto ammazzato.

Data creazione pagina: 19/07/2013 3:35

Capitolo 2: Un morto ammazzato.

         Anna si svegliò alle sette. Controllò subito il cellulare, pensando che il marito, vedendo la chiamata, avrebbe richiamato lui. Niente. Cosa cavolo serviva andare in giro col telefono nella borsa, se non riuscivi mai a parlare con chi volevi? Andrea poi era speciale nell'essere irraggiungibile. Provò ancora una volta, con lo stesso risultato: irraggiungibile o spento. Preparò il the, si lavò, rifece il letto e raccolse le poche cose da portare via. Una piccola valigia per i vestiti; una borsa termica per quanto di deperibile ancora aveva nel frigorifero.
         Prima delle otto era in auto, pronta a partire. Dell'uomo col giornale non c'era traccia: uscendo presto l'aveva fregato. Oppure aveva visto troppi film, e, l'averlo visto diverse volte proprio dove andava lei era soltanto una coincidenza.
         Comunque ora era decisa a tornare a Paesana. Non voleva ammetterlo, nemmeno a se stessa, ma quando era lontana, aveva nostalgia del suo vecchio brontolone. Non era mica cattivo, ma aveva le sue fissazioni. Come tutti, del resto. Non ne aveva lei stessa molte più di lui? Idiosincrasie, le chiamava lui, che aveva studiato più di lei. Era vero e lo sapeva, di avere delle idee preconcette su molte cose. Avversioni totali e irreversibili per cibi, per l'idea di sudare e puzzare, la paura di mostrare i propri sentimenti, soprattutto con lui. Gli uomini se ne approfittano, se sanno che sei troppo buona.
         Allora lei, spesso, faceva la voce grossa, diventava aggressiva, spesso prima ancora di sentirsi aggredita. Che avesse lei stessa, Anna, un caratteraccio, lo sapeva, ma si scusava con la sua storia personale. La prematura scomparsa di sua sorella, per un assurdo incidente stradale. Una vita di lavoro duro. In gioventù non avevano potuto avere subito dei figli, per paura di perdere lei il suo lavoro di commessa in farmacia. Più tardi, quando avevano cominciato a pensarci seriamente, non erano venuti subito. Poi aveva avuto un aborto spontaneo. Poi più nulla.
         Adesso erano due vecchi soli. Chi si sarebbe preso cura di loro, quando fossero stati troppo vecchi e malati per farlo da soli? Chi avrebbe beneficiato alla loro morte dei loro averi? Non voleva pensarci. Forse sua sorella, o dei cugini di lui. Dipendeva soltanto dal caso, da chi dei due sarebbe morto prima. Lei pensava che sarebbe stata lei la prima. Lui badava a ciò che mangiava, faceva un po' di movimento, bici, camminate in montagna; al mare nuotava e si immergeva per pescare gli ormai rarissimi polipi. Era sano il suo Andrea: niente medici ne' farmaci. Digiunava al cambio di stagione o in caso di malattia.
         A Diano Marina si chiese se avesse chiuso l'acqua, concludendo di sì, mentre ricordava il tentativo di lavarsi ancora una volta le mani prima di uscire sul pianerottolo. A Oneglia pensò alla bombola del gas e alla corrente elettrica, ma si convinse di aver fatto tutto per bene. A Pieve di Teco le venne il dubbio di non aver chiuso entrambe le serrature della porta, ma ormai era troppo lontana per tornare indietro a controllare. Poi, in fondo, cosa diavolo avrebbero potuto rubare? Un vecchio televisore da quattordici pollici, mobili vecchi e vestiti usati? Era ansiosa di natura.
         Ma aveva dimenticato Le ali della sfinge, il libro di Camilleri che stava leggendo e non aveva ancora terminato. Pazienza. L'avrebbe terminato la prossima volta.
         A Ceva imboccò l'autostrada solo per evitare il centro urbano di Mondovì. Uscì a Fossano: di lì non era più molto lontana da casa: Genola, Savigliano, Saluzzo, valle Po.
         Non appena a Savigliano si fermò a fare il pieno, andare in bagno e provare a telefonare ancora una volta al marito, con il solito risultato.

         Le venne incontro la vicina, quando vide la sua auto fermarsi davanti al cancello.
         – A l'è da ier che vëddo nen to omo.
         Strano. Non stava mai in casa tutto il giorno, nemmeno quando pioveva. Che gli fosse successo qualcosa? Non si sa mai alla nostra età: un infarto, un malore. Se non hai nessuno vicino a soccorrerti, muori e fine della storia. Il cuore prese a batterle ad un ritmo folle.
         Chissà perché non era potuto venire al mare con lei? «Ho una vaga idea per una storia. Ne approfitto che non ci sei per buttar giù qualcosa.» Lei aveva ribadito che aveva sempre scritto anche al mare, rifugiandosi nella loro piccola camera a ponente, ma lui aveva detto che preferiva essere solo, in questa fase, perché l'idea era, per adesso talmente vaga, che la solitudine non avrebbe potuto che giovargli. Era partita a malincuore, lei, ma pensava che lui l'avrebbe raggiunta. Invece no. E da ormai tre giorni non aveva sue notizie.
         – Gina, për piasì, intra con mi 'n te'cà.
         La porta di casa, altra stranezza, era aperta. Salirono le scale entrambe col cuore in gola. La luce era accesa nonostante fosse giorno. Quando Anna lo vide svenne. Gina urlò, sostenne Anna perché non si facesse male, e corse di sotto a chiamare suo marito. Poi tornò di sopra a soccorrere Anna, evitando accuratamente di guardare quella cosa sul pavimento.

* * *



         «La cosa fondamentale è l'armonia. Gli artisti laggiù lo intuiscono, la percepiscono e la mettono per iscritto. La musica è l'arte più importante da coltivare. Essa parla direttamente al cuore degli uomini, mettendo completamente fuori gioco l'intelletto.
         Anche se l'intelletto non è totalmente negativo, in quanto l'essere umano lo possiede in grande quantità ed è principalmente questa la caratteristica saliente che lo contraddistingue dalle altre creature, esso deve procedere e interagire di pari passo con l'empatia. In questo periodo storico, l'intelletto prevale ormai da diversi secoli sull'emotività, dando all'umanità uno sviluppo tecnologico che non ha quasi mai avuto eguali nella storia antica.
         Ma non era così che avrebbe dovuto andare. L'intelligenza umana avrebbe dovuto essere coltivata nello stesso giardino accanto ai frutti del cuore. In questo modo non sarebbero state scoperte cose nocive per lo sviluppo dell'umanità stessa. Tutto questo è avvenuto per la scelta di pochi, che, più riflessivi ed intelligenti della media, hanno capito, collegando alle loro intuizioni razionali, frammenti che si sono tramandati per secoli, della Conoscenza originale. Siccome desideravano avere potere sui loro simili, hanno nascosto alcune conoscenze, che alla lunga si sono perse, e ne hanno enfatizzato altre, distorcendo così il disegno originale, che era molto semplice: era scritto ovunque in natura. L'Armonia.
         In questo periodo è dunque necessaria una musica sbilanciata, che riporti le vibrazioni intime delle persone orientate sul raziocinio, verso l'emotività. Questo è il compito arduo a cui gli artisti che vivono in questo momento sulla Terra, devono accingersi. Sarà una lotta impari perché ormai più della metà degli esseri vibrano sbilanciati ma nel senso opposto.»
         Kjn era attento a tutto ciò che diceva il Nonno, ma non riusciva a comprendere la ragione che impediva agli uomini di capire questa cosa così semplice. Approfittò di una lunga pausa del Nonno, che sembrava appositamente studiata per spingerlo a riflettere, per porre la domanda giusta, adeguata.
         «La ragione è semplicissima. Per i motivi che ho detto prima, alcuni uomini hanno tenuto la conoscenza per se' stessi al fine di conquistare il potere. Così hanno cominciato ad allevare i loro figli, inculcando loro dei valori sbagliati, non più legati alla totalità della Conoscenza primigenia, ma soltanto a quei frammenti che tornavano loro utili per imprimere uno sviluppo nel senso voluto.
         Non ascoltando più il loro cuore, hanno dovuto mettere troppe cose nella loro mente, ormai scollegata dal Grande Tutto, fino a raggiungerne l'intasamento mentale a causa delle molteplici nozioni.
         Finché erano collegati al resto dell'Universo, o Dio, come preferivano chiamarlo un tempo, la capacità era infinita. Scollegandosi, la capacità è diventata finita, quindi non poteva più contenere tutte le conoscenze.
         Si sono inventati la scrittura razionale, credendola il supremo frutto della loro intelligenza. In realtà la scrittura ha posto loro dei limiti stretti, molto inferiori agli infiniti limiti della capacità che hanno conservato i popoli che non la posseggono. Fidandosi del fatto che la scrittura avrebbe conservato ogni cosa, ogni pensiero, ogni valore, ogni idea, non si sono più dati pena di ricordare, di fissare per sempre i concetti e la Conoscenza, ed hanno così iniziato a dimenticare. La differenza è lampante nei popoli privi di scrittura. Presso di questi ultimi, un messaggero poteva, ascoltandolo una volta sola, memorizzare il discorso di una persona, partire per un lungo viaggio e, arrivando a destinazione, riferire per filo e per segno il messaggio, compresi i toni emotivi inclusi in esso.
         Così hanno creato il Libro. Ognuno degli antichi compilatori, aggiungeva qualcosa di suo, raccontando gesta e codificando regole di convivenza. Il problema era, per loro, registrare quelle parti dell'Antica Conoscenza, che facevano loro comodo, in un modo che non fossero comprensibili, non direttamente accessibili ai più, ma soltanto agli 'iniziati", coloro che volevano il potere sugli altri per se' e per i loro discendenti.
         Hanno usato metafore, allegorie, cifrature. Ma ciò che è peggio, hanno spacciato tutto quello che hanno scritto là sopra, per Parola di Dio.
         Prima di questa alterazione della Conoscenza, l'uomo viveva nel cosiddetto Paradiso Terrestre. Dopo hanno cominciato a vivere nell'inferno della loro ignoranza. Ignoranza della parte soppressa della Conoscenza.»

* * *


         Si era svegliato presto e si sentiva bene. Nonostante lo spavento del giorno precedente e la fuga per i monti, Andrea si sentiva un leone, dopo solo poche ore di sonno. Era ancora buio fuori. Era uscito per orinare, rabbrividendo al freddo umido della notte. Poi aveva ravvivato il fuoco e si era messo a scrivere quelle poche paginette sulla sua agenda d'emergenza. Era strano persino per lui, che con tutti i suoi problemi imminenti, la sua mente fosse occupata dalla debole trama di quella piccola storia, tanto da sentire l'impulso irrefrenabile di buttare giù le idee del primo mattino.
         Ma era sempre così quando c'era l'idea: bisognava buttarla fuori, affinché smettesse di tormentare, per essere poi libero di risolvere quegli altri problemi gravi. Sembrava paradossale anzi, con quei gravissimi problemi, occuparsi di cose futili come lo scrivere. Quanto era futile scrivere? No, non lo era per nulla. Era pura salute mentale. E detestava scrivere su carta, perché poi significava dover ricopiare tutto sul PC, mentre magari altre idee si ingorgavano per voler uscire, non appena si fosse messo davanti ad una tastiera.
         Adesso che lo aveva fatto si sentiva meglio ancora. Sereno. Aveva bevuto diversi bicchieri d'acqua, mentre scriveva, e mangiato gli ultimi frutti. Si alzò e rovistò negli armadi. Cercava del the, perché avrebbe volentieri fatto colazione con qualcosa di caldo. Ma non c'era nulla. Meglio così: avrebbe camminato con maggior energia. Il the caldo avrebbe innescato l'esigenza dell'evacuazione mattutina, con tutti i problemi igienici connessi e il rallentamento.
         Cosa fare ora? Sentiva di voler ritornare alla sua normalità. Diamine, in fondo aveva cinquant'otto anni, non poteva mica andare ramingo per i monti, per giorni e giorni, senza lavarsi o lavandosi poco e con l'acqua fredda dei rii, dormendo all'addiaccio o in ripari di fortuna. E il cibo poi? Ieri era andata bene, ma alla lunga…
         Decise che, se non ci fossero più stati i suoi inseguitori, se non ci fosse stato l'elicottero, sarebbe tornato verso casa. Con prudenza naturalmente. Si sarebbe portato nelle vicinanze e avrebbe osservato a lungo, da lontano, prima di decidersi a rientrare. Non voleva mica cadere nelle grinfie di quei due loschi figuri armati del giorno precedente.
         Ma il suo organismo era come un orologio e ci fu, all'ora solita, l'esigenza della cagatina mattutina, che si presentò regolarmente, come se non ci fossero impedimenti logistici. Dovette farsi il bidè nel rio, rabbrividendo al contatto con l'acqua gelata. Non lontano da lì trovo dei fiori di saponaria, che usò per lavarsi le mani dopo la funzione. Strofinati producono schiuma proprio come il sapone. Suo padre gli aveva insegnato questo trucco, quando lo portava con se' a pesca da bambino.
         Prima di fare colazione, si lavavano le mani che avevano toccato pesci e larva di mosca carnaria, con fiori di saponaria e acqua di fiume.
         Gli uccelli cantavano annunciando una limpida giornata di sole, che alzandosi, spazzava gli ultimi residui di umidità notturna e delle piogge del giorno precedente.
         Tenendosi per lo più al riparo degli alberi, ridiscese quasi per la stessa strada del giorno precedente. Quando dovette attraversare la strada asfaltata che porta a Ferrere, si fece cauto. Udì il rombo di un motore e si nascose dietro un castagno che aveva sviluppato numerosi virgulti alla base. Era una "alfetta" dei Carabinieri. Andava verso Piana.
         Cosa cazzo era successo? Fece un lungo giro per evitare le case, camminando sempre nei boschi. Raggiunse infine il prato a levante di casa sua, ma si mantenne ancora all'ombra dei castagni.
         C'era un gran via vai attorno a casa sua. Oltre alla "alfetta", c'era il fuoristrada dei Carabinieri di Paesana. Intravide il maresciallo che confabulava con pezzi grossi dell'arma, e con altri personaggi in borghese. Posò lo zaino e si distese nell'erba alta. Era tentato di andare là e chiedere al maresciallo Melis che cosa fosse successo, ma l'intuito lo trattenne. Nello stesso tempo si diede dell'idiota: perché diavolo doveva stare nascosto? Non aveva fatto nulla di male. Doveva andare là e raccontare la faccenda degli uomini armati del giorno prima. Mentre ancora tentennava, sopraggiunse un furgone, sempre dei Carabinieri, dal quale discesero degli uomini in bianco, dalla testa ai piedi, muniti persino di soprascarpe, dello stesso tipo che si usano negli ospedali. Sul lato sud della casa, la parte cintata e il cancello d'ingresso era stato teso il nastro bianco e rosso, per tenere lontani i curiosi, che al momento consistevano in una sola persona che riconobbe per Angelo dei Peccioni.
         Dopo un tempo che gli parve interminabile, due degli uomini in bianco uscirono di casa con una barella di tela nera, sulla quale stava disteso uno dei due uomini del giorno prima. Non era ferito perché se la prendevano comoda e non c'erano ambulanze, e neppure ne arrivarono. Dopo che il maresciallo ed i pezzi grossi l'ebbero esaminato a lungo, chinandosi talvolta per guardare più da vicino, chiusero una lunga cerniera, coprendogli anche il volto. Morto. Un morto in casa sua! Chi diavolo era e chi l'aveva ammazzato? Perché a casa sua?
         Ancora una volta fu tentato di uscire dal suo nascondiglio e andare a chiedere spiegazioni. In fondo quella era casa sua, che diamine. Ma una vocina debole lo trattenne ancora un attimo. Se il morto era in casa sua, lui poteva essere accusato di omicidio. Magari lo avevano ammazzato con qualcosa su cui le sue impronte si potevano trovare a bizzeffe. Decise che più tardi, non appena il bailamme fosse cessato, sarebbe andato ai Peccioni a parlare con Angelo.

* * *



         Il primo a giungere sul posto fu Melis, con il carabiniere nuovo, di cui non ricordava mai il nome, che gli fece da autista. La scena era raccapricciante, perché oltre ad una enorme quantità di sangue sul pavimento, l'uomo raggomitolato su un fianco, aveva tutti gli intestini sul pavimento. E si era mosso, in una interminabile agonia. Si era mosso parecchio, strisciando sul pavimento, probabilmente in preda a dolori lancinanti. Aveva completamente imbrattato tutto il pavimento del soggiorno. Di sangue e di feci. L'odore era insopportabile, quando erano giunti e aveva aperto una finestra. Comprendeva che la signora fosse svenuta, e la vicina fosse ancora in preda ad una crisi isterica. Il dottor Brunatto, a casa dei vicini, si stava occupando di loro. Le avrebbe interrogate lui stesso, più tardi o l'indomani.
         L'uomo doveva avere sofferto parecchio e per molte ore, dopo la coltellata fatale. La coltellata non era un impeto improvviso d'ira. Era l'opera di uno che voleva uccidere e voleva farlo facendo soffrire a lungo la sua vittima. Un professionista, uno abituato alla morte, con il necessario sangue freddo. Lo squarcio da cui gli intestini si riversavano, in parte a pezzi, sul pavimento, partiva dall'inguine e proseguiva fino allo sterno. L'omicida aveva inferto la coltellata e poi, guardando la sua vittima negli occhi, aveva tirato con forza e decisione il coltello verso l'alto.
         Il maresciallo Melis conosceva di vista l'uomo che abitava in quella casa, anche se non avevano mai parlato. Un pensionato. Non lo reputava in grado di commettere un omicidio così efferato. Per quanto...chiunque, anche la persona più mite e insospettabile, in un impeto d'ira... ma non in quel modo.
         E il morto chi era? Mai visto da queste parti. Nessuna arma del delitto, ma dal cuneo sul ripiano della cucina ne mancava uno dei più grandi. Perché? Non aveva senso. Far sparire l'arma del delitto, quando è palese che arma sia, non ha senso, a meno che, l'omicida volesse far cadere i sospetti sul padrone di casa. Ragionamento che confermava ancor di più, la sua completa estraneità. Almeno nella realtà del maresciallo Melis.
         Non voleva calpestare in nessun modo l'enorme pozza di sangue e feci sul pavimento, così vi girava intorno cautamente. Qualcosa attirò la sua attenzione. Il morto era vestito elegantemente, prima che si imbrattasse a quel modo. Sotto la giacca c'era qualcosa. Qualcosa che avrebbe potuto essere una fondina di pistola. «Eccolo là. Uno dei servizi, come mi aveva anticipato il capitano Palmieri. La rogna è cominciata.» Pensò fra se' il maresciallo. Sul tavolo al centro del salone, un personal computer portatile aperto, con un foro quasi al centro del monitor. Dov'era ora l'arma del morto? Girò ancora attorno al tavolo, per tentare di individuare una eventuale traiettoria del proiettile che potrebbe aver forato lo schermo del PC. Sul muro dalla parte visibile dello schermo non c'era nulla. Dal lato opposto c'era un divano. Melis notò alcune piume chiare sui cuscini e capì dove era finita la pallottola. Poi notò lo specchio del buffet, sporco di grigio, in contrasto con tutto il resto del mobilio, che era pulito.

         Tutti i suoi ragionamenti furono stravolti dall'arrivo dei 'pezzi grossi" sull'alfetta: il capitano Palmieri, il sostituto procuratore Emanuele Caruso, abbronzato come non mai, probabilmente reduce da una spedizione in terra di Calabria, e un non meglio identificato tenente Bellassai. Quest'ultimo fece rizzare il pelo a Melis con la sua sola presenza. Il capitano Palmieri lo presentò come agente dei servizi. L'uomo era in borghese, vestiti sportivi, fisico atletico. Le donne avrebbero detto un bell'uomo. Melis lo avrebbe definito un uomo pericoloso. Non parlò quasi mai. Si limitava ad osservare e ad ascoltare. Il superiore di Melis gli lanciò uno sguardo che secondo l'interpretazione del maresciallo significava «limitiamoci alla routine del primo esame degli indizi: dei nostri reciproci sospetti e deduzioni ne parliamo poi a quattr'occhi!». E così fecero.
         L'uomo morto risultava essere un cittadino americano. Quando fu chiara la presenza di una fondina sotto l'ascella, il Bellassai parve contrariato, quasi avesse voluto nascondere la vera identità della vittima. Ma non diede spiegazioni sul suo coinvolgimento nelle indagini, ne' sul coinvolgimento della vittima nei servizi. Melis espose ad alta voce soltanto i fatti accertati. Il capitano Palmieri si limitava ad annuire. Il sostituto procuratore ad un certo punto se ne uscì con l'ipotesi del delitto passionale, partendo dalla constatazione che la ferita iniziava dall'inguine. Sembrava che volesse mettersi in buona luce con il Bellassai. Poi anche lui parve tornare al mondo delle sue fantasticherie erotiche, che Melis riteneva collegate alla sua recente abbronzatura e all'ultima vacanza. Erano una compagnia laconica. Tutti, ognuno per i motivi suoi, tendevano a parlare poco e collaborare il meno possibile.
         Quando gli uomini della scientifica portarono fuori il cadavere, dopo avergli dato ancora una occhiata, Melis avrebbe voluto andare ad interrogare le donne ed il marito della vicina, che avevano ritrovato il cadavere e chiamato i Carabinieri. Ma sperava che se ne andasse il Bellassai. Il sostituto procuratore Caruso lo tolse d'impiccio, proponendo di andarsene perché aveva un impegno. Siccome erano venuti su tutti con una sola auto, Melis sperò che ripartissero tutti insieme. Dopo che il capitano Palmieri gli ebbe raccomandato di tenere il Bellassai al corrente delle indagini, mentre l 'ammiccamento dell'occhio sinistro, che questi dalla sua posizione non poteva vedere, gli diceva «ma prima riferisci a me», e il Caruso ebbe ripetuto la stessa cosa, come per dare a questo ordine un valore maggiore, il tenente in questione gli porse un bigliettino con il suo numero di cellulare e se ne andarono tutti quanti. Melis si rilassò e gli parve che l'aria fosse tornata quella chiara e limpida di montagna di sempre, mentre fino ad un attimo prima gli sembrava pesante e carente d'ossigeno.

* * *


         Dalla sua posizione, Andrea non vedeva quasi nulla di ciò che avveniva sul davanti di casa sua, ne' tanto meno poteva udire i discorsi. Non aveva visto sua moglie, che se ne stava in casa dalla vicina, ne' l'auto, messa in garage appena arrivata. Del resto, sapendola a San Bartolomeo, non aveva motivo di dubitare che fosse lì, così vicina. Non riusciva a comprendere il meccanismo per cui un morto era stato trovato in casa sua e da chi, dato che ne' lui ne' Anna potevano aver scoperto il corpo. Pensò che i vicini avessero magari sentito uno sparo e fosse questo il motivo della presenza dei Carabinieri e del RIS. Allarmati dallo sparo, i vicini erano entrati in casa, che era aperta presumibilmente, e avevano dato l'allarme. Ogni velleità di andare a parlare con il maresciallo Melis, per spiegargli ciò che era successo, era scomparsa, dopo che l'aveva visto confabulare con l'individuo che si era introdotto in casa sua il mattino precedente, e scambiarsi una stretta di mano. Era più che mai confuso. Cosa cazzo stava succedendo nella sua tranquilla routine di pensionato, scrittore a tempo perso? Dopo il terrore che l'aveva fatto fuggire il mattino precedente, ora si sentiva svuotato, amareggiato, e indeciso sul da farsi.
         Guardò la casa con il rammarico di non poterci entrare, quasi una sorta di nostalgia. Riconsiderò l'idea di andare a chiedere informazioni ad Angelo, ai Peccioni, e decise di no, senza sapere che questa fu la sua fortuna.
         Così, anche considerando l'ora, il fatto che forse non c'era gente in giro per la montagna a cercarlo, per ammazzarlo, arrestarlo o chissà che altro, il fatto che non poteva comunicare con sua moglie con il proprio cellulare, decise che sarebbe andato a San Bartolomeo a consultarsi con Anna.
         Quando il maresciallo Melis entrò nella casa dei suoi vicini, e non c'erano più carabinieri in vista, cautelamente si allontanò, con il preciso piano di scendere dalla parte di Agliasco, cercare di prendere una corriera per Saluzzo, per raggiungere poi Savigliano, da dove avrebbe preso il primo treno per Savona.
         Arrivò a San Bartolomeo per l'ora di cena, a constatare che sua moglie non c'era e lui non aveva la chiave dell'alloggio.
         Per fortuna l'amministratore, che aveva una copia della chiave, era ancora in ufficio. Entrò e si fece consegnare la chiave.
         Avrebbe pernottato lì, decidendo in seguito il da farsi.
         In casa non trovò nulla da mangiare. Anna aveva ripulito tutto, tolto la corrente, chiuso l'acqua. Era tornata a casa a Paesana per restarci. Fatalità. Mentre lui veniva a cercare lei, lei andava a cercare lui, allarmata forse dalla impossibilità di trovarlo al cellulare. Considerò per un attimo l'idea di riaccendere il proprio telefono per rassicurarla e accertarsi che stesse bene, ma ricordò come il giorno precedente lo trovassero facilmente per i monti, grazie proprio al telefono. Visto che non c'era nulla da mangiare, decise che sarebbe sceso alla Partenopea per prendersi una pizza. Avrebbe telefonato da lì. Si lavò e si cambiò. Per fortuna aveva degli abiti lì, perché quelli della montagna, bagnati e riasciugati, addosso da diversi giorni, non erano il massimo per andare in società. Già sul treno, gli altri viaggiatori lo guardavano di traverso. Con il suo zaino militare sembrava un barbone, anche per la barba di tre giorni.


Articolo n.56: ritorno.php
Sito: chifelio
Tema: 11 - Promozione lavori
Data: 2007-10-31

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