"Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda."
Horacio Verbitzky

Blog di Giovanni Chifelio

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Riminescenze scolastiche.
2010-05-31


   Il trillo acuto della campanella dell'intervallo sembrò svegliare all'unisono la terza 'A' meccanici. Due ore inculate, le prime due del lunedì mattina, di spiegazione sul diagramma ferro-carbonio e l'influenza degli altri elementi sulle proprietà meccaniche delle leghe di acciaio, avevano il potere di fare addormentare persino gli studenti più volenterosi e secchioni. Se qualcuno, casomai, si fosse imposto di volere a tutti i costi seguire il filo rosso del discorso tenuto dall'ingegner Auriti di "tecnologia meccanica", o meglio "techenologia", come lo pronunciava lui stesso, d'origine chietina, con la sua voce monotona e suadente, si sarebbe addormentato magari prima degli studenti distratti.
   Di fatto poi, il lunedì era giorno da dormire di per se', dato che molti di noi ragazzi, la sera precedente avevano tirato tardo, riuscendo poi a riposare, sì e no, tre, quattro ore al massimo.
   Si udirono parecchi sospiri da ogni angolo della classe, come di gente risvegliata all'improvviso da rumore inatteso. Persino Emilio Balangero, il quale aveva sviluppato una tecnica tutta sua, Dio sa come, di dormire con la faccia appoggiata alle mani che si reggevano sui gomiti a loro volta puntellati al banco, si destò dal solito torpore. Essendo orfano, lavorava come meccanico d'auto il pomeriggio per dare una mano in famiglia, e si "ricaricava" durante le lezioni.
   Mentre il professor Auriti cercava invano di sovrastare il bordello di voci che era sorto in corridoio ed in classe, per dirci che cosa avremmo dovuto studiare per la prossima volta, l'indomani, tutti ci movemmo come un sol uomo dai nostri banchi per conquistare il nostro intervallo.
   Anche l'intervallo era un'esperienza faticosa e stressante: in pochi minuti dovevamo fare la fila per comprarci il panino dallo studente del quarto anno che li vendeva al piano di sotto, probabilmente con la complicità del bidello Alzafuni, il quale quasi sicuramente aveva una "stecca" sulle vendite; divorare il grosso panino in pochi morsi; correre in bagno per bere, orinare e fumare, magari in tre o quattro in un cesso. Quando non ci si doveva anche spostare in officina o in palestra.
   Ovviamente le raccomandazioni di Auriti caddero sui banchi vuoti. Da un lato faceva pena Auriti, perché era anziano, preparato sulla sua materia, ma una pasta d'uomo, che, proprio per questo, non sapeva mantenere la disciplina. Lo si vedeva che soffriva nel dare un brutto voto per un'interrogazione o un compito andato male.
   Per noi di sedici diciassette anni al massimo, gli adulti erano tutti "anziani", ma Auriti lo era un po' di più e per davvero. L'insegnante che sarebbe venuto dopo, l'ingegner Vinicio Dragone, lui sì che sapeva come mantenere la disciplina e farsi ascoltare, magari in un frangente come quello.
   Quel misurarsi fra noi, il branco classe e gli insegnanti, era una specie di gioco rituale, del tipo di quelli che fanno gli animali quando sono costretti insieme, prendersi a cornate o beccate, scontri rituali volti a stabilire una gerarchia, come ha descritto egregiamente l'etologo Konrad Lorentz. Era uno scontro che avveniva inevitabilmente ai primi approcci, e, una volta avvenuto, niente avrebbe potuto succedere per mutare l'idea che ci eravamo fatti dell'insegnante. Era come un marchio a fuoco che il poveraccio si sarebbe portato sulla fronte per tutta la sua carriera. Gli insegnanti come il professor Dragone erano pochi e, ovviamente, non rientravano fra i "poveracci". In quel caso la classe perdeva senza possibilità di rivincita.
   La "valutazione" dell'insegnante era un procedimento complicato che comprendeva il saggiare la sua competenza e infallibilità nelle sua propria disciplina, alle sue capacità "sociali" di tenerci o meno sotto scacco. O almeno dignitosamente tranquilli. Il processo solitamente si concludeva durante la prima ora di lezione con l'insegnante.
   Sotto questo aspetto si potevano individuare infiniti profili di rapporti insegnanti-classe, che si manifestavano nell'aspetto globale dell'insieme e andavano dal caos all'ordine, a seconda di come il professore, maschio o femmina che fosse, sapevano tenere sulla corda la classe. Questo aspetto si intrecciava alla credibilità della persona come rappresentate della disciplina insegnata e, paradossalmente, gli studenti lo intuivano prima di aver appreso quella specifica materia.
   L'insegnante di meccanica, che sarebbe venuto nell'ora successiva all'intervallo, riuniva in se' tutti i tratti positivi di un buon insegnante senza svelare una sola pecca, una sola piccola, insignificante macchia di ruggine che avrebbe potuto incrinare l'immagine positiva che noi studenti avevamo di lui. Ma come ho detto, Vinicio Dragone era un caso limite.
   Egli insegnava la sua materia senza l'ausilio di testi: bastava prendere appunti e fare gli esercizi assegnati. Otre tutto era una tecnica che insegnava ad imparare e scusate se è poco! Manteneva la disciplina senza mai alzare il tono di voce, piuttosto basso, che induceva piuttosto a stare in silenzio e non rumoreggiare, per non perdersi nulla.
Oltre a questo non dava segni di emozioni, di alterarsi, come fanno magari i deboli, di irritarsi, offendersi.    La sua formazione tecnica e umana gli derivava dall'aver frequentato l'accademia aereonautica militare, e questo spiegava la sua persona ed il suo modo di essere meglio di qualunque argomento.
   Al terzo anno di istituto tecnico eravamo al primo anno con lui, con la sua materia. Circolavano su di lui voci, leggende metropolitane, circa la sua cacciata dall'aeronautica, come pilota, in seguito alla distruzione di un aereo da combattimento dovuta all'acrobazia di passare sotto un ponte. Che l'insegnamento fosse per lui un ripiego non lo credo possibile: lo svolgeva troppo bene.
   L'unica volta che probabilmente si alterò con noi, ma senza darlo a vedere, fu quel giorno, in quell'ora dopo l'intervallo. L'unico segno esteriore di questa sua fredda reazione emotiva, fu un quasi impercettibile tremolio del suo sopracciglio sinistro.
   Anche l'aspetto fisico incuteva rispetto. Eretto nel portamento, forse una reminiscenza dell'aspetto marziale, aveva spalle larghe di una persona che, sotto giacca e cravatta, avrebbe potuto avere muscoli guizzanti abbastanza da atterrare chiunque di noi, anche più d'uno alla volta. Una barba curata sembrava compensare la mancanza di capelli sulla sommità del cranio, forse per l'eccessivo testosterone di un allora quarantenne.
   Franco Ciaffi era con noi solo da ottobre. Aveva iniziato tardi l'anno scolastico perché -diceva- aveva lavorato alla raccolta di mele. Cosa l'avesse portato ad una scelta simile, nessuno osava chiederglielo, perché era un ragazzo dall'aspetto imponente. Biondo, con lunghi capelli, spalle larghe e vita stretta da culturista, sferrava pugni che erano colpi di maglio, per cui era più prudente non stuzzicarlo troppo e tenerselo amico.
   Franco Ciaffi probabilmente pensava di avere un rapporto privilegiato con Dragone, perché, a volte, quando questi era di umore giusto, riusciva ad indurlo a parlare di aerei e di accademia, dimostrandosi interessato all'argomento.
   Quel giorno, al rientro dall'intervallo, qualcuno di noi colse Ciaffi a scrivere alla lavagna "Oggi non ci sarà lezione di meccanica". Il tutto firmato con la sigla che Dragone usava compilando il registro di classe ed i compiti in classe corretti, che il Ciaffi, esercitandosi, era riuscito ad imitare decentemente.
   Il silenzio glaciale più assoluto calò nell'aula nel preciso momento in cui la maniglia della porta iniziò a ruotare. Franco Ciaffi era al suo posto ormai e nessuno di noi avrebbe ammesso, neanche sotto tortura, che fosse stato lui l'autore della scritta alla lavagna.
   Dragone entrò nell'aula e, come se lo sapesse, se lo aspettasse, i suoi occhi si appuntarono sulla lavagna per il tempo strettamente necessario per leggere la frase, senza che il movimento del suo corpo, il suo incedere subisse il benché minimo rallentamento. Fu allora che che il suo sopracciglio sinistro vibrò per una frazione di secondo, ma che fu notato da tutti noi, in attesa della reazione che avrebbe dovuto arrivare di lì a poco, ma che non venne. Nulla nel viso del professor Dragone, nel suo portamento parve diverso dalle altre volte, dagli altri suoi esordi e ingressi.
   Solo il sopracciglio.
   Si sedette alla cattedra, aprì il registro, fece scorrere il dito indice sul nostri nomi a sinistra, dall'alto verso il basso, poi nuovamente verso l'alto.
   «Ciaffi,» disse con la sua solita voce priva d'emozioni, quasi in sordina, «venga alla lavagna».
   Il ragazzone, il bullo della terza 'A', era rosso in viso fino alla radice dei capelli. Tentò di apparire baldanzoso, compiendo il breve tragitto con passo saltellante, come sempre si muoveva, ma tutti sentivamo l'odore del terrore che era in lui.
   La prima umiliazione di Ciaffi fu dover ripulire di sua spontanea volontà la lavagna che poco prima aveva lordato, senza che nessuno glielo dicesse. I suoi occhi azzurri cercarono invano l'approvazione della classe, ma tutti guardammo altrove.
   Con flemma, quasi con amore si sarebbe potuto dire, Dragone formulò la prima domanda sulla cinetica di un grave lungo un piano inclinato. Ciaffi disegnò alla lavagna quanto l'insegnante gli chiedeva. Il suo piano inclinato, più che una gagliarda retta, sembrava piuttosto la lama di una sega. Mentre Dragone sembrava più interessato al registro di classe che a Ciaffi, quest'ultimo tirava per le lunghe la disegnazione del problema, cercando di tanto in tanto una imbeccata negli occhi muti dei compagni seduti al loro posto. L'ingegner Dragone, impassibile, lasciava cuocere Ciaffi nel suo proprio brodo, e, ogni tanto sembrava volerlo aiutare egli stesso con frasi che avevano su Ciaffi proprio l'effetto opposto di confonderlo sempre più.
   Infine Dragone, sussurrò che probabilmente Ciaffi non era molto preparato sull'argomento e, lo disse come se volesse aiutarlo, gli avrebbe dato la possibilità di rifarsi con un'altra domanda. Quindi passò a torturarlo, per il tempo restante della sua ora, su una trave incastrata da un lato e libera all'estremità opposta, il che si rappresentava graficamente come un'asta che orizzontalmente spuntava da un muro, mentre dall'altro lato poggiava su un carrettino di forma triangolare con due ruote. Carico uniformemente distribuito: chiese a Ciaffi di calcolare le reazioni dei due vincoli, ad un carico uniforme dato.
   Tutto durò fino al suono della campanella di fine ora, con Ciaffi che oramai balbettava soltanto più, tentando di arrampicarsi sugli specchi per non fare scena muta. Nessuno si mosse fino al pronunciamento della sentenza -tre- dopo di che Dragone raccolse con calma le sue cose e le ripose nella sua sottile borsa di pelle marrone. Mentre Ciaffi tornava al suo posto con la coda fra le gambe, il suo passo non più saltellante come al solito, Dragone, con un accenno di sorriso, che si trasformò in sorriso vero quando, aperta la porta si trovò di fronte la giovane bella Angela Lo Cascio, supplente di lettere e storia che attendeva il suo turno. Dragone le sussurrò qualcosa di galante che non udimmo nemmeno dal primo banco e Angela arrossì lievemente.
   Tutti ci chiedemmo come avesse fatto Dragone, con un solo colpo d'occhio, ad individuare immediatamente il colpevole.
   La risposta era molto più semplice delle nostre ipotesi assurde. Dragone, fin dall'inizio della sua carriera d'insegnante, allo scopo di essere imparziale nel giudizio, aveva sviluppato l'abitudine di correggere i compiti in classe coprendo il nome e cognome dello studente sulla prima facciata del foglio. Ma si era accorto ben presto di "sapere", ancor prima di leggerlo, il nome del proprietario del compito. La calligrafia è come un'impronta digitale. Le impronte sembrano essere simili, ma ognuna è unica. Dragone si ricordava magari anche dove zoppicavano i suoi alunni e sapeva di avere il potere, facendo una domanda invece di un'altra, di determinare la prestazione dello studente. Insomma, quella volta aveva volutamente infierito e fatto un culo nero a Ciaffi.


Articolo n.17: interrogazione.php
Sito: chifelio
Tema: 19 - Scritti, racconti, libri
Data: 2010-05-31

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