Blog di Giovanni Chifelio





"Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda."
Horacio Verbitzky

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Ritorno Capitolo 1 - Antefatto.

Data creazione pagina: 19/07/2013 3:30

- Capitolo: 1 Antefatto -

         Kjn attendeva con impazienza il ritorno del nonno, che avrebbe ripreso il racconto. Stava bene con il nonno e gli piacevano le sue storie, il suo modo di raccontarle. Gli piaceva come lo trattava: come un suo pari. Suo nonno era uno degli Anziani Saggi, un'autorità nel loro mondo. Almeno così lo vedeva Kjn. Si sentiva protetto e amato quando erano insieme per lo studio. Kjn era uno dei Candidati, uno dei migliori, per questo si stava preparando con cura. Era di intelligenza pronta e sveglia, ma, soprattutto, aveva un buon cuore.
         Occorreva studiare ogni più piccolo dettaglio, prevedere ogni cosa, e, sopratutto, possedere la Conoscenza. La Conoscenza doveva essere trasmessa direttamente, da Maestro ad allievo, non poteva essere diversamente, perché ogni punto, ogni mattone di Essa, doveva essere discusso e approfondito, senza essere travisato, perché avrebbe potuto essere pericolosa. Ma più di ogni altra cosa, occorreva fare tutto con amore.
         Alcuni degli Anziani Saggi erano contrari al Ritorno sulla Terra, allo stesso modo di come erano pentiti di avere inviato gli altri prima. I motivi erano sempre gli stessi: il pericolo, insito nella Conoscenza e nella sua trasmissione, la tendenza di quelle genti a fare della Conoscenza una religione, la loro sfrenata bramosia di potere sui loro simili.
         All'inizio si erano sentiti in dovere di mandare qualcuno laggiù, poiché quelle creature vivevano allo stesso identico modo degli altri animali inferiori. Sembravano non avere sentimenti e, spesso, si uccidevano tra di loro e mangiavano i corpi di quelli morti. Dopo l'invio del primo Prescelto, le cose migliorarono e peggiorarono.
         Migliorarono perché, forti della Conoscenza appresa, svilupparono una conoscenza loro, che seppure primitiva rispetto a quella della nostra gente, sembrava promettente.
         Peggiorarono perché alcuni di loro, che avevano forti ambizioni verso il potere, svilupparono tecnologie al servizio della loro ambizione, diventando molto potenti e sottomisero i loro simili.
         In realtà, molti degli Anziani erano del parere di abbandonarli. Sarebbe successo quello che era successo altre volte: avrebbero distrutto tutto. E tutto avrebbe dovuto ricominciare da capo, così per sempre.
         Ma c'erano dei segnali positivi. Molta gente, sempre di più, recepiva l'Energia, e si interrogava sul perché le cose dovessero sempre andare allo stesso modo, nonostante gli sbagli del passato. Sembrava che l'umanità non fosse capace di fare tesoro dell'esperienza passata. Continuava all'infinito a ripetere gli stessi errori. Erano all'opera laggiù, anche le forze del Male. Qualcuno di questi aveva separato in modo innaturale, la ragione dal sentimento, quella forza che viene direttamente dal cuore, e continuavano tutti ad agire con la sola intelligenza. Questo non li stava portando da nessuna parte, perché non si possono scindere le bipolarità di tutte le cose. Questo era stato insegnato molte volte, ma lo scordavano sempre. Tutto in natura evidenziava le opposte polarità: maschile e femminile, caldo e freddo, Bene e Male, positivo negativo, non erano che alcuni, pochi esempi di tutta la dualità insita in tutte le cose. Nessuna percezione delle cose era possibile nello staus quo: era il contrasto che evidenziava lo stimolo dal rumore di fondo. Il cacciatore riesce a scorgere la preda, soltanto quando essa si muove, evidenziando il contrasto con l'immobilità dello sfondo.
         Essi avevano ideato un sistema culturale capace di sopprimere tutte le altre culture alternative. Una cultura seducente, basata sulle comodità apparenti, che tendeva a nascondere la Conoscenza, più che cercare di trasmetterla ai più, affinché potessero evolvere a loro volta. Chi sapeva, usava la conoscenza per sottomettere in schiavitù coloro che non sapevano. Così avevano sottomesso anche quelli che avevano preservato l'Insegnamento originale. Anche gli ultimi stavano cedendo. Alcuni di questi, avevano smesso di riprodursi volontariamente e stavano scomparendo come gente, come cultura alternativa a quella ormai dominante a livello planetario. Era già successo molte volte in passato. I loro libri più antichi accennano ai cosiddetti Figli di Dio, che in un tempo molto antico, avevano insegnato loro la Conoscenza. Quelli eravamo noi.
         Così si era deciso che, questa volta, ci sarebbe stato un ritorno di massa, molti Candidati che avessero superato le prove, sarebbero andati, contemporaneamente, ad insegnare e ad assumere posti chiave da loro, nei vari continenti, nelle diverse nazioni.
         Kjn sentì il nonno arrivare.
         In realtà non era veramente suo nonno, nel senso che intendono gli umani. Per essi, il nonno è il padre biologico, carnale, del proprio padre o della propria madre. Nel mondo di Kjn, non era così. Il nonno era l'Anziano, il Saggio che si occupava dell'insegnamento. Non consideravano parentela in senso biologico perché essi praticavano l'amore universale. Affinché non esistessero le problematiche terrestri, tutti quanti si riconoscevano come fratelli. Tutti quanti gli adulti si occupavano dei più piccoli, come se fossero figli loro. Era questo l'unico modo per evitare gli inconvenienti che c'erano fra gli umani. Sentimenti ambivalenti verso le figure parentali; bramosia di primeggiare e avere potere; competitività spinta fino all'aggressione; sviluppo di sentimenti negativi, come l'odio, l'invidia, possesso. Quelle creature si identificavano troppo con il loro corpo fisico. Eppure tutti erano nati e rinati infinite volte. Qualcosa avrebbero dovuto ricordare. In realtà, i bambini molto piccoli "sapevano", ma gli adulti che si occupavano di loro, immersi in una cultura totalmente materialista, uccidevano il sapere che stava in loro, ed essi, crescendo, dimenticavano. Soltanto alcuni, sapevano coltivare quel piccolo tarlo, che evidenziava la discrepanza fra ciò che essi "sapevano" e ciò che veniva insegnato loro. Questi diventavano poi artisti, scrittori, registi, e facevano molto per l'umanità. Ma ciò che facevano, era considerato secondario, frutto di fantasia, in una cultura che badava soltanto ad accumulare ricchezza materiale, aveva un modesto impatto sui loro simili. Occorreva andare laggiù per amplificare al massimo quel tipo di conoscenza vera. I tempi stringevano. C'era una accelerazione sia verso il Bene che verso il Male: segno di cambiamenti imminenti.
         – Ricapitoliamo l'insegnamento precedente. Tutto nell'Universo è energia. L'Energia può assumere, a volte, l'aspetto di materia, diventando pesante. L'Energia permea tutte le cose e le collega fra di loro. Non può esistere il vuoto, vale a dire, assenza di Energia e di materia.


* * *


         Smise di scrivere perché sentiva di non riuscire a decollare, andare avanti, metterci un poco di azione nella storia. E perché si era fermata un'auto davanti alla casa. L'idea per quel racconto gli era venuta circa una settimana prima. Come la conoscenza è giunta sulla terra. Aveva letto la Bibbia, studiato le altre religioni, soprattutto quelle dei "primitivi". Trovava che ci fossero molti denominatori comuni, trasversali, nelle diverse culture che, difficilmente avevano avuto contatti fra di loro, se non in tempi molto remoti. Oppure, tutte quante derivavano da un unico, antico insegnamento.
         Nonostante il fatto che l'idea continuasse a stuzzicarlo, da una settimana continuava ad avere scritto solo due facciate. Quel mattino soltanto l'arrivo del nonno. Non che avesse esaurito l'argomento. Tutt'altro. Solo che, andando avanti così, sarebbe stato noioso.
         Il suo libro precedente era sbocciato tutto di un fiato, senza rifletterci. Era poi stato duro pubblicarlo. Le grandi case editrici, preferiscono puntare sui cavalli vincenti, non sugli esordienti. Le piccole, richiedono un contributo spese all'autore. In pratica ti dovevi comprare un centinaio almeno di copie, e smerciarle in proprio. Aveva mandato centinaia di mail a molte case editrici, da un elenco trovato su internet. Molti indirizzi erano sbagliati o non aggiornati. Per quelle che non trovò indirizzo internet, spedì lettera e sinossi del libro, tramite posta on line. Anche di queste, ne tornarono indietro alcune, a causa dell'indirizzo errato.
         Alla fine, una piccola casa editrice aveva corso il rischio di pubblicare La roccia, a proprie spese, anche se «dissero» i romanzi non fossero esattamente il loro genere. Era stato un discreto successo, soprattutto nella granda, tanto da permettergli di pagare quella casa di Ripe, appena sopra la borgata Calcinere di Paesana. Un luogo un poco isolato, tranquillo, ma raggiungibile con un chilometro scarso di strada di montagna asfaltata, ma stretta. L'ideale per rilassarsi, leggere e scrivere.
         Andrea Novelli andò alla finestra. Scostò appena la linda tendina e vide il Terrano dai vetri oscurati, parcheggiato sulla piazzola proprio davanti al suo portone d'ingresso e si spaventò. C'erano due uomini a bordo, che non erano ancora scesi. Ma era l'auto ad inquietarlo. Simile a quelle usate dagli agenti dell'FBI o della CIA, nei film americani. Se si erano fermati lì, venivano da lui. E lui non conosceva nessuno che potesse venirlo a trovare con un'auto simile. Non alle sei e trenta del mattino.
         Aveva fatto costruire quella piazzola, con parte dei resti di un casot, che sorgeva proprio davanti alla sua abitazione, costruendo un terrazzo pianeggiante sopra il prato in discesa a valle della strada. Un vecchio essiccatoio di castagne, che serviva solo a togliergli la visuale del bel panorama, su Paesana a sud est. L'aveva fatto abbattere, su consiglio del geometra che gli aveva venduto la casa, anche per ampliare il cortiletto esiguo davanti alla casa. Era venuta una ruspa e, con l'occasione, aveva fatto uno spiazzo anche sul retro della casa, abbassando il terreno che saliva dolcemente, a livello del piano terreno. Così aveva potuto aprire delle porte che non esistevano, anche sul retro della casa. Ad una di quelle porte lo indirizzava il suo istinto in quel momento. Forse la sua salvezza, la sua sopravvivenza fisica, dipendeva soltanto dall'aver fatto quei lavori: acquistato il terreno, spianato, aperta la porta sul retro. Non aveva mai temuto la morte. Anzi, quando lavorava, trovando la sua vita troppo dura e priva di soddisfazioni, l'aveva magari invocata molte volte. Ma adesso era tutto diverso. Gli sembrava di avere raggiunto la meta, la serenità della pensione, e voleva godersela più a lungo possibile. Anche solo per dispetto quegli idioti di politici che, per anni, gli avevano spostato l'attraente carota sospesa davanti al suo naso, tanto che gli sembrava di non poterla raggiungere mai. Dicevano che non c'erano soldi, per le pensioni. Stai a vedere, che in questa "repubblica fondata sul lavoro", erano stati proprio i lavoratori ad aver fatto qualcosa che aveva danneggiato il paese! Ciò che lo indispettiva di più, nei continui allontanamenti della pensione, era il fatto che il contratto sociale, sembrava non essere soggetto alla legislazione di tutti gli altri contratti: quelli della sua età, nati intorno agli anni cinquanta, avevano firmato un contratto con la comunità, il giorno che avevano iniziato a lavorare; adesso, quel contratto veniva rimaneggiato unilateralmente dallo stato.
         Tornò a guardare discretamente alla finestra. L'auto era lì. Gli uomini, due, non erano ancora scesi. Sembravano confabulare fra di loro e al telefono. Il sole che stava sorgendo ad est, sotto una cappa di nuvole nere che sovrastavano la casa e tutta la zona, permetteva di vedere in trasparenza dentro l'auto dai vetri scuri.
         Andrea preparò lo zaino. Aveva avuto in mente, fin dal risveglio, di farsi una camminata. Frutta, una bottiglia di acqua. Acqua ne avrebbe trovata a volontà, su in montagna, ma il contenitore serviva per portarsene un po' appresso. Un'agenda e una penna per scrivere. Telefono. Era carico, ma per precauzione prese anche il carica batterie. Denaro. Aprì la cassaforte a muro e prese tutti i contanti che c'erano dentro. Mise gli scarponi in gore tex impermeabili, una vecchia giacca mimetica, riportata a casa dal servizio militare, sopra la camicia a quadri scozzesi.
         Per fortuna la moglie si trovava al mare. Sarebbe stato un impiccio se avesse dovuto scappare per davvero, con lei appresso, sulla montagna.
         Tornò a guardare alla finestra. Iniziava a piovere a dirotto. Magnifico. L'uomo che stava alla guida, aprì la porta per scendere. Non c'erano dubbi su ciò che aveva in mano. Una grossa pistola, resa ancor più grossa dal tubo del silenziatore avvitato sulla canna. Di sicuro non erano ladri. Percepì dettagli che, data la situazione, sembravano superflui: un foglietto giallo di post it sul cruscotto al posto di guida; l'orologio Expander dell'uomo; la forfora sulla giacca scura dell'uomo ed i suoi capelli corti, brizzolati. La paura e l'adrenalina. Magari quegli uomini volevano soltanto spaventarlo, ma lui non voleva attenderli in casa per scoprirlo.
         Cosa cazzo stava succedendo? Doveva aver detto o scritto, qualcosa che non andava detto. Ma come era possibile? Lui era il signor Nessuno. Aveva fatto tutta la vita il progettista meccanico. Una vita semplice. Adesso era un povero pensionato. Sì, aveva pubblicato un libro in cui accennava a cose off limits, come il signoraggio, il progetto HARPA con le torri ripetitori dei telefoni; le scie chimiche lasciate "volutamente" con gli aerei di linea. Aveva parlato male di Microsoft, dicendo che frugava nei PC della gente, tramite la rete, che era in grado di bloccare macchine e stampanti. Aveva parlato male della medicina ufficiale, ormai completamente assoggettata alle case farmaceutiche, che badavano soltanto al loro guadagno, e non alla salute delle persone.
         Ma, maledizione, era soltanto un cazzo di romanzo. Tutte cose che avrebbero potuto non essere credute. Le stesse cose le aveva pubblicate su un suo sito, a nome dello pseudonimo scelto come scrittore, pubblicando articoli trovati su internet, su altri siti, o su libri.
         Non era assolutamente il solo a pubblicare queste cose. Li stavano forse uccidendo tutti? Non c'era tempo per lambiccarsi il cervello alla ricerca di spiegazioni. Forse era una fortuna che piovesse, perché altrimenti, magari l'altro uomo sarebbe andato sul retro della casa. Si infilò una giacca impermeabile sopra la mimetica.
         Un'arma. Gli serviva qualcosa con cui potersi difendere. Pensò all'arco da tiro a segno, ma decise che era troppo ingombrante. Se ci fosse stato il tempo, l'avrebbe smontato e messo nello zaino, ma tempo non ce n'era. Nello zaino aveva corda e coltellino mille usi, avrebbe potuto, se necessario, costruirsene uno, tagliando un ramo di frassino. Mise nello zaino qualche freccia in vetro resina. In salotto, sopra il caminetto, c'era un machete, di costruzione artigianale, che gli amici avevano portato da un viaggio in Kenya. Era completo di fodero in legno, rivestito di pelle e cinta in cuoio. Molto tagliente. Se lo legò alla vita. Lasciò la luce accesa, contrariamente alle sue abitudini, non per dimenticanza, ma per far credere che fosse sempre lì. Scese le scale a precipizio, con lo zaino già in spalla, e raggiunse la porta sul retro della casa e uscì, senza nemmeno soffermarsi a chiudere a chiave.
         Avesse avuto più tempo, avrebbe potuto fuggire con la moto, ma se li sarebbe tirati dietro immediatamente. Non aveva più l'età per le fughe e gli inseguimenti pericolosi. A piedi poteva andarsene in sordina e acquisire un certo vantaggio. I boschi l'avrebbero nascosto e protetto.
         Ormai quell'altro sul davanti poteva essere entrato. Corse tra l'erba alta del prato sul retro, ormai bagnata dalla pioggia, infradiciandosi completamente i pantaloni. Almeno ne avesse preso un paio di riserva. Non raggiunse la strada asfaltata, che dietro casa sua svoltava a sinistra, per non essere visto dall'auto. Sempre che l'altro uomo fosse ancora là.
         Il cuore gli batteva ad un ritmo accelerato, non soltanto per la corsa. Gli sembrava che la sua vista fosse anche migliorata. Percepiva i dettagli più piccoli di cose, che mai avrebbe notato in condizioni normali. Per fortuna era allenato alla montagna: vi andava ogni giorno. Ma diamine, lui era un pensionato, non uno zero zero sette.
         Eppure gli era chiaro che doveva allontanarsi di lì il più in fretta possibile. Senza percorrere la strada. Almeno per quanto possibile. Dopo la contro curva a destra, raggiunse la borgata di Piana, percorrendo un breve tratto di strada asfaltata.
         Gli parve di sentire un motore e si nascose dietro alle case, a monte, acquattato dietro una bropa. Era il fuoristrada. Percorse lentamente la borgata, come se i due uomini sospettassero che fosse nascosto fra le case. Poi accelerò e, giunto al bivio, discese a valle, senza più indugiare.
         Andrea valutò se tornare a casa, ma decise che era forse troppo presto. Una folla di pensieri lo assalì. Doveva avvisare la moglie. Avrebbero potuto prendersela con lei. Ma subito pensò che il cellulare avrebbe potuto essere sotto controllo. Peccato che non fece il passo deduttivo seguente, cioè che il cellulare poteva essere localizzato. Aveva letto della possibilità già studiata e sperimentata da alcuni governi, di immettere dei chips sotto pelle, sia per localizzare le persone, sia per condizionarle, mediante la capillare rete HARPA. Potenza delle tecnologie moderne. Se vuoi stampare un documento di quattro pagine col tuo PC, puoi impiegarci anche mezza giornata, se le cose vanno storte, ma in pochi secondi puoi essere localizzato, ovunque tu sia, mediante il telefono cellulare.
         Pensare che la sua generazione era vissuta la maggior parte del tempo SENZA cellulare. Com'è che ora non se ne poteva più fare a meno, nemmeno per andare a fare la spesa?
         Decise di salire verso l'alto, evitando la strada, attraverso i sentieri e le scorciatoie. Ora pioveva meno. Ma alcuni tornanti più in su, rivide il fuoristrada scuro, che saliva sulla strada che portava a Pian Marmarin. Fu allora che realizzò che avrebbe dovuto spegnere il cellulare. Nel realizzare questo pensiero, il telefono gli cadde, si aprì e ne uscì la batteria. Frettolosamente mise tutti i pezzi in una tasca dello zaino. Quel giorno non sapeva, non se lo immaginava nemmeno lontanamente, che quell'aggeggio era molto più sicuro così: spento e senza batteria.
        

* * *



         Il maresciallo Egidio Melis era nella fase dello stupore esterrefatto: dopo alcuni mesi di amore appassionato, Elisa era scomparsa. Pioveva e sentiva i primi sintomi della senilità: un dolorino alla spalla destra, una leggera sciatica. Si recò nel suo ufficio con un lieve sentore di guai nell'aria.
         Avrebbe voluto recarsi a cercare Elisa, ma non osava. Ancora sperava che tutto sarebbe ripreso come prima. Squillò il telefono. Il carabiniere di turno, del quale faticava ad imparare il nome, poiché era lì a Paesana da due giorni, gli annunciò che si trattava della sorella. Guardò l'orologio accorgendosi di quanto fosse presto per una telefonata di cortesia della sorella.
         – Dimmi, Santina. è forse successo qualche cosa?
         – Si tratta della mamma. Forse faresti meglio a fare un salto fino qui. Mi preoccupa la sua mente. Non si ricorda le cose, così il medico della mutua le ha prescritto dei farmaci. Ora sembra una mummia. Non parla. Se ne sta seduta tutto il tempo, come imbambolata.
         Melis pensò che era molto tempo che non si prendeva una licenza e che quindi non glie l'avrebbero negata. Una piccola vacanza da quei montanari testoni, non avrebbe potuto che giovargli. Come se ad Esterzili, le persone fossero molto diverse, dai montanari dell'alta valle Po!
         Avrebbe valutato bene la faccenda, perché Santina, correva subito dai medici, anche quando non era strettamente necessario. E questi, magari peggioravano la situazione.
         – Va bene, Santina. Arrivo più presto possibile. Però, tu lo sai come la penso. Non esagerate con i farmaci, che spesso sono peggio della malattia. Magari sospendete tutto fino al mio arrivo.
        

* * *



         Antonio Bellassai aveva ricevuto l'ordine via mail. In allegato c'era la piantina della zona, con evidenziata la casa del bersaglio. Le istruzioni erano di spaventarlo a morte, per ora. O per quello che doveva sapere lui. Sarebbero stati in contatto telefonico con la centrale operativa, in caso di difficoltà. Sarebbe stato affiancato da un agente americano, un certo John Ventura, che in seguito si sarebbe rivelato un emerito pezzo di merda. Oltre, naturalmente ad essere uno scansafatiche. Il peggio era che, l'italo americano era al comando dell'operazione. Inoltre era un uomo massiccio; sarebbe stato necessario un carro armato per avere la meglio su di lui.
         Bellassai era stato reclutato all'epoca del servizio di leva a Monza, dal comandante della compagnia, nel 1975. Ne aveva viste tante in trenta e passa anni di servizio. Quando c'erano di mezzo gli americani, che spesso erano d'origine italiana, erano guai sicuri. Non avevano nessuno scrupolo e nessuna morale. Non che la morale, nel loro lavoro, fosse una priorità, ma, c'è modo e modo. Spesso quei bastardi trucidavano senza motivo i bersagli e si rischiava di essere poi incriminati, finire sui giornali, anche con tutta la copertura fornita dall'agenzia. Questo perché generalmente quegli uomini provenivano dalla mafia.
         Il caso Moro era paradigmatico. All'epoca delle ricerche, lui stesso aveva segnalato via Gradoli, al suo contatto, come altri, seppe in seguito. E la cosa era anche buffa, dato che tutta quella zona, quel quartiere, brulicava di uffici copertura dell'agenzia. Era quindi semplice concludere, che non si voleva "trovare" ciò che si "cercava", perché tutto il copione era prestabilito lassù in alto, cioè negli Stati Uniti. La favoletta che i "terroristi" di allora, cioè i brigatisti, non si trovavano perché si nascondevano, era solo fumo negli occhi per il cittadino medio, che si beve tutto ciò che appare nei media, manovrati dagli stessi burattinai.
         Sapevamo esattamente dove fossero tutti quanti, li sorvegliavamo.
         Le brigate rosse erano state "coltivate", aiutate occultamente a crescere, a procurarsi armi, per essere infine usate all'occorrenza. E l'occorrenza si presentò, quando il politico Moro, ebbe l'idea di sconvolgere l'equilibrio, lo staus quo creato in Europa con gli accordi di Yalta, dopo la seconda guerra mondiale: il famigerato "compromesso storico" con i comunisti.
         In quel periodo le brigate rosse avevano progettato il rapimento di Andreotti. Fu facile dirottarli su Moro. Miracolosamente, furono decapitate dei capi storici, tra i quali Curcio e Franceschini, che in un batter di ciglia furono trovati e arrestati. Al suo posto si infiltrò gente come Moretti, uno dei nostri. Il resto è storia nota.
         A riprova del vero, se mai fosse necessario, gente come Moretti che partecipò attivamente ai fatti di sangue del caso Moro, sono ormai già fuori, mentre i cosiddetti ideologi, i capi storici, sono ancora tutti in galera, compresi alcuni che non hanno mai ucciso nessuno.
         Bellassai si parava il culo a modo suo. Quando compilava i rapporti, negli stessi giorni ne inviava copia ad un suo amico, avvocato di fiducia, che conservava le buste chiuse, per convalida del timbro postale, in una cassaforte. Un'altra copia la conservava lui stesso in diverse cassette di sicurezza. Ma in quel mondo le precauzioni non erano mai abbastanza e lui stava iniziando ad essere troppo vecchio per questo "lavoro". E cominciava pure a dubitare che l'avrebbero tranquillamente lasciato andare in pensione.
         Già si trastullava con l'idea di trovare un buon posto all'estero, dove poter andare a terminare i suoi giorni. Parenti non ne aveva. Cosa lo teneva legato qui? Magari a fare la fine del topo, come le agenzie pianificano per tutti quelli che sanno troppe cose? Avevano metodi raffinati e sempre uguali, per pensionare quelli come lui, oppure i testimoni di casi eclatanti, come il caso Kennedy.
         Infarti, suicidi, o incidenti stradali. Probabilmente era una di queste tre cose che lo attendeva alla fine della carriera. Tutte facilmente provocabili senza lasciare tracce. Scie di morti alle quali lui stesso aveva partecipato. Chi provoca l'incidente che fa morire Tizio, a sua volta lo si trova morto suicida oppure di infarto. Solo un giovane inesperto può accettare di entrare in un mondo simile, perché quando lo conosci bene, dopo avervi partecipato, sai cosa ti aspetta alla fine della corsa. Non ti illudi più sulla bella vita di zero zero sette, con le sue avventure sessuali e il facile guadagno, che ti permetterà una bella vita futura. Il futuro semplicemente non è previsto dagli inventori del gioco.
        
         L'americano era passato a prenderlo come previsto, che era ancora notte, con il fuoristrada dai vetri oscurati. Non riusciva a decidersi se gli americani si comportassero proprio come nei film, o se erano i film che erano a conoscenza di dettagli minimi, sul modo di agire degli agenti, ad essere realistici. Lui avrebbe scelto un modo più anonimo, tipico della creatività tutta italiana. Magari una vecchia auto scassata. Fosse anche un fuoristrada, visto che si era destinati ad andare in montagna, oppure una vecchia Panda quattro per quattro. No, gli americani sembravano voler a tutti i costi andare in giro con il cartello pubblicitario: siamo della CIA, o dell'FBI!
         L'altro volle che guidasse Bellassai, con la scusa che, essendo italiano, conosceva meglio le strade. Quando salì al posto di guida, si rese conto che quell'auto era una vera e propria centrale operativa mobile, che poteva essere in contatto con una centrale a terra. Disporre magari dell'ausilio dei satelliti per le comunicazioni e l'esplorazione del territorio. Gli sembrò una attrezzatura esuberante, per spaventare uno scribacchino. Sul cruscotto, al posto di guida, c'era un post-it con un numero di telefono. Quando giunsero alla casa dell'obiettivo, Ventura accese un computer portatile e si collegò in rete, componendo il numero del post-it sul cruscotto. Si mise a pestare sui tasti e a scrutare sul monitor, che dalla sua posizione, non riusciva a vedere. Poi gli diede l'ordine di entrare in casa e procedere come da istruzioni. Lui sarebbe rimasto ai contatti, intervenendo solo in caso di necessità. Antonio cominciò ad insospettirsi.
         Scese dall'auto e si avviò verso l'ingresso della casa. Aveva in mano la sua Beretta calibro 9 parabellum, con inserito il silenziatore, come da istruzioni. Le serrature del cancello e della porta di casa, non resistettero che pochi secondi, alla sua perizia maturata in anni di esercitazioni. Salì le scale silenzioso come un gatto, con l'arma in mano. Ma dopo un minuto di esplorazione, in tutti locali del piano superiore, si rese conto che di sopra non c'era nessuno, nonostante la luce ancora accesa.
         Scese rapidamente di sotto ed esplorò garage, cantina, locale caldaia. Poi provò la porta posteriore e la trovò aperta. Sbirciò nel prato sul retro, che saliva verso la montagna. Nessuno in vista. Uscì da dove era entrato e andò ad avvertire il socio, che non parve minimamente stupito, e chiuse lo schermo del portatile.
         – Andiamo dentro- Disse nel suo italiano che la diceva lunga, sulle sue origini e sul luogo in cui viveva.
         Una volta dentro la casa, la misero sottosopra, come se ci fossero stati dei ladri. Scrissero con un grosso pennarello nero sullo specchio del soggiorno: «Attento a cosa scrivi!». Ventura sparò un colpo al monitor aperto del computer portatile, che stava sul tavolo in soggiorno. La pallottola, dopo aver attraversato uno dei cuscini del divano, dal quale uscì un nugolo di piume d'oca, si piantò nel muro retrostante. Bellassai, che in quel momento era girato, ma aveva visto il Ventura nello specchio in cui stava scrivendo, reagì allo starnuto soffocato dal silenziatore dell'arma, puntando la sua pistola su Ventura, il quale rise facendo i versi di un asino.
         – Rilassati, socio. Si tratta di normale routine. Hai i nervi a fior di pelle.
         Uscirono. Risalirono in auto e il Ventura ordinò che si andasse su per la strada, verso Piana.
         – Potrebbe essersi nascosto fra queste case.
         Disse il Ventura, poco convinto. Sul monitor aveva perso la traccia del bersaglio. Controllò il suo cellulare e vide che lì non c'era campo. «Ecco perché» Pensò fra se'. Fiducioso che prima o dopo l'avrebbe ritrovato. Intanto dalle case della borgata cominciava ad affacciarsi qualche curioso locale e Ventura decise che era tempo di dileguarsi. Passarono nell'angusto spazio fra le case della borgata e salirono fino al bivio, dove la strada segue tre diverse direzioni. Una scende a valle e la imboccarono. Le altre proseguono per Grange, l'una, e l'ultima per Ferrere. Dopo pochi minuti riapparve il segnale, a monte, ma Ventura non disse nulla. Tanto la strada era troppo stretta per fare inversione e risalire. Inutile suscitare una discussione sul fatto che lui aveva seguito sul monitor la traccia del bersaglio per tutto il tempo. Finse di sporgersi a guardare nelle rive, ai lati della strada, dopo aver richiuso il computer. Ma nemmeno Bellassai era uno stupido.
         – Mi vuoi spiegare cosa cazzo sta succedendo? Scommetto che hai sempre saputo con i tuoi giocattolini, dove si trovava il bersaglio. Non è così?
         – Non è proprio così, caro il mio sapientone. Ho tentato di rintracciare il segnale del suo cellulare, ma o ce l'ha spento, oppure non c'è campo in questa zona. Ora che possiamo fare manovra, torniamo su.
         Antonio Bellassai divenne pensieroso e taciturno. Cosa diavolo significava tutta questa operazione apparentemente banale, di routine? Qualche cosa nella sua mente gli stava suonando un campanellino d'allarme. Non gli tornavano semplicemente i conti. Perché per un'operazione come quella era arrivata una feccia come quell'americano? Divenne guardingo, non già per l'impegno che richiedeva la missione, ma piuttosto per tentare di capirne di più, osservando il comportamento del compare. Che brutta parola. Al suo paese compare stava quasi per amico. Mai e poi mai avrebbe stretto amicizia con un individuo come quello. Anzi, d'ora in poi, avrebbe fatto meglio a non voltargli le spalle. Quel colpo di pistola di poco prima, in casa del bersaglio, continuava a fischiargli nelle orecchie come un eco infinita.

* * *



         Ora che Andrea sapeva dove erano i suoi inseguitori, ma essi non sapevano dove era lui, li avrebbe seminati sicuramente. Conosceva quelle montagne come le sue tasche. A meno che avessero elicotteri o usassero satelliti. Cose che, almeno per il momento, erano impossibili, dato che era nuvoloso, anche se non pioveva quasi più. Lui che era stato sempre meteoropatico, che si intristiva in assenza del sole, benedisse per la prima volta in vita sua, una giornata piovosa. Gli nacque un sorriso interiore, anche se era completamente fradicio, a parte i piedi, nelle confortevoli scarpe da traking.
         Aveva svariate possibilità di scomparire da lì, per riapparire in vallate lontane e diverse, persino in Francia, se lo avesse voluto.
         Nella tasca dello zaino aveva la cartina I sentieri del Monviso. Un'ampia scelta, dettata solo dalla sua preferenza.
         Avrebbe potuto raggiungere la val Varaita, e passare in Francia, oppure proseguire fino alla valle Maira. Poteva passare in Francia dal buco di Viso, se avesse raggiunto Pian del Re, sopra Crissolo. Addirittura avrebbe potuto ricomparire alla civiltà in valle Pellice, oppure a Barge o a Pinerolo.
         Dalla civiltà avrebbe fatto le telefonate necessarie per allertare la moglie, da un telefono pubblico, e poi decidere se tornare alla macchia o ricongiungersi a lei.
         Magari avrebbero potuto ritrovarsi da dei suoi lontani parenti nei pressi di Lyon. Questa era la prima vera avventura che gli capitava e cominciava quasi ad apprezzarla, non fosse stato per la paura iniziale di lasciarci le penne. Sperava solo che non fosse successo nulla a lei.
         Quanto più fosse stato necessario stare in montagna, in mezzo alla natura e lontano dalla civiltà, dalla gente, tanto più si sarebbe divertito.
         Gli tornavano alla mente quei film di rafting nel Montana, oppure di pesca alla trota o al salmone in quei fiumi impetuosi. I pericoli della natura, non sono da sottovalutare, ma non sono così reali rispetto al pericolo di stare in mezzo alla gente, magari armata e male intenzionata.
         Magari ne sarebbe nato un altro libro, visto che l'altro che aveva iniziato non sembrava voler decollare.
         Giunto alla baita ristrutturata appena sotto Pian Marmarin, si fermò nel fienile per asciugarsi, mangiare un po' di frutta e decidere il da farsi.
         Si spogliò completamente e si asciugò con il fieno, secco e profumato di primavera. Aveva steso i suoi panni bagnati sullo steccato che avrebbe dovuto impedire l'accesso al fienile. Stava pensando di accendere un piccolo fuoco sull'ingresso del fienile, per asciugare i vestiti. Aveva sempre un accendino nella tasca dello zaino, anche se non era un fumatore, e un po' di fieno sarebbe stata un'ottima esca. Legna secca ce n'era nello stesso fienile. Sentì il rombo di un'auto che saliva sulla strada sterrata che passava cinquanta metri dietro alla casa. Non potevano vederlo, perché l'ingresso del fienile era sul lato opposto della casa. Cautamente mise il naso fuori dal muro e riconobbe la sagoma inconfondibile del solito fuoristrada scuro che saliva. Lo stavano ancora cercando, ma alla cieca. Infatti non si fermarono ne' rallentarono all'altezza della casa. In ogni caso non poteva ancora ritenersi al sicuro. Doveva muoversi subito di lì, e in un'altra direzione, rispetto a quella che aveva quasi deciso precedentemente.
         Si rivestì lentamente, con un lieve moto di ribrezzo al nuovo contatto con gli abiti bagnati. Ma camminando in salita, avrebbe sudato e la sensazione di freddo sarebbe presto scomparsa. Questa volta mise la giacca impermeabile sotto alla giacca mimetica. Così sarebbe stato praticamente invisibile, dato che lo zaino era verde oliva, e, nell'insieme, si sarebbe confuso con i colori dei boschi e della montagna. Bisognava solo avere la cautela di non muoversi, qualora avesse ritenuto di essere in vista ai suoi inseguitori.
         Dal prato della baita dipartiva un sentiero che portava ad ovest, verso Ostana e Crissolo, sul versante opposto della montagna che stava salendo. Cambiò i suoi piani. Invece di salire a Pian Marmarin, per poi costeggiare il Castello d'Oddino, il Bric d'Arcet, e scendere verso Agliasco, oppure puntare su Rucas e Montoso, sarebbe andato da quell'altra parte. L'auto non era più in vista, perché dopo quel tratto dietro la casa, la strada svoltava a destra e proseguiva sul versante inverso fino al Pian Marmarin. Soltanto quando fossero stati lassù, e lui fosse salito molto in alto avrebbero potuto vederlo, ma su un'altra montagna. Allora si sarebbe mosso con cautela, evitando la strada e passando nei boschi. Aveva in mente una baita per passare la notte. Là, se lo avesse ritenuto possibile e soprattutto sicuro, avrebbe acceso il camino dentro la baita. Sarebbe stato necessario forzare la porta, ma avrebbe lasciato del denaro per i danni e per la legna.

* * *



         Giovanni Ventura era contrariato. Le cose erano andate a puttane fin da subito. Così non aveva potuto fare nulla di ciò che gli era stato ordinato. E lui non amava non eseguire gli ordini. In tutta la sua vita, non aveva fatto altro. E si era sempre trovato bene. Da quando aveva quindici anni ed il suo padrino di battesimo, venuto in paese per il matrimonio di una nipote, aveva voluto che andasse con lui a Boston, aveva sempre fatto ciò che gli ordinavano. Don Calogero aveva cominciato a chiamarlo Johnny, e lui era diventato Johnny.
         A volte gli era stato ordinato di "dare una lezione" a qualcuno e lui lo aveva fatto. A volte si era trattato di uccidere. Non si era tirato mai indietro, perché, in fondo, uccidere gli dava un piacere strano, quasi come fottere. Forse anche meglio che fottere.
         Quando don Calogero gli aveva consigliato di sposarsi una ragazza americana, giusto per prendersi la cittadinanza e starsene tranquillo in quel paese, lui lo aveva fatto. C'era quella Jane che era una vera e propria bomba sessuale innescata. Aveva sempre voglia di sesso, proprio come lui. Le era sembrata una buona scelta, perché quando era giovane e stava ancora al paese, di fottere non se ne parlava nemmeno. La voglia l'aveva già allora e l'unica soluzione erano le pippe. Tante di quelle pippe da consumarsi la mano e l'attrezzo.
         Ciò che diceva don Calogero per lui andava sempre bene. Quasi tutto quello che Giovanni sapeva, glie l'aveva insegnato 'u zio. Dopo pochi mesi si era sbarazzato della moglie, chiedendo il divorzio, dopo averla trovata a letto con un altro uomo.
         Il problema di lei, era proprio quello che all'inizio l'aveva attratto. La sua insaziabile voglia. Nonostante lo facessero più volte al giorno, quella rimaneva sempre insaziabile e vogliosa ancora. Aveva poi saputo che quella era una specie di malattia. Ninfomania. Lui avrebbe voluto ammazzarli entrambi, giusto così, per togliersi lo sfizio, ma non l'avrebbe mai fatto senza sentire il parere di don Calogero.
         – Che te ne fotte di ammazzarli? Anzi tutto, questo è stato un bene per te. Con questa scusa divorzi e ti liberi di quella puttanella. E rimani cittadino americano. La vendetta è un piatto che va mangiato freddo.
         Così aveva fatto. Ma siccome la cosa un poco gli bruciava, aveva fatto dare una lezione all'uomo, da certi amici suoi, senza ammazzarlo. Gli aveva soltanto tolto la possibilità di fottere, ne' le donne degli altri, ne la sua. Per pisciare avrebbe dovuto, da allora in poi, sedersi sul water, come le femmine. Avrebbe continuato ad avere desideri e voglie di un uomo, perché le palle glie le avevano lasciate, ma senza niente per soddisfarle. Non riusciva ad immaginare una vendetta migliore.
         Aveva poi letto sui giornali che il poveraccio si era suicidato. Una storia patetica. Dopo l'intervento dei suoi amici, l'uomo aveva iniziato a bere forte. Poi era passato alle droghe, prima leggere poi pesanti. Infine si era appeso ad una trave in cantina. Requiem Æternam.
        
         Don Calogero gli aveva insegnato come funziona il mondo.
         «Johnny, sono i piccioli che comandano. Tanti piccioli sono la chiave del potere. Però ricorda bene, che per quanti soldi tu ed io possiamo accumulare in tutta la vita, non avremo mai il potere, quello vero, quello con la "P" maiuscola. Quello ce l'hanno solamente i grandi banchieri. Quelli hanno il potere perché sono banchieri da generazioni e generazioni. Hanno tenuto per le palle principi ed imperatori d'Europa, fin dalla nascita delle banche. Ora tengono per le palle i più potenti politici del mondo. Presidenti e primi ministri sono al soldo dei banchieri. Persino quelli che stanno all'opposizione, sono sul loro libro paga.
         Qualunque cosa succeda nel mondo, è perché loro hanno voluto che succedesse. Non ti lasciare ingannare da giornali e telegiornali, che pure loro strombazzano solamente quello che i potenti gli permettono di dire. Quelli ci sanno fare con il denaro. L'hanno inventato loro. A noi conviene stare dalla loro parte. Loro hanno bisogno di quelli come me e te, per i lavori sporchi. Essi non amano sporcarsi le mani di sangue. Lo facciamo noi al posto loro. Conviene a noi e conviene a loro. è una simbiosi.
         Noi siamo come i batteri che stanno nella merda dentro l'intestino. Pure quei batteri sono utili al funzionamento del corpo, per la digestione del cibo. E non ti devi sentire avvilito, ad essere paragonato ad un batterio che vive tutta la sua vita immerso nella merda.
         Allo stesso modo, la società, così come è, cioè come i banchieri hanno voluto che fosse, servono quelli come noi, che ammazzano quelli che devono essere ammazzati per il buon funzionamento del sistema.
         Affinché il mondo rimanga quello che è stato sempre, pur cambiando aspetto ogni giorno: un mondo che gira attorno al denaro. Tieni sempre tutto bene in mente, per quando io non ci sarò più. Johnny, tu sei il figlio che il Signore non mi ha voluto dare mai.
         Non importa se ci chiamano mafiosi, o agenti segreti, della CIA oppure dell'NSA o di qualche altra agenzia, come il SISMI, il SID, o quant'altro, nel nostro paese che è l'Italia. è sempre lo stesso. Narcotraffico, traffico di armi, agenzie varie, sono soltanto aspetti diversi, specie diversi di quegli stessi batteri della merda.»
        
         Soltanto figlie femmine aveva don Calogero. Quando si metteva a parlare in questo modo, Giovanni si faceva attento, anche se non comprendeva tutto al cento per cento. Ma egli usava delle metafore, espressioni figurate che gli rendevano facile comprendere il senso del discorso. Ogni tanto si interrompeva, per sorseggiare un poco di Zibibbo. Poi socchiudeva un tantino gli occhi e la pausa si prolungava, a volte, così a lungo, che un interlocutore non attento come Johnny, avrebbe pensato che si fosse assopito. In realtà don Calogero rifletteva. Non parlava a vanvera e non perdeva mai il filo. Anche perché nessuno di quelli che lo conoscevano avrebbero mai osato interrompere inopportunamente ne' il suo discorso, ne', tanto meno, le sue pause.
         «Noi dobbiamo essere capaci di fare bene il nostro lavoro e starcene zitti. Non è un caso che una delle virtù più apprezzate in seno a "Cosa nostra", o di qualsiasi altra sorta di società segreta, sia proprio l'omertà. Non si deve mai parlare con nessuno di quello che ci è stato comandato di fare, per quanta impressione, o eccitazione, o paura ci abbia arrecato facendolo.
         Non esistono amici, ne' confessori, ne', meno che meno, le nostre femmine, per parlare del nostro lavoro. Le femmine poi, hanno la lingua che va più veloce del pensiero, e non sarebbe al sicuro,un nostro segreto confidato a loro. Se sei credente in Dio, come io sono, non ti serve un prete per confessargli di avere ammazzato qualcuno. Puoi pregare direttamente Dio, nella solitudine della tua camera, quando ti corichi la sera. Oppure in cuore tuo, quando sei in chiesa.
         Al sistema, il nostro lavoro è utile quanto, e più, di quello del muratore, del meccanico, dell'elettricista, del contadino o del panettiere. Ma è più delicato. Se si iniziassero a divulgare i nostri segreti, il sistema vacillerebbe. Si verrebbe a sapere cose che farebbero pensare le persone intelligenti.
         Perché è stato ucciso il tale, come è scoppiata quella guerra, a quale scopo vengono vendute le armi e la droga. Molti pensano che noi traffichiamo in armi e droga per fare soldi. In un certo senso è vero: facendolo ci arricchiamo e molto. Ma non è quello lo scopo vero, voluto da chi, da quelli che hanno "pensato" il sistema. Le armi vengono portate laddove si vuole che scoppino pasticci, guerre, rivoluzioni. è stato sempre così.
         La droga serve ad imbambolare quelli che potrebbero pensare. Come in passato è stato l'alcool. Come pensi che abbiamo proliferato noi ai tempi del proibizionismo? Imbambolare quelli più intelligenti, ti dicevo. Allo stesso scopo servono giornali e televisioni. E bada bene, quando dico quelli più intelligenti, non mi riferisco a quelli che hanno studiato ed hanno accumulato lauree e diplomi. Mi riferisco anche, e soprattutto a quelli come me e te, che anche se non siamo andati molto a scuola, sanno pensare autonomamente.
         Osservare quello che succede e capire perché succede. A queste persone si aprono due sole strade. O fanno come noi e si adattano e sfruttano il sistema come meglio possono, oppure vi si ribellano. E, alla fine, questi ultimi, sono il nostro pane quotidiano, il nostro business. Quelli da eliminare. Ti potrei fare moltissimi esempi.
         Qui, nella terra che ci ospita, sono stati uccisi diversi presidenti, che facevano parte della categoria degli intelligenti, che avevano capito e si erano ribellati.
         Pensa soltanto ad Abramo Lincoln e John Fitzgerald Kennedy. Entrambi si sono ribellati, in un certo senso, al sistema vigente, che prevede che la massima autorità sia chi emette il denaro: il banchiere. Loro, come presidenti della nazione più grande e potente del mondo, pensarono di essere essi stessi la massima autorità, nel loro paese, e decisero, di emettere a nome dello stato che rappresentavano, moneta statale, il primo per finanziare la sua guerra di secessione, il secondo per ribellarsi al crescente strapotere delle banche. Entrambi stamparono moneta statale. Hanno fatto entrambi la stessa fine. Dei Johnny o dei don Calogero si sono occupati di loro. E non sto parlando di Lee Harvey Oswald, per intenderci, poiché quello era soltanto un burattino, un capro espiatorio preparato apposta per l'occasione, anni prima, nel caso quel JFK, fosse diventato presidente.
         In Italia, ti basteranno pochi esempi, tutti l'uno sulle tracce del precedente. Dalla Chiesa si era imbattuto nel caso Moro e aveva capito chi erano i mandanti. Falcone prima e Borsellino poi, avevano rifatto la stessa strada. Nessuna pietà di questi uomini, che se guardiamo bene, avevano servito davvero e per bene, lo stato in cui credevano.
         Ma lo stato che cosa è? Lo stato è aria fritta senza i banchieri che lo sovvenzionano. Potrebbe essere diversamente, ma i politici ormai, si cagano tutti addosso, se pensano di cambiare le cose e cominciare a fare a meno delle banche. Preferiscono la vita comoda che i padroni del sistema offrono loro, senza rischi e pericoli. Basta che facciano quel che gli si dice di fare. Destra e sinistra, sono tutt'uno. Quaqquaqraquà!
         Poi si fa credere alla gente che sia la mafia a decretare la morte di quelle persone. Come se la mafia fosse una organizzazione autonoma e indipendente dal resto del sistema. La mafia è quello che è, DENTRO al sistema.
         Potrebbe la mafia continuare a uccidere tutti e quanti i Prefetti e i giudici, poniamo di Palermo, come ha fatto con i nominati? Che interesse avrebbe? Lo stato continuerebbe a nominare altre persone al loro posto. Sarebbe un massacro inutile e dannoso, anche per la mafia stessa, in quanto potrebbe inimicarsi l'opinione della gente.
         Non è che la mafia abbia deciso che non vuole Prefetti e giudici a Palermo. Gli ordini sono arrivati, come sempre dall'alto. Non si sono colpite le figure simboliche, del Prefetto e dei giudici, si sono uccisi degli uomini specifici.
         Il resto del bailamme, per confondere le menti deboli, viene dalle farneticazioni dei giornalisti, al soldo degli stessi padroni, per lo stesso scopo.
         Per imbambolare le persone comuni, si è creata una idea di mafia che sta a metà fra una setta satanica e una religione parallela. La mafia è solo una delle tante massonerie, come ne esistono tante. Organizzazioni segrete o quasi segrete, coltivate dai veri potenti, per i loro scopi. All'inizio erano quasi delle corporazioni, una specie di sindacato. Diretto dai padroni.»

         A John mancavano molto gli insegnamenti di don Calogero, che era morto da qualche anno.
         L'operazione di quel giorno, sembrava di una semplicità estrema, rispetto ad altre a cui aveva partecipato. Il suo socio era un vecchio, non innocuo, ma facile. Solo che non si aspettava che quel Novelli fuggisse. Ma, come vero Dio, l'avrebbero trovato, e avrebbe chiuso questa faccenda. Poi se ne sarebbe tornato a Boston per un po', avrebbe trascorso un mese intero in una sua casa tranquilla in riva al mare, con una giovane pollastrella appena conosciuta, che aveva anche posato per le pagine di Play Boy. Ne aveva una copia nella valigia in albergo a Saluzzo.

* * *



         Andrea Novelli aveva quasi raggiunto la baita che aveva in mente per riposarsi. Le nuvole si erano abbassate, anche se non pioveva più, e si trovava immerso nella nebbia. Che lo avvistassero pure adesso, i due pezzi di merda col fuoristrada, se ne erano capaci.
         Era appena giunto ad un rio reso impetuoso dalla pioggia a monte. L'acqua era torbida, ideale per tentare di pescare. E lui aveva fame abbastanza, da non potersi più accontentare della sola frutta. Erano le sedici. Nel suo zaino che gli ricordava il gonnellino di Eta Beta, aveva di tutto, proprio come il personaggio alieno di Disney. Siccome lo usava anche al mare, c'erano ami e filo da pesca. Avrebbe tagliato un ramo di frassino, abbastanza robusto da farci eventualmente un arco, ma per adesso, ne avrebbe fatto una rudimentale canna da pesca. Sapeva che in quei rii di montagna c'erano trote, che risalivano dal fiume Po. Ne aveva già pescate. Trovò il ramo che desiderava non lontano dal rio. Lo tagliò e preparò una lenza, legando l'amo come aveva sempre fatto, col nodo scorrevole che gli aveva insegnato suo padre la prima volta che l'aveva portato a pesca da bambino. Trovava stupido comprare ami già legati. L'attività preparatoria della pesca era attraente quanto la pesca stessa. Faceva parte dello Zen della pesca. Non aveva piombini rotondi da usare come zavorra, ma trovò in una tasca dello zaino un pezzetto di filo di piombo, di quello usato per misurare la profondità del fondale, nella pesca a galleggiante. Usò parte di quello.
         Mancava soltanto l'esca. Si avvicinò al torrente e rovesciò alcuni sassi sui bordi. Sotto di questi vi erano dei porta-fas, larve di farfalle avvolte in un guscio di piccole pietre. Se ne mise alcuni nella tasca della giacca mimetica. Uno lo infilzò nell'amo e risalì i torrentello, alla ricerca di una pozza abbastanza grande per essere l'habitat di una trota, tenendo il terminale con l'amo nella mano sinistra, teso, mentre la mano destra reggeva l'improvvisata canna da pesca. Camminava lentamente, badando di non produrre rumore di sassi che battevano uno sull'altro. L'acqua del torrente produceva un rumore continuo, assordante, di cascata. Ma un rumore diverso, la vibrazione dei sassi calpestati, avrebbe messo in allarme i pesci, vanificando il vantaggio dato dall'aumentato volume d'acqua e dalla sua torbidezza dovuta alla pioggia. La trota è un pesce stupido, in quanto si butta a razzo su qualsiasi possibile esca compaia nell'acqua, ma estremamente diffidente agli altri stimoli che indicano la presenza dell'uomo vicino al torrente: un'ombra improvvisa che si stagli sull'acqua, un rumore di sassi.
         Individuata la pozza, lanciò con gesto esperto la lenza nella cascatella a monte, che la trascinò subito al centro della pozza d'acqua. Subito avvertì nella canna, il tremolio tipico della trota che afferra l'esca. Si trattenne un attimo. Se avesse ferrato subito, non avrebbe fatto altro che togliere l'esca di bocca alla trota. Essa avrebbe dovuto sentirsi a suo agio, e ingoiarla. Solo allora la ferrata avrebbe piantato irreversibilmente l'amo nella sue fauci. Così fu, quando la trota tentò di ribellarsi all'irreparabile, spiccando un balzo fuori dall'acqua. Non riuscì a liberarsi dell'amo. Ricascò in acqua e tirò, per andare a nascondersi nella sua tana, sotto qualche sasso, trattenuta dalla lenza tesa. Andrea,con un gesto rapido, la tirò fuori dall'acqua. Non era così grande da correre il rischio di spezzare la lenza, ma avrebbe potuto dare del filo da torcere, andando magari ad impigliarsi in qualche ramo trascinato dalla piena.
         Prese la fario con la mano sinistra, saldamente, sotto le branchie rosso vivo. Rivide mentalmente tutta la scena. La pesca gli dava sempre la stessa eccitazione, fin da bambino, riversandogli quel tanto di adrenalina in corpo da vivere il tutto più intensamente del normale, quasi sotto l'effetto di una droga. Ora che l'aveva in mano la valutò rientrare appena nella misura consentita, vale a dire lunga una ventina di centimetri soltanto. Non sufficiente per la sua fame, stimolata dalla fatica della fuga in montagna, ma sempre meglio di niente.
         La ripulì immediatamente, come gli aveva insegnato suo padre, tre secoli addietro, e la lavò poi nell'acqua sporca del torrente, per togliere i residui di sangue e di squame che aveva grattato via, passando il coltellino contropelo, dalla coda verso la testa. La ripose in un sacchetto di nylon che aveva nello zaino, dove prima stavano delle albicocche che aveva portato con se'. Ora era completamente immerso nella nebbia. Non pioveva più e si sentiva protetto. L'eccitazione della pesca gli aveva fatto scordare di essere un uomo in fuga. Ma in fuga da cosa? Da chi? Nella baita su in alta montagna, dove era diretto, ci avrebbe pensato, dopo la cena.
         Bevve un sorso d'acqua. Decise che ne avrebbe pescata un'altra. Doveva cercare un altro tumpi. Non si prendono due trote nella stessa pozza d'acqua: lo scarmazzo fatto dalla prima, aveva sicuramente spaventato eventuali altri pesci che si trovavano lì. All'idea della parola scarmazzo, proveniente da uno dei libri di Camilleri, sorrise fra se', pensando come, a volte, parole dialettali o gergali, rendano meglio l'idea di sofisticate e accademiche parole della lingua italiana. Per quanto, la lingua italiana stessa, fosse molto più ricca e dettagliata dello slang americano, che la globalizzazione ci avrebbe portato a parlare tutti quanti, nel volgere di una generazione.
        
         Come sempre, quando pescava, o raccoglieva funghi, gli venne quasi una sorta di nostalgia per come doveva essere il paradiso terrestre, ricco di frutti, selvaggina e pesce a disposizione di tutti quanti.
         Inevitabilmente lo paragonò al burocratico mondo odierno, dove occorreva una licenza per cacciare, un'altra per pescare e un tesserino per raccogliere funghi, nei giorni stabiliti dai burocrati. I pesci dovevano essere della misura stabilita dai burocrati, come anche le lumache, perché, dicevano i burocrati, questo serviva a proteggere le specie. Sarebbe stato bello se fosse stato vero.
         Peccato che mentre il pescatore avrebbe dovuto ributtare nel fiume il pesce lungo un centimetro meno di quanto stabilito, a monte, nello stesso fiume, una industria chimica scaricava ogni sorta di veleni nel fiume stesso, distruggendo in un amen, non un individuo, ma quintali di pesci.
         Peccato che i diserbanti delle multinazionali, che avevano creato sementi sterili, resistenti ai loro diserbanti, rendendo i contadini dipendenti da loro per le sementi, cosa mai vista prima, uccidessero pesci e lumache. Magari esseri umani.
         Che mondo di merda! Fu tentato di trasformare, quella gita forzata, in uno stile di vita, per allontanarsi per sempre dalla "civiltà" bacata in cui era costretto dalla nascita.
         Poi c'era, di conseguenza, quell'altra riflessione a cui tutto questo lo conduceva inevitabilmente, ogni volta. Pareva che fosse necessario, ineludibile proteggere a qualsiasi costo tutti gli animali. L'ONU aveva varato I diritti universali degli animali, sulla falsariga dei rivoluzionari Droit de l'homme della rivoluzione francese, ripresi dalla stessa ONU nel 1948, dopo la seconda guerra mondiale. Come se si volesse dimostrare, che l'uomo, nella considerazione di chi governa il mondo, è soltanto un animale, con meno diritti degli animali stessi.
         Ricordava un documentario sull'Africa, dove dei guardacaccia avevano sparato a dei bracconieri, neri ovviamente, uccidendone uno. Il messaggio è chiaro: difendiamo gli animali a spese della vita umana. Un altro classico, che lo faceva infuriare, erano gli innumerevoli documentari sui varani, i cosiddetti draghi delle Galapagos. Questi animali preistorici a volte attaccavano le mandrie ed erano numerosi i casi di uccisione di esseri umani, soprattutto bambini. Ma per carità: l'uomo non uccida il varano! Potrebbe estinguersi.
         Infine, logicamente a questo punto, arrivava a Fulco Pratesi, presidente italiano del WWF, che andava predicando che l'anziano, quando sente prossima la morte, dovrebbe recarsi sulle montagne dove viveva una specie di rapace carnivoro, e lasciarsi cadere sulle rocce, di modo che il suo corpo non vada sprecato, ma diventi cibo per gli uccelli.
         Eccolo là, il più antico indice di civiltà, il culto dei morti, segno distintivo dell'uomo dall'animale, ridotto a zero. I padroni del mondo, che lo governano e lo dirigono anche mediante questi fra massoni, rivelano apertamente, a tutti quelli che lo vogliono vedere, il loro disprezzo per l'umanità.
         Umanità intesa come massa degli schiavi al loro servizio, di cui essi, non fanno ovviamente parte, considerandosi Super Uomini, o semi dei.
         Uno dei fondatori del WWF, il principe di Edimburgo, consorte della attuale regina Elisabetta d'Inghilterra, pare abbia proferito in una intervista, che, nel caso dovesse reincarnarsi, vorrebbe farlo come virus letale, in modo da decimare la popolazione mondiale. Del resto, l'ossessione del controllo maltusiano della popolazione, è da sempre l'ossessione di questa gente. D'altra parte riescono bene in questo intento. Le sole due ultime guerre mondiali, hanno prodotto sessanta milioni di morti. Dieci la prima, cinquanta la seconda. Ma si dà, in genere tutta la colpa ad Adolph Hitler, e si parla solo di sei milioni di morti nei campi di concentramento, mai degli altri quarantaquattro milioni!
         Queste riflessioni l'avevano calmato ulteriormente, rispetto ai problemi reali e tangibili di quel giorno. Pescata una seconda trota più a monte, ripulitala e ripostala insieme alla prima, avvolta in foglie di castagno, poi nel sacchetto, si avviò verso la baita che costituiva la sua meta ultima per quel giorno. La luminosità già scarsa per la nebbia che avvolgeva il tutto, andava lentamente scemando e sentiva su di se', tutto il peso della fatica e dello stress di quella giornata.
         Mentre si avvicinava alla baita, che sembrava essere disabitata, invece di essere angosciato per il fatto di essere inseguito, si sorprese a pensare al racconto che aveva lasciato in sospeso quella mattina, preso dall'urgenza di fuggire. Fece il giro della casa. Nessuno. Tutto sprangato. Avrebbe dovuto in qualche modo forzare la vecchia porta per entrare. Avrebbe lasciato poi del denaro anche qui, per compensare il danno. Sapeva quanto fossero attaccati alle loro povere cose i montanari. Magari il proprietario avrebbe sporto denuncia, nonostante il denaro.
         In ogni caso non aveva scelta: non era nottata da dormire all'addiaccio. Non per un occidentale, un topo d'ufficio, come era stato lui per tutta la vita.

         Ancora gli tornò alla mente il suo racconto del mattino e si collegò alla sua avventura, mediante un romanzo che aveva letto molti anni prima. Si trattava di ...E venne chiamata Due Cuori, di Marlo Morgan. Nel libro, l'autrice passa alcuni mesi nell'Outback australiano, insieme ad alcuni aborigeni che hanno conservato intatta la loro cultura originaria, istruendola alla loro conoscenza del mondo, alle loro credenze, al loro modo di vivere spiritualmente in armonia con il grande Tutto dell'Universo, alle loro magie.
         Inizialmente l'esperienza era stata traumatica, per una occidentale abituata alle comodità, doversi adattare senza abiti, senza scarpe, ad attraversare tutta l'Australia a piedi sotto il sole cocente, dormendo sotto le stelle, nutrendosi di bacche e vermi, senza mai la possibilità di lavarsi.
         Forse lui, con questa esperienza, veniva istruito per la sua personale evoluzione spirituale, così come Marlo Morgan, venne istruita dagli aborigeni. Oppure per il suo nascente nuovo libro. Forse tutto aveva uno scopo, ancora ignoto, per ora. Ricordò quanto aveva invidiato l'autrice, nell'epoca in cui aveva letto il libro, per essere stata scelta per quella inusuale esperienza. L'invidia però riguardava solo gli aspetti, per così dire "romantici", di quella esperienza, senza fermarsi a considerare il lato spiacevole della faccenda.
         Certo, anche nel suo caso, la parte pericolosa, sgradevole, non era da sottovalutare: individui armati con pistole munite di silenziatore, erano penetrati in casa sua quella mattina e lui aveva dovuto fuggire di casa precipitosamente. L'avevano poi inseguito per la montagna, finché non era riuscito a comprendere di dover spegnere il cellulare.
         Inoltre non era ancora riuscito a contattare la moglie, e non si sognava nemmeno di farlo riaccendendo il telefono. L'avrebbe fatto l'indomani, da una cabina pubblica, sempre che ci fosse arrivato.

         La serratura della baita era del tipo con chiave grande, probabilmente di quelle lunghe una ventina di centimetri, dal peso considerevole. Immaginò che il proprietario della baita, sicuramente qualcuno che la usava per portare gli animali all'alpeggio, non andava in giro con quel monumento alle chiavi del Paradiso in tasca. Quasi certamente la nascondeva nei pressi. Sarebbe stato meglio trovarla, dato che non era abituato a scassinare le porte, e non avrebbe saputo nemmeno dove cominciare. Fece un altro giro della casa, senza individuare nessun possibile e plausibile nascondiglio. Tornò al punto di partenza davanti all'ingresso e tentò di trovare ancora. Fece qualche passo indietro, per avere una visione più d'insieme. Nulla.
         Gli tornò alla mente il libro della Morgan. Bisognava fare il vuoto mentale. Mettersi in ascolto, invece di pregare oralmente o mentalmente. Ci provò. Non era facile. Chiuse gli occhi si dispose ad ascoltare. Lontano un picchio batteva su un tronco. Un cuculo emise il suo ripetitivo verso. Guardò la casa come se la vedesse per la prima volta. Allora notò la minuscola finestrella, molto bassa, seminascosta dalle felci. Così in basso, non poteva che essere la finestra di una cantina. Si avvicinò e, dietro le felci, sul ripiano della finestra, trovò due chiavi. Una doveva essere quella buona. Le prese entrambe. La prima che provò aprì la porta della baita. Andò a posare l'altra sulla finestra, lasciando quella buona nella toppa.
         Si sarebbe chiuso dentro per la notte. Non si sa mai. Poi si domandò come mai la casa non fosse occupata, dato che era stagione di animali all'alpeggio. Forse le continue piogge dei giorni precedenti, avevano ritardato la partenza.
         Ispezionò l'interno della casa. Una sola camera, non molto grande, ma abbastanza linda. Evidentemente, in vista del soggiorno estivo, il proprietario aveva dato una mano di calce. Poche suppellettili: un tavolo, un letto matrimoniale, una stufa a legna, antiquata ma robusta. Una vecchia credenza conteneva dei piatti e qualche pentola. Non c'erano alimenti. C'era lavello, ma non c'era acqua. Probabilmente occorreva aprire qualche saracinesca chissà dove. Ignorò la mancanza d'acqua come un non problema: lui aveva la sua bottiglia d'acqua da bere, anche se avrebbe dato chissà cosa per un bicchiere di vino a cena.
         Si dedicò al compito di accendere la stufa. Di notte avrebbe fatto freddo e lui voleva asciugarsi gli abiti. Inoltre doveva cucinarsi le trote. C'erano dei vecchi giornali che usò come esca, avvolgendoli intorno a dei rami secchi che trovò sotto una tettoia sul retro della baita. Accese la carta dei giornali a tornò fuori a fare provvista di legna. Fece due viaggi, per avere provvista per tutta la serata. Poi si dispose a preparare per la cena. Pentola e piatto erano abbastanza puliti, anche se, se ci fosse stata acqua li avrebbe lavati volentieri. Passò un tovagliolo di carta sulla pentola e decise che avrebbe mangiato le trote direttamente nella pentola. Sarebbe stata sterilizzata dal calore. Avrebbe bevuto dalla bottiglia. Allora considerò nuovamente il desiderio del vino e ripensò alla cantina sotto la casa. Cantina uguale vino.
         Tornò alla chiave sulla finestra e trovò l'ingresso della cantina sul lato ovest della casa. Una scala in pietra scendeva ripida verso una porta di legno. Si aprì subito. Attese che i suoi occhi si adattassero all'oscurità, appena scalfita dalla scarsa luce proveniente dalla porta aperta. In fondo, sulla parete opposta a quella dell'ingresso, un largo asse di legno fungeva da mensola unica, sulla quale erano allineate decine di bottiglie, alcune vuote, ma alcune piene. La sorpresa e la contentezza si acuirono alla scoperta che non c'era soltanto vino, ma anche una bottiglia di olio extravergine di oliva di marca, ancora sigillata. L'arrivo dei malgari, i marghé, doveva essere imminente. Avevano fatto provviste.
         Lui comunque avrebbe ripagato il disturbo ed avrebbe lasciato anche un biglietto, per spiegare la necessità di pernottare nella casa non sua. Sperando che il suo ospite sapesse leggere. Si stupì anzi di tanta fortuna. Andrea aveva pensato di fare le trote alla griglia, ma visto che c'era l'olio, cambiava volentieri progetto.
         Di fianco alla casa trovò una piantina di lauro, dell'origano selvatico e, meraviglia delle meraviglie, un piccolo recinto delimitato da rete metallica, che fungeva da orto, nel quale spiccavano lattuga e cipollotti. Avrebbe banchettato alla grande, contrariamente a quanto sperava. La giornata si concludeva bene. Decise che avrebbe lasciato cinquanta euro per il disturbo, alla faccia della sua innata...propensione al risparmio. Avarizia era la parola, ma preferiva parsimonia.
         Mentre preparava la sua cena, udì il rombo possente di un elicottero che stava passando sopra la casa. Cautamente sbirciò dalla finestrella appena in tempo per vederlo scomparire nascosto dal tetto della meira.
         Per un attimo temette che l'avessero individuato, magari a causa del fumo della stufa. Ma poi il rombo del motore divenne sempre più debole fino a scomparire del tutto, in una vallata ad est. Non poteva sapere con sicurezza se l'elicottero fosse da collegarsi ai suoi inseguitori o se fosse casualmente transitato di lì. Certo era che se era della partita, quella gente che lo inseguiva aveva mezzi illimitati per inseguirlo e c'era da averne paura. Come se non ne avesse avuta, fin da quel mattino, quando aveva iniziato a fuggire su quei monti.

* * *



         Anna uscì dal supermercato Punto SMA sulla via Aurelia carica di borse della spesa, e notò l'uomo vestito elegantemente, con occhiali da sole scuri che leggeva il giornale. Dove l'aveva già visto? Era un po' di tempo che aveva la sensazione di vedere sempre gli stessi volti in contesti diversi. Facce familiari, volti noti, ma non chiaramente classificabili per nome e per luogo di appartenenza. Avendo fatto per tutta la vita la commessa in negozi diversi in città diverse, talvolta confondeva il contesto a cui appartenevano.
         Era dalla parte giusta dell'Aurelia per ritornare a casa, ma era al sole, che picchiava già forte in quella stagione in riviera, così attraversò sul lato opposto, che offriva un'ombra confortante. Lo stesso lato dove stava l'uomo col giornale. Arrancò verso casa, con le borse della spesa che le facevano male alle mani e le creavano una tensione alle spalle, che presto divenne insopportabile. Si sedette su una panchina. Si sventagliò il volto con una rivista di ricamo che aveva acquistato. Si guardò intorno e vide, a poca distanza, l'uomo del giornale, sull'altro lato dell'Aurelia, che guardava la vetrina del negozio di articoli sportivi, pinne, maschere e fucili subacquei. Prese uno dei succhi di frutta che aveva acquistato e se lo bevve, prima di riprendere il tragitto verso casa. Si affrettò. Doveva andare in bagno.
         Sistemò le provviste nel piccolo frigorifero poi si concesse una pausa. Si affacciò al balcone ricavato nel tetto dell'ultimo piano mansardato, e contemplò l'incantevole paesaggio delle colline liguri. Dal paese di Cervo abbarbicato sulla roccia, alla chiesa della Madonna della Rovere. Il verde dei pini marittimi si mescolava a quello più chiaro degli ulivi, punteggiato qua e là da macchie di colore intenso delle buganvillee e degli oleandri.
         Ripensò alla curiosa faccenda dello zio Alessandro, che, approfittando del suo disorientamento per l'improvvisa morte di Angela, aveva tentato di tirarla dentro a Scientology, la setta, insieme alla mamma e a sua sorella Stefania, parlando separatamente a ciascuna di loro. La cosa appariva filantropica, lodevole, altruistica. Loro lo chiamavano "bombardamento affettivo".
         Ma un sacco di gente si era rovinata economicamente. Poi, l'intuito, che era forse la sua dote migliore, gli aveva fatto apparire strano e subdolo, tutto il discorso e il comportamento dello zio. Con un giro di telefonate agli altri zii, aveva capito immediatamente di cosa si trattava e, non senza una certa durezza, che le era costata molto, avendo avuto sempre un debole per quello zio Alessandro che apparentemente era un uomo di successo, invidiabile e amabile, dai modi garbati, ma, alla luce di questi fatti, anche un po' viscidi, gli aveva detto chiaramente di pensare alla sua famiglia che alla propria ci avrebbe pensato lei stessa. Con quella telefonata aveva rotto un rapporto parentale che credeva stretto.
         Come cambiavano le cose nel corso di una vita. A volte crollavano dei pilastri sui quali avevi poggiato tutte le più solide convinzioni di tutta la tua vita. E le tue credenze, le tue priorità si rimescolavano e ti ritrovavi, alla fine ad essere una persona diversa da come eri prima.
         Il grido di un bambino che ricorreva una palla nei giardinetti sotto casa attirò la sua attenzione e, su una panchina, fra le palme e i pini, scorse l'uomo del giornale. L'intuito le disse che erano troppe le coincidenze e decise di telefonare al marito per parlargliene.
         Come sempre, quando lo cercava, aveva il cellulare spento. Provò a casa ma il telefono squillò a lungo a vuoto. Nessuno poteva risponderle, ma lei non lo sapeva. Decise che il giorno appresso, se non fosse riuscita a comunicare con Andrea, sarebbe rientrata a Paesana. Erano ormai venti giorni che stava a San Bartolomeo, e cominciava ad avere desiderio di tornare, di rivedere Andrea. Il mare, alla lunga, dava un certo tedio, ti allontanava, salvo poi tentarti ed allettarti da lontano, facendosi nuovamente desiderare.

* * *



         Melis aveva appena posato il ricevitore del telefono, dopo aver parlato con il suo diretto superiore di Saluzzo, il capitano Francesco Palmieri. Si stimavano a vicenda, dopo tanti anni di collaborazione nell'Arma. Il capitano Palmieri non era di quei superiori boriosi ed arroganti, come ce ne sono molti, nei Carabinieri e negli altri corpi, che contraddicono i subalterni soltanto per fare valere il loro grado superiore.
         Pur dall'alto dell'autorevolezza del suo grado, era più un amico e un collega per il sottufficiale. Gli aveva appena negato la licenza richiesta, non per cattiveria, ma per esigenze tecniche di servizio, e, per un'altra ragione, della quale non intendeva discutere al telefono, ma di cui, aveva aggiunto, «gradirei parlarne di persona. Facciamo così, Melis: venga a trovarmi domattina presto a casa mia. Diciamo alle sette e trenta. Intanto le prometto fin da ora, di adoprarmi per un sostituto valido per la prossima settimana, così potrà correre a vedere sua madre. Spero vivamente che sua madre non sia in pericolo di vita, e mi scuso per il disguido. Le assicuro che la cosa non dipende assolutamente da me.»
         Melis era pensieroso. Sapeva che se fosse stato possibile, il capitano Palmieri gli avrebbe concesso la licenza immediatamente. Evidentemente era in ballo qualche cosa e, se non voleva parlarne al telefono, quasi certamente, c'erano in ballo i servizi. Grane. Si era domandato spesso se, in uno stato "democratico", fosse giuridicamente lecito che esistessero i servizi e se questa esistenza non compromettesse il concetto stesso di democrazia.
         La risposta era ovvia. Ma la domanda era ben posta? Lui, il maresciallo Egidio Melis, era davvero convinto di servire in uno stato democratico? Esistevano nel mondo gli stati democratici? Non voleva nemmeno affrontare quelle domande perché sapeva che sarebbe andato in crisi. A dieci anni, come minimo dalla pensione, non voleva e non poteva permettersi una crisi ideologica sul suo lavoro.
         Quale altro mestiere avrebbe potuto fare? L'investigatore privato per correre dietro alle mogli o ai mariti infedeli? Il responsabile della sicurezza di una ditta? Lui sbirro era e sbirro rimaneva. Non avrebbe potuto fare altro e, in un modo o nell'altro, avrebbe messo a sonnecchiare la propria coscienza. Preferiva arrovellarsi e soffrire pensando ad Elisa, piuttosto che affrontare quegli argomenti. Almeno per ora, per questo stadio della sua vita.
         Così fece. E il fato ci mise lo zampino. Decise di andare a cena al ristorante della Colletta, dove si mangiava bene, abbondante e quella sera aveva un certo appetito "nervoso", per le vicissitudini legate all'ansia per la madre, per ciò che avrebbe saputo l'indomani dal capitano Palmieri.
         Lei era là, col marito. La vedeva solo di spalle, ma conosceva il marito di faccia, anche se non di persona, e quei riccioli neri, non potevano che essere di Elisa. Provò una strana gelosia per quell'uomo sconosciuto, il quale avrebbe dovuto essere lui geloso, se avesse saputo.
         Si vergognò di pensare che avrebbe voluto saperlo malato, moribondo, morto, per prendere il posto suo. Trovarlo un giorno vittima di un incidente stradale, disteso sull'asfalto in una pozza di sangue, come ne aveva visti tanti, soprattutto giovani, nella sua lunga carriera. Una fantasia che, forse, non si sarebbe avverata mai. Lei non lo vide ne' si voltò mai, per il breve tempo in cui Egidio rimase nel locale.
         Entratovi con un formidabile appetito, lo aveva perso di colpo, alla vista di quei riccioli neri, dei quali intuiva e ricordava il profumo schietto. Si mangiò svogliatamente un piatto di tagliatelle ai funghi, bevendo un solo bicchiere di dolcetto, e si fece portare il caffè assieme al conto. Il proprietario che lo conosceva bene e sapeva che quando il maresciallo veniva lì, era per mangiare bene e abbondante, rimase perplesso e stupito. Portandogli il caffè gli domandò timidamente se il cibo non fosse stato di suo gradimento, nel qual caso...«nessun conto, signor maresciallo».
         – Non ti preoccupare, Felice. Le tagliatelle erano squisite, come sempre. Sono io che non vado. Mi hanno comunicato una notizia per telefono, che mi ha fatto passare l'appetito. E ora devo andare, scusami. In realtà, quando sono entrato qui da te, avevo davvero un appetito formidabile.
         Ma Felice non era persuaso. Quando veniva il maresciallo Melis, lui aveva un occhio di riguardo per lui, ed era quasi sicuro che non avesse ricevuto nessuna telefonata. No. La ragione stava o nel cibo oppure in qualcuno dei rari clienti che c'erano nella sala. Che si trattasse di quella bruna veneta con un principio di gravidanza, che ha sposato uno di qui. Certo quella era una bellissima donna. Ma non circolavano in paese pettegolezzi del genere sul maresciallo. A meno che, il maresciallo avesse ricevuto uno di quelli che i suoi figli ed i nipoti chiamavano messaggini. C'era qualche cosa di strano che non comprendeva in quella diavoleria di cellulare, che aveva riempito anche le nostre montagne di ripetitori. Lui ne aveva fatto a meno per tutta la vita e ne avrebbe fatto a meno ancora, fino alla fine. Tanto più che aveva il potere di far regredire un sano appetito. Diavolo, almeno a tavola si dovrebbe stare in pace, senza preoccupazioni, altrimenti, in che mondo si vivrebbe!

        Alle sette e trenta in punto del mattino dopo, Melis stava a Saluzzo sotto la casa del capitano Palmieri. Venne ad aprire la moglie, una signora ben tenuta per la sua età, cordiale e simpatica. A causa di lei, Letizia, Egidio invidiava la condizione di ammogliato del suo capitano. E ancora la mente lo riportava ad Elisa, a prefigurargli una vita coniugale con lei. Lui, lo scapolo d'oro, il simbolo dei single, presso tutti i conoscenti ammogliati, che invece invidiavano lui, Melis.
         – Maresciallo Melis, che piacere averla con noi. Si accomodi. è pronto il caffè. E lo condusse nello studio del marito.
         Elegante, truccata in modo leggero, senza parere, pettinata come fosse appena uscita dal parrucchiere, la signora Letizia gli rivolse un sorriso cordiale, accattivante. Se nei suoi pensieri non ci fosse stata Elisa, se Letizia non fosse stata la moglie del suo superiore in grado...troppi se!
         – Non starò a girarci troppo intorno, maresciallo. Lei mi conosce. è in corso, in quella che lei chiama la sua...parrocchia, una operazione dei servizi. Non ne so molto perché quella gente non dice molto nemmeno a me. Anche se ne sapessi di più, come lei sa, non potrei dirle comunque tutto. Ufficialmente pare cerchino un...terrorista, ma, personalmente non ne sono convinto. Ho cercato di ottenere di poter affiancare qualcuno fidato, magari lei stesso, ma subito dopo ho ricevuto una telefonata da lassù -con l'indice sinistro indicava il soffitto, a voler indicare indiscutibili questioni gerarchiche, piuttosto che un inquilino del piano superiore- ma mi è stato esplicitamente ordinato di "non interferire". Non è necessario che le spieghi come vanno queste cose. Posso dirle che i due che se ne occupano sono il tenente dei lancieri Antonio Bellassai e un non meglio precisato Giovanni (John) Ventura. Un italo americano. A naso direi mafia. Se non fosse che l'operazione è comandata da quest'ultimo, le direi semplicemente di stare in campana. Ma in questo caso, essendoci di mezzo gli americani, forse la mafia, direi che dobbiamo dormire tutti quanti con un occhio solo. Anzi, meglio sarebbe non dormire affatto, finché non se ne vanno, speriamo il più presto possibile. E speriamo non si lascino dietro scie di morti.
         Cosa stia davvero succedendo, sui nostri monti -strizzò l'occhio sinistro in un gesto di complicità- lo sa soltanto Dio...oppure il diavolo.
         Come le ho già promesso, per la prossima settimana, lei potrà andare da sua madre. Ho provveduto a farla sostituire dal maresciallo Licheni, suo amico e fidato collega, il quale non è uno sprovveduto e si terrà comunque in contatto con lei e con me. Che Dio ce la mandi buona, maresciallo.
         – Agli ordini signor capitano.

         – C'è di là un tale, Renato Ghigonetto, che vuole parlare soltanto con lei, signor maresciallo.
         L'aura di sventura se l'era portata dietro da Saluzzo e, giunto a Paesana, era ormai persuaso che i guai fossero già cominciati. Ora ne era assolutamente certo.
         – Mi dica tutto, signor Ghigonetto.
         Era un cinquantino magro, capelli scuri e folti, per la sua età, vestito alla buona, ma, probabilmente per l'occasione, con il suo vestito migliore. Rasato di fresco, ma con il viso oscurato, verde, quasi nero, da una barba densa, tenace. Sicuramente un contadino, probabilmente un malgaro, di quelli che in estate portano gli animali all'alpeggio.
         – Voglio denunciare un furto!
         – Cosa le hanno rubato?
         – Niente. Cioè, no, nen prope...
         «Cominciamo bene», pensò fra se' il maresciallo Melis.
         – Non è proprio per le cose rubate. Sarebbero due cipollotti, una testa di insalata, e una bottiglia di vino di quello buono.
         «Questa poi, è davvero la prima volta...» Si trattenne dal pronunciare il maresciallo.
         – E dunque lei vorrebbe fare la denuncia del furto di due cipollotti, una testa di insalata e una bottiglia di vino? Non crede che forse i carabinieri hanno altre cose di cui occuparsi?
         Melis stava iniziando a perdere la pazienza, ma ce la mise davvero tutta. Con quei montanari ce ne voleva davvero molta.
         – A l'è che...vede signor maresciallo, che qualcuno è entrato nella meira, su in montagna...a l'è intrà, l'ha mangià e beivù la mia roba, e deve aver dormito in casa. Ha anche acceso la stufa, con la nostra scorta di legna. A l'ha anche lasà son.
         Gli porse un foglietto, un pezzo di foglio di calendario, del mese precedente, sul cui retro bianco era scritto:

         Lascio questi 50 euro perché, essendomi trovato col maltempo in montagna, mi sono rifugiato nella meira, ho acceso la stufa, per cucinare e per dormire più asciutto.
                 Grazie di tutto.


         – Cosa vorrebbe che facessi, signor Ghigonetto? Dovrei chiamare la scientifica per analizzare le eventuali impronte, al fine di scoprire il ladro di cipollotti? Mi sembra tutto molto chiaro. Qualcuno è stato sorpreso dal maltempo ed ha pernottato a casa sua. Ha pagato per questo no? I cinquanta euro li ha trovati oppure no?
         – Certo che c'erano anche i soldi. Ma la storia del maltempo non è vera. Io e mia moglie eravamo nella baita ieri mattina quando pioveva, per preparare la casa, e siamo scesi ai Peccioni per portare poi su gli animali il giorno dopo, cioè stamatin. Ma ier, quando siamo scesi aveva già smesso di piovere, e non ha piovuto più dopo.
         Un campanellino di allarme sonò, da qualche parte nella testa di Melis. Qualcuno era in giro per la montagna fin dal mattino che pioveva. Ed è stato fino a sera, e, invece di scendere a valle, ha preferito pernottare nella meira. Per esser strano era strano, ma non vedeva nessuna ipotesi di reato "serio", per cui voleva liberarsi del Ghigonetto, chiudendo lì la faccenda. Non gli sembrava davvero il caso di imbrattare ufficialmente delle carte, per una cosa come quella. Anche se avrebbe tenuto a mente questa stranezza.
         – Senta, per entrare in casa, le hanno scassinato la serratura?
         – No, maresciallo. La ciav ëd la meira l'è grosa. Sa, quelle vecchie chiavi in ferro battuto di una volta. Così noi, per non avere l'impiccio di portarcele appresso, la teno-ma 'n s'la fënestra, con cola 'd la cròta. Noi abbiamo trovato tutto chiuso, come abbiamo lasciato, e le chiavi al loro posto.
         – Quindi, converrà con me, signor Ghigonetto, che non è successo nulla per cui valga la pena di sporgere denunzia. Si tratta di un caso di ospitalità pagante. Se lei ritiene di essere stato pagato, per ciò che è stato preso in cantina e nell'orto...
         – Sicur che soma stait pagà con cinquanta euro, maresciallo. Era solo che noi non vogliamo avere grane con la giustizia, ecco. Tutta la faccenda è strana e volevo che lei lo sapesse. A l'è prope drôla.
         Melis tirò un sospiro di sollievo, al pensiero di non dover compilare dei verbali per due cipollotti. Si alzò in piedi e tese la mano al signor Ghigonetto.
         – Quando è così... Grazie di averci avvertiti. Buona giornata.
         – Grazie a lei, maresciallo.
         Melis divenne pensieroso, dopo l'uscita dell'uomo. Si rigirò fra le mani il foglietto di calendario che l'uomo gli aveva lasciato. Notò una mezzaluna di vino rosso sul bordo inferiore. Fece per buttarlo nel cestino della carta straccia, poi ci ripensò e lo mise nel cassetto della sua scrivania. Che questo fatto fosse in qualche modo collegato alla fantomatica "operazione dei servizi"? Cosa cavolo andavano cercando quelli, nel suo territorio?
         Aveva di suo già ben gravi preoccupazioni. Ci mancava ancora questa grana calata dall'alto.
         Adesso avrebbe dovuto telefonare a Santina per comunicarle che fino alla prossima settimana non sarebbe potuto partire. E per avere notizie della madre.


Articolo n.56: ritorno.php
Sito: chifelio
Tema: 11 - Promozione lavori
Data: 2007-10-31

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